...Gli anni '80: Altri tempi e altro calcio ma anche quello coi suoi miti, i suoi eroi e i suoi antieroi... I primi e i secondi rimagono impressi e si ricordano facilmente e poi c'erano quelli che oggi chiameremmo 'nerd', qualche volta magari al posto giusto ma sempre nel momento sbagliato: Uno di questi era Dario DONÀ
LEGENDA: CI=Coppa Italia, LND=Lega Nazionale Dilettanti
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...Gli anni '80: Altri tempi ed altro calcio ma anche quello coi suoi miti, i suoi eroi e i suoi antieroi, i primi e i secondi li ricordi facilmente e del resto sei cresciuto con quelli in testa... Era quello che volevi diventare e facevi di tutto per imitare... E poi c'erano quelli che oggi chiameremmo nerd, magari al posto giusto ma sempre nel momento sbagliato, quelli che, fuoriposto da una vita, hanno capito abbastanza presto i loro limiti ed invece di cercare di superarli li hanno semplicemente accettati o addirittura subiti come DONÀ centrocampista di scuola MILAN che pure aveva buoni piedi ma difettava nel carattere e forse non è mai stato troppo convinto di scommettere tutto nel calcio che, anche e soprattutto a quei tempi, non era affatto tenero con giovani di medie qualità e 'seconde linee' come fu appunto Dario che riuscì comunque, ironia della sorte, dove molti fallirono (con carriere e squadre ben più importanti) laureandosi Campione d'Italia!
DAL TREVISO AL MILAN POI LA FUGA!
Nato a Cismon del Grappa in provincia di Vicenza ma trasferitosi prestissimo a Treviso, Dario imita il fratello attaccante nel Montebelluna e inizia a giocare nella squadretta locale del SELVANA dove lo scova SOGLIANO (padre) e gli propone di trasferirsi nel VARESE ma il ragazzo non vuole lasciare famiglia e amici per il collegio e così rimane a casa sua dove poco dopo si accorge di lui il TREVISO e lo porta subito in prima squadra.
Ma SOGLIANO (come il figlio) non è tipo che demorde e così convince Dario per la stagione successiva: La Serie B (con FASCETTI in panca) è un bel salto ma il 19enne calciatore, dotato di buoni mezzi tecnici, non si fa impressionare più che tanto, gioca poco ma al meglio anche contro il MILAN retrocesso a tavolino l’anno prima a causa dello scandalo calcioscommesse: I rossoneri ne rimangono così favorevolmente impressionati che lo chiamano in rossonero nel 1981.
A 20 anni DONÀ, reduce dal Mondiale Under 20, ha un futuro radioso davanti a sé ma gioca solo in un paio di gare in Coppa Italia ed ecco che il carattere si mette di traverso-'Al Milan non stavo bene, proprio per niente. Così sono andato via dal ritiro. Inventai una scusa: mamma malata. Dieci giorni di fuga'-racconta il calciatore 'Quando tornai Radice era furibondo. Dissi a Vitali: trovatemi una squadra, anche di B, di C. Ero un impulsivo o forse limitato caratterialmente. Sono sempre stato consapevole che l'avrei pagata...'
In realtà al tempo si parlò di fuga d'amore mentre secondo altre fonti il mediano mal sopportava di venire dietro a MALDERA e BATTISTINI nelle gerarchie del 'Sergente di Ferro' RADICE in ogni caso Dario fu spedito ancora in Veneto, al VICENZA in C1 in un ambiente più provinciale ma di sicuro più vicino al suo modo di essere.
LANEROSSI, BOLOGNA E A VERONA IL TRICOLORE
Il giovane calciatore trova in biancorosso la continuità che tanto gli era mancata a Milano e ricomincia a giocare come sa: Un paio di stagioni da faticatore della mediana ma con piedi più che discreti e agonismo da vendere, con il VICENZA DONÀ conquista la Coppa Italia di categoria al primo tentativo e nel 1983 a scommettere su di lui è il BOLOGNA ancora in C1.
L'annata di nuovo proficua con i felsinei (passati dalla A alla C1 in due anni!) si conclude con la promozione in cadetteria con Giancarlo CADÈ in panchina: Dario è tra i protagonisti del centrocampo rossoblù e mette pure a segno 5 gol ma prima di calcare nuovamente il campo della Serie B ecco la chiamata scaligera, il mediano metodista passa all'HELLAS in comproprietà e di nuovo in Serie A.
In gialloblù DONÀ non è una prima scelta per BAGNOLI che in ogni caso lo manda in campo 12 volte (solo 2 dall'inizio e curiosamente proprio contro INTER e MILAN) in tutto la prima delle quali proprio nella gara d'esordio della stagione '84-'85 contro il NAPOLI che aveva fatto faville al calciomercato ingaggiando El Pibe de Oro MARADONA.
Come andò quella prima gara e quella stagione lo sappiamo tutti... Quello che molti forse sottovalutano è l'apporto di Dario che invece fu prezioso e sempre all'altezza quando richiesto.
CATANZARO, C1 E DILETTANTI
Ad ogni modo il calciatore di Cismon del Grappa non viene riscattato dal VERONA e scende in Serie B stavolta al CATANZARO ma a soli 24 anni la sua carriera è già in declino anche se lotterà ancora a lungo nei campetti della C1 con la REGGIANA e sopratutto con l'ANCONA dove farà in tempo a conquistare un'altra promozione in Serie B nel 1987-88 per poi tornare all'amato calcio veneto dal 1990 con GIORGIONE e MIRANESE e chiudere fra i dilettanti più di 10 anni di onesta carriera.
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I calciatori? Gente viziata che scopre la vita dopo i 30 anni... Uomo concreto e severo Dario parla in questa intervista della sua breve carriera scolastica e non risparmia una dura critica all'ambiente per certi versi immutato da 30 anni (almeno) a questa parte... 'Studiare? Non avevo tanta voglia, mi sono fermato al terzo anno dell'Itis. Poi, dopo, ti rendi conto dei tuoi errori. Lo dico sempre a mia moglie: maledetto il giorno che ho fatto il calciatore. La verità è che siamo viziati e scopriamo la vita dopo i trent'anni. Poi, ai miei tempi, non si guadagnava abbastanza da vivere di rendita. Un nazionale, a Verona, prendeva 150 milioni'
Un paio d'anni da allenatore, una fabbrica di scarpe e finalmente un lavoro... Vero! Finita la carriera da giocatore Dario prova pure ad allenare ma probabilmente si sente, come spesso gli accade, fuori posto... Prova quindi, in società con la sorella, il lavoro in una fabbrica di scarpe ma va male e allora, 'incanalato' dal suocero, si dedica con successo e soddisfazione al ramo dei trasporti 'Ho allenato anche un paio d'anni in promozione, poi basta. Con mia sorella avevo una fabbrica di scarpe ma non è andata bene. Mio suocero ha un'azienda di trasporti, mi sono incanalato nella stessa direzione e ora ho una ditta mia. La sa una cosa? Mi sembra finalmente di lavorare. Trovo più soddisfazione in quello che faccio ora. Nel '90 Pasqualin mi voleva prendere con lui, ma rifiutai. Conosco i miei limiti. Mi sono messo da parte'
Ma fu nostalgia di casa o per amore che DONÀ fuggì dal ritiro del MILAN (e probabilmente da una carriera ben più radiosa)? 'Al Milan non stavo bene, proprio per niente. Così sono andato via dal ritiro. Inventai una scusa: mamma malata. Dieci giorni di fuga'-racconta il calciatore 'Quando tornai Radice era furibondo. Dissi a Vitali: trovatemi una squadra, anche di B, di C. Ero un impulsivo o forse limitato caratterialmente...'-Ma fu tutto lì? In realtà Calcio 2000 racconta che il calciatore raggiunse la 19enne Patrizia Maschietto che sposò il 6 dicembre 1982 mentre alcuni maligni si sbilanciano fino ad affermare che Dario in realtà si sentiva già un campione e mal sopportava la panchina imposta dai vari MALDERA e BATTISTINI...
Dario Donà
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Dario Donà (Cismon del Grappa, 17 settembre 1961) è un ex calciatore italiano, di ruolo centrocampista.
Carriera
- Club
Donà ha iniziato a giocare nel Selvana per poi passare al Treviso e successivamente al Varese in Serie B. Nel 1981 è stato acquistato dal Milan, con cui però ha disputato solo 2 partite in Coppa Italia prima di essere ceduto a ottobre al Lanerossi Vicenza, in Serie C1, complice anche una fuga del giocatore di 10 giorni per incontrare la fidanzata, cosa che fece infuriare l'allenatore Radice.
Dopo due stagioni a Vicenza, nel 1983 si è trasferito al Bologna, con cui ha guadagnato la promozione in Serie B. Successivamente è passato al Verona, vincendo lo scudetto in una stagione nella quale è sceso in campo in campionato per 12 volte di cui solo 2 da titolare contro Inter e Milan.
Successivamente ha giocato con il Catanzaro in Serie B, la Reggiana in Serie C1 e per tre stagioni con l'Ancona, guadagnando un'altra promozione in Serie B nel 1987-1988, prima di ritornare in Veneto e chiudere la carriera nei dilettanti a 37 anni.
- Nazionale
Donà con la Nazionale italiana Under-20 ha partecipato ai Mondiali di categoria nel 1981, durante i quali ha disputato da titolare la seconda e partendo dalla panchina la terza partita del girone eliminatorio, chiuso all'ultimo posto con conseguente eliminazione dalla competizione.
- Dopo il ritiro
Dopo il ritiro
Dopo aver conseguito il patentino di allenatore ha allenato per alcuni anni in squadre dilettantistiche. In seguito ha deciso di lasciare il calcio iniziando una propria attività nel settore dei trasporti.
Palmarès
Coppa Italia di Serie C: 1 Lanerossi Vicenza 1981-1982
Campionato italiano: 1 Verona 1984-1985
Campionato italiano Serie C1: 1 Ancona 1987-1988
FONTE: Wikipedia.org
21.4.2020 Il ricordo di Donà
"Baresi mi negò la gioia del gol"
«A me piaceva giocare a calcio ma non ero un giocatore di calcio». Chiaro no? Chi parla è un altro dei desaparecido, insieme a Garella e Ferroni, della fantastica rosa che trentacinque anni fa, vinse lo scudetto. Anzi, per la precisione, giusto il 21 aprile del 1985, il nostro «eroe nascosto» consumò la seconda partita intera di tutto quel campionato. «E sì, andò così» ricorda Dario Donà, mediano dai piedi educati.
«Eravamo orfani di Briegel e Fontolan, non due qualunque. D’altra parte c’era Hateley, che era imbattibile sulle palle alte. Lo prese in consegna Volpati, io dovevo stare attento a Scarnecchia. Ho avuto anche l’occasione di far gol ma Franco Baresi fece un recupero dei suoi e ciao sogni di gloria. Però non feci male, anzi».
CADÈ, RADICE E BAGNOLI. «Da giovane ero discreto», racconta Donà, «Mondiale Under 20 in Australia con l’Italia e mi prese il Milan di Radice. Sono sempre stato umile e al mio posto ma certe regole non mi piacevano, così scappai dal ritiro di Asiago del Milan e fu dura raffrontarmi poi con mister Radice». Una fuga d’amore per Patrizia, che poi sarebbe diventata sua moglie. «Dovevo rientrare dopo due giorni, ne feci sette da latitante invece». I tifosi rossoneri quindi erano già maldisposti con Donà. «Noi eravamo un po’ cotti» racconta Dario, «Hateley rientrava dall’infortunio. Non so che mi prese, avevo forse paura ma gli diedi una spallata talmente forte che lo mandai addosso ai cartelloni pubblicitari. Ero davanti alla panchina del Milan, non vi dico le parole, anche del pubblico. Mi fischiarono per tutta la partita. Bagnoli è stato un grande, ma parlava poco. Di un’altra pasta Giancarlo Cadè, allenatore illuminato che ebbi nel proseguo della carriera».
TURCHETTA COME DIEGUITO. «Darione» come veniva chiamato, è in pensione da qualche anno. Si occupava di logistica per un’importante azienda. «Faccio qualcosina con mia figlia, ma poco. Ho una bella casa e mi dedico, in questi giorni di quarantena, al giardino». Su chi fosse più forte del gruppo dello scudetto non ha dubbi: «Elkjaer quando decideva era il più forte attaccante del mondo, Di Gennaro classe pura e poi il mio amico Turchetta, un fenomeno».
COSE DA «TURCO». Se c’era un giocatore che risentiva della pressione domenicale quello era Franco Turchetta, altra riserva di lusso di quel Verona. «Esatto», commenta Donà, «quando eravamo insieme a Varese, mister Fascetti insieme al professor Arcelli ci portava a correre attorno ad un campo da golf. Eravamo esasperati, poca palla e tanta corsa. Il “Turco” vide una pallina da golf e si mise a palleggiare con quella, mai vista una cosa del genere. Forse Maradona con l’arancia. Turchetta in quello era ai livelli di Diego». Nella chat di Whatsapp si inserisce Domenico Volpati. «Dov’eri finito Dario?». Racconta l’uomo preposto alla marcatura di Hateley. «Mamma mia, trentacinque anni esatti da quella partita... Donà fu bravissimo a San Siro e poi ci fu una parata straordinaria di Garella. L’unica volta che Hateley me l’aveva fatta, ci mise un pezza Claudio deviandola sul palo. Pensa che ero talmente concentrato sull’attaccante del Milan che a volte a forza di ostacolarci la palla non la prendevo né io né lui».
L’incursione del «Volpe» dura poco. A distanza di 35 anni quel gruppo è solido. E quella squadra resterà nella memoria di tutti, come del resto quello zero a zero a San Siro. L’ultimo vero Diavolo da sconfiggere sulla strada che conduceva al paradiso. •
Gianluca Tavellin
FONTE: LArena.it
🎂 Auguri Dario! 🎂
Oggi compie 56 anni uno dei protagonisti dello Scudetto 🇮🇹 gialloblù! pic.twitter.com/ZEN4Q32hYk
Meteore Rossonere Dario Donà: il giovane lotinlover degli anni 80
Dario Donà: Il Milan lo prese dal Verese era un giovane di grandi prospettive
Dario Donà: di lui si conosce soprattutto solo le imprese come “lotinlover” fuori campo che dentro in campo
giugno 9, 2017
Ai tempi della caduta in serie B, il Milan ha messo le basi per un futuro roseo, facendo crescere giovani di grandi talento che sarebbero stati protagonisti nella massima serie. Tra questi c’era anche chi non è riuscito ad emergere: Dario Donà.
Dario Donà, nato il 17.09.1961 a Cismon del Grappa (VI), è il primo calciatore meteora di cui voglio parlarvi.
Quando il Milan lo acquistò nell’estate del 1981 da Varese era un giovanotto di belle prospettive, il salto dalla provincia alla grossa squadra quindi doveva essere per lui la consacrazione nel calcio che vale. Certo quello non era un Milan dalle grosse potenzialità o prospettive in quanto era appena risalito dalla serie B e cercava di rifarsi immediatamente puntando su giovani promesse e sul settore giovanile che in quegli anni fu abbastanza generoso con i rossoneri, infatti ricordiamo i vari Baresi, Collovati, Battistini, Icardi, Evani, insomma il Milan cercava di rinverdire i fasti di un tempo con una robusta iniezione di gioventù; si era deciso di portare a case quel talento e metterlo sotto la guida di un sergente di ferro come l’allora allenatore dei rossoneri Gigi Radice.
Fu proprio quel connubio che innescò delle scintille; infatti il carattere del ragazzo irascibile e ribelle portò ben presto degli scontri nello spogliatoio ed il giovane Donà fu artefice di una vera e propria fuga dal ritiro milanista. Si disse sulle prime che la stessa fu alimentata da una love story e la cosa piacque non poco a giornali e all’opinione pubblica. Si narrava che l’avesse fatta per una certa Patrizia alla quale il diciannovenne non poteva resistere. La verità venne ben presto a galla, infatti il ragazzo si sentiva già un campione arrivato e non accettava di fare la riserva ad i vari Maldera e Battistini, mal digeriva che il sergente di ferro Radice lo facesse mangiare con i giovani della primavera, si considerava insomma un campione e decise di scappare.
Lo videro gozzovigliare presso i Bar di Treviso, insieme ad altri giovani tra i quali vi era appunto la Patrizia citata dai giornali.
Insomma è stato un esempio di giovane immaturo e borioso calciatore, di cui la storia del calcio è piena. Si diceva di lui un gran bene, ma al Milan si bruciò immediatamente, i rossoneri lo cedettero in serie C al Vicenza e se ne persero le tracce anche se lo ritroviamo nel Verona scudettato del 1985 anche lì con un ruolo secondario.
Nel Milan giocò 2 partite ufficiale senza lasciare il segno
Ha giocato anche con il Treviso (C1), il Varese (B), L.R. Vicenza (C1), il Bologna (C1), il Verona (A), il Catanzaro (B), la Reggiana (C1), l’Ancona (C1 e B).
Ivano Michetti
FONTE: DNAMilan.net
Donà, lo spettatore privilegiato in panchina
maggio 5, 2015
“Misi assieme una dozzina di presenze: ma entravo quasi sempre ad una manciata di minuti dalla fine. Giocai dall’inizio contro l’Inter e poi a San Siro contro il Milan. A Bagnoli era piaciuto come avevo annullato Brady e, viste le assenze di Briegel, Ferroni, Fontolan e Sacchetti, mi chiese di fare lo stesso sulla fascia destra contro Scarnecchia”. Protagonista dello storico scudetto 1984/85 dell’Hellas Verona, a modo suo, lo è stato anche Dario Donà. “La stagione del Verona è stata bellissima, entusiasmante e ne serbo ancora oggi un ricordo indelebile. Ma, diciamo la verità, l’ho vissuta più da spettatore non pagante. E mi sono anche divertito un mondo. In squadra c’erano giocatori straordinari, guardarli era un’emozione unica”.
Fonte e foto: larena.it
FONTE: HellasLive.it
Donà: il "mediocre" che fece un salto in Paradiso
Pubblicato: 03 Aprile 2015
Non sarei in grado di dirvi se Dario Donà ha effettivamente stabilito un record, ma di sicuro è il protagonista di una parabola calcistica unica nel suo genere, che nel giro di due anni l’ha condotto dalla terza serie alla vittoria di uno scudetto (peraltro storico) per poi tornare immediatamente nell’anonimato sino alla conclusione della carriera agonistica.
Innanzitutto, chi è Dario Donà? Nato in Veneto (a Cismon del Grappa, nel vicentino, ma trasferitosi a Treviso in tenerissima età), lasciò presto la scuola (si fermò al terzo anno dell’Itis, come ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera del 2003) per tentare la carriera di calciatore. Dopo i primi calci nel Selvana il ragazzo esordisce in C1 proprio con la maglia dei trevigiani, stagione 1979/80. Sogliano, vecchia volpe del mercato, l’aveva già adocchiato prima dell’inizio del campionato in questione per portarlo con sé al Varese, ma il ragazzo rispose picche preferendo non allontanarsi da casa. Il matrimonio con il club biancorosso si sarebbe comunque consumato dodici mesi dopo, con la squadra allora guidata da Fascetti fresca di ritorno in B. Dopo le trentun presenze senza reti della sua prima stagione da professionista, in terra varesotta trovare spazio si rivela più dura e i gettoni si fermano a sedici.
In una di queste occasioni, il ragazzo ha tuttavia modo di mettersi in mostra contro il Milan: i rossoneri, retrocessi l’anno prima a tavolino in seguito allo scandalo del calcioscommesse, tornano immediatamente al piano superiore e la società allora presieduta da Morazzoni decide di puntare su questo diciannovenne che ha ben impressionato nel derby tra lombarde.
Cambia il palcoscenico, cambia anche la musica: Donà non è tipo facilmente domabile, si dice che avesse un bel caratterino. Inoltre era innamoratissimo di Patrizia, colei che da lì a qualche anno sarebbe diventata sua moglie e la madre delle sue figlie Alice e Agata. Gigi Radice, tecnico dei Diavoli, gli preferisce inizialmente dei giocatori più smaliziati come Maldera e Battistini, ma la rottura del rapporto tra i due non arrivò per ragioni tecniche: Donà si rese protagonista di una sorta di fuga durata ben dieci giorni proprio per andare a trovare la propria morosa a Treviso, adducendo la scusa della madre malata. Inevitabile la prematura chiusura del rapporto con il sodalizio milanese senza aver nemmeno avuto la gioia di esordire nel massimo campionato e – grazie all’intermezzo del proprio procuratore Vitali – scontato il ritorno dalle parti di casa: la squadra è il Lanerossi Vicenza, la categoria ancora la C1.
In biancorosso Donà pare pian piano ritrovarsi: in due anni 55 presenze, sei gol, un terzo e un quarto posto. A 22 anni il treno da prendere si chiama Bologna, una corazzata costruita per tentare l’immediato ritorno in B dopo due retrocessioni di fila. Nella stagione 1983/84 il centrocampista veneto mostrò un’insospettabile feeling con la rete, siglando – in trentaquattro occasioni-ben cinque segnature utili per il raggiungimento dell’obiettivo da parte dei rossoblu felsinei, classificatisi secondi alle spalle del Parma.
Tre buoni campionati in terza serie, ventitré anni ancora da compiere: il paradiso non può più attendere. L’occasione è di quelle ghiotte: a dargliela è il Verona, che non solo gli avrebbe permesso di riavvicinarsi a casa ma di potersi misurare, stavolta con una maggior maturità acquisita, con il campionato di Serie A.
La squadra di Osvaldo Bagnoli non è una semplice comprimaria e grazie a un mix ben riuscito di scarti delle grandi squadre, gregari di lusso e giovani vogliosi di mettersi in mostra ha avuto modo di figurare benissimo nelle due stagioni precedenti, che avrebbe concluso rispettivamente al quarto e al sesto posto.
Nell’estate del 1984 non arrivò solo Donà a rinforzare i gialloblu, ma anche altri due giovani interessanti come Turchetta e Marangon II e in particolare gli stranieri Briegel, mediano tedesco dai muscoli d’acciaio, e Elkjaer, attaccante danese dotato di potenza esplosiva. Fu così che nacque il capolavoro di Bagnoli, capace di far vincere lo scudetto per la prima volta nella propria storia agli scaligeri, tutt’altro che accreditati per l’aggiudicazione del titolo alla vigilia della stagione.
In quell’annata esaltante, Donà mise insieme dodici presenze, ma solo in due casi – contro Inter e Milan – avrebbe avuto modo di disputare tutti i novanta minuti. I restanti dieci gettoni sono frutto di subentri nei minuti finali, verosimilmente per spezzare il ritmo agli avversari. In quella squadra “di bravi ragazzi”, come lui stesso l’avrebbe definita più avanti, pur essendo riuscito a integrarsi bene con il gruppo, le occasioni per mettersi in mostra difettavano. Così, pur di giocare, all’indomani del trionfo veronese l’impulsivo Donà finì con il firmare per il Catanzaro, nel profondo sud dell’Italia e in Serie B. I giallorossi partirono bene, ma l’inesorabile crollo portò a un’inattesa retrocessione, in un ambiente molto più caldo rispetto a quelli a cui il buon Dario era abituato.
Nel Meridione, si sa, le tifoserie spesso preferiscono il giocatore la cui generosità supera l’evidenza dei propri limiti tecnici; Donà era fondamentalmente l’opposto, dotato di buona tecnica ma di scarsa grinta (caratteristica questa che ha sempre invidiato ai colleghi del Mezzogiorno, ben più affamati rispetto a lui). Evidente che il matrimonio non era destinato a durare. Un anno a Reggio Emilia in C1 e un triennio ad Ancona, con la gioia di una nuova promozione sotto la guida di Giancarlo Cadé-già suo mentore ai tempi di Vicenza – e la possibilità di giocare gli ultimi due campionati di B della carriera tra il 1988 e il 1990. Nonostante l’età tutto sommato abbastanza giovane (29 anni ancora da compiere) Donà decise di dire basta con il calcio professionistico e spese gli ultimi scampoli di carriera nei dilettanti, con le maglie di Giorgione e Miranese.
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, Donà tagliò inizialmente i ponti con il mondo del calcio. Tentò l’avventura da imprenditore in quello delle calzature, insieme con la sorella, ma i risultati non furono all’altezza delle aspettative; meglio fece nel settore dei trasporti, nel quale fu introdotto dal suocero sino a mettere in piedi una propria ditta. La passionaccia però prima o poi ritorna e cronache recenti danno l'ex centrocampista dell'Hellas addirittura nelle vesti di allenatore: sotto Natale del 2013 tentò l'impresa di salvare il Ponzano Calcio, eccellenza veneta, senza però riuscirci.
La sua indole combattiva non propriamente da Cuor di Leone e il suo carattere tanto impulsivo da fargli perdere più di un treno l’avrebbero portato ad autodefinirsi un “mediocre”; l’autocritica e l’umiltà sono sicuramente doti delle persone sagge, ma viene difficile parlare di mediocrità quando contribuisci a portare uno storico tricolore nella tua regione. Sia pure se quelle dodici presenze da Campione D’Italia sono state l’insperato picco di una carriera vissuta, per il resto, interamente al di sotto della massima serie.
FONTE: NicolaAdamu.eu
DARIO DONÀ
Del 29/12/2011 di Daniele Manuelli
Ai tempi della caduta in serie B, il Milan ha messo le basi per un futuro roseo, facendo crescere giovani di grandi talento che sarebbero stati protagonisti nella massima serie. Tra questi c'era anche chi non è riuscito ad emergere: Dario Donà.
Dario Donà, nato il 17.09.1961 a Cismon del Grappa (VI), è il primo calciatore meteora di cui voglio parlarvi.
Quando il Milan lo acquistò nell’estate del 1981 da Varese era un giovanotto di belle prospettive, il salto dalla provincia alla grossa squadra quindi doveva essere per lui la consacrazione nel calcio che vale. Certo quello non era un Milan dalle grosse potenzialità o prospettive in quanto era appena risalito dalla serie B e cercava di rifarsi immediatamente puntando su giovani promesse e sul settore giovanile che in quegli anni fu abbastanza generoso con i rossoneri, infatti ricordiamo i vari Baresi, Collovati, Battistini, Icardi, Evani, insomma il Milan cercava di rinverdire i fasti di un tempo con una robusta iniezione di gioventù; si era deciso di portare a case quel talento e metterlo sotto la guida di un sergente di ferro come l’allora allenatore dei rossoneri Gigi Radice.
Fu proprio quel connubio che innescò delle scintille; infatti il carattere del ragazzo irascibile e ribelle portò ben presto degli scontri nello spogliatoio ed il giovane Donà fu artefice di una vera e propria fuga dal ritiro milanista. Si disse sulle prime che la stessa fu alimentata da una love story e la cosa piacque non poco a giornali e all’opinione pubblica. Si narrava che l’avesse fatta per una certa Patrizia alla quale il diciannovenne non poteva resistere. La verità venne ben presto a galla, infatti il ragazzo si sentiva già un campione arrivato e non accettava di fare la riserva ad i vari Maldera e Battistini, mal digeriva che il sergente di ferro Radice lo facesse mangiare con i giovani della primavera, si considerava insomma un campione e decise di scappare
Lo videro gozzovigliare presso i Bar di Treviso, insieme ad altri giovani tra i quali vi era appunto la Patrizia citata dai giornali.
Insomma è stato un esempio di giovane immaturo e borioso calciatore, di cui la storia del calcio è piena. Si diceva di lui un gran bene, ma al Milan si bruciò immediatamente, i rossoneri lo cedettero in serie C al Vicenza e se ne persero le tracce anche se lo ritroviamo nel Verona scudettato del 1985 anche lì con un ruolo secondario.
Nel Milan giocò 2 partite ufficiale senza lasciare il segno
Ha giocato anche con il Treviso (C1), il Varese (B), L.R. Vicenza (C1), il Bologna (C1), il Verona (A), il Catanzaro (B), la Reggiana (C1), l’Ancona (C1 e B).
Ivano Michetti
FONTE: DNAMilan.com
Dario DONA' (II)
Nato il 17.09.1961 a Cismon del Grappa (VI)
Centrocampista (C), m 1.80, kg 75
Stagioni al Milan: 1, 1981-82 (ceduto al Lanerossi Vicenza nell’ottobre 1981)
Proveniente dal Varese
Esordio nel Milan in gare ufficiali e in Coppa Italia il 23.08.1981: Verona vs Milan 2-0
Ultima partita giocata con il Milan il 30.08.1981: Milan vs Pescara 5-0 (Coppa Italia)
Totale presenze in gare ufficiali: 2
Reti segnate: 0
Palmares rossonero:-
Esordio assoluto in Serie A il 16.09.1984: Verona vs Napoli 3-1
Palmares personale: 1 Scudetto (1984-85, Verona), 1 Promozione in Serie B (1988-89, Ancona)
Ha giocato anche con il Treviso (C1), il Varese (B), L.R. Vicenza (C1), il Bologna (C1), il Verona (A), il Catanzaro (B), la Reggiana (C1), l’Ancona (C1 e B), il Giorgione (*).
Anni fa Dario Donà, sicura promessa del calcio passato dal Milan al Varese a 19 anni, un giorno fuggì e restò uccel di bosco per dieci giorni. Durante questo periodo aveva raggiunto Patrizia Maschietto, 19 anni, trevigiana. Quando fece ritorno alla base, Donà venne ceduto al Vicenza: più vicino alla sua lei che sposò il 6 dicembre 1982." (Da “Calcio 2000”, giugno 2003)
FONTE: MagliaRossonera.it
LA STORIA. SCUDETTO PER CASO «Ero un mediocre, ho pensato al dopo»
Donà: «Tecnicamente me la cavavo, ma non avevo la molla dentro; poi mi sono pentito» «Al Milan non stavo bene Fuggii dal ritiro, Radice s'infuriò»
«Mi sono sempre preparato al dopo. Non potevo fare altro, essendo un mediocre». La sincerità, però, non è sentimento del mediocre. Dario Donà ragiona semplice, ma non banale. È un uomo che va verso i 42 anni, ma il grigio, nella sua vita, è un colore come gli altri. La sfumatura di qualche cielo veneto, sotto cui ora vive da imprenditore, sotto cui, una volta, rincorreva un pallone.
«Sono di Cismon del Grappa, ma ci sono stato solo nove mesi. Poi con la famiglia siamo venuti a Treviso». E a Treviso ancora vive, con la sua nuova famiglia. Quella d'origine era formata da papà Giuseppe, operaio alla De Longhi, mamma Germana casalinga, tre sorelle e un fratello. Papà e una sorella non ci sono più. Donà comincia nel grande prato della Fiera.
«C'era il Luna Park più grande del Veneto, e anche il campo da calcio più grande del mondo, per noi. Palla lunga e pedalare per interi pomeriggi». Vengono da una provincia a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, tutti i protagonisti di queste storie, e se la ricordano con un po' di nostalgia. «Penso a quei tempi volentieri. Avevamo pochi grilli per la testa, soldi non ce n'erano. Però, guardi, io ho due figlie e le posso dire che eravamo molto più felici dei giovani d'oggi. Noi la tv l'andavamo a vedere dalle famiglie vicine. Era un modo di stare uniti, coi vicini ci si conosceva, ci si aiutava».
Suo fratello gioca attaccante nel Montebelluna, Donà cerca di imitarlo. Primi calci nel Selvana. Un giorno arriva Sogliano che lo vuole portare a Varese. «Dovevo andare in collegio ma non mi andava di lasciare casa mia. Ho fatto una scelta e sono rimasto». Lo prende il Treviso. «Iniziai ad arretrare la mia posizione in campo: più arretri e più è facile giocare».
Bella teoria, molta pratica, pochi studi. «Non avevo tanta voglia, mi sono fermato al terzo anno dell'Itis. Poi, dopo, ti rendi conto dei tuoi errori. Lo dico sempre a mia moglie: maledetto il giorno che ho fatto il calciatore». Perbacco, sembra un sopravvissuto di un film di Verdone. «La verità è che siamo viziati e scopriamo la vita dopo i trent'anni. Poi, ai miei tempi, non si guadagnava abbastanza da vivere di rendita. Un nazionale, a Verona, prendeva 150 milioni».
Dario Donà dunque resta a Treviso, ma poi, a Varese, ci finisce comunque. «E feci pure un buon campionato. Giocai una bella partita con il Milan e mi presero». Succede ancora adesso, a vent'anni di distanza. Però, al Milan, resta poco. «Non ci stavo bene, proprio per niente. Così sono andato via dal ritiro».
Scappato? «Quasi. Inventai una scusa: mamma malata. Dieci giorni di fuga. Quando tornai Radice era furibondo. Dissi a Vitali: trovatemi una squadra, anche di B, di C. Ero un impulsivo».
Un' immagine che contrasta con quella dell'uomo in grigio. «Diciamo, allora, che ero limitato caratterialmente. Sono sempre stato consapevole che l'avrei pagata, però ho mollato il Milan e sono andato a Vicenza. Poi a Bologna con Cadè. Con Cadè sono stato anche ad Ancona, dopo. Cinque anni in tutto. È la persona che, del calcio, ricordo con più affetto: semplice, squisito, colto».
A Bologna conquista la promozione dalla C1 alla B. «In un certo senso ero in anticipo sui tempi: preferivo squadre di serie minori ma con cui si avesse un incentivo».
Arriva a Verona al momento giusto. «Eravamo 17 e non s' è mai fatto male nessuno. Bravi ragazzi, gente umile, stranieri compresi. C'era un rapporto di fiducia con l'allenatore. Ogni tanto Bagnoli faceva allenare la squadra a Volpati, il dottore. Osvaldo metteva tutti a proprio agio e mise tutti al posto giusto».
Dodici presenze, nessun gol. «Le uniche due partite intere le ho fatte con Inter e Milan. Entravo nel secondo tempo, solitamente marcavo la mezza punta avversaria, Platini, Dirceu».
Arriva lo scudetto, ma non il posto da titolare. «Sacchetti doveva andar via e invece rimase. Io volevo giocare. Così sono finito a Catanzaro. Sì, lo so cosa pensa, non vuole andare a Varese, scappa dal Milan e poi finisce a Catanzaro. A livello tecnico non ero male, ma mi è sempre mancata la molla. Ho sempre invidiato i colleghi del Sud: avevano il fuoco dentro. Io, per ambientarmi, facevo molta fatica».
Se capiti nel posto sbagliato al momento sbagliato è ancora più difficile. «Un anno burrascoso. A Natale eravamo quarti ma finimmo col retrocedere. Ci tiravano i sassi, spararono al presidente».
Donà risale la penisola, fa tappa a Reggio Emilia, poi ad Ancona. «Bel posto, ho ancora tanti amici. Io e mia moglie volevamo stabilirci laggiù». In Veneto, nella galassia dilettanti, gli ultimi calci. «Ho allenato anche un paio d'anni in promozione, poi basta. Con mia sorella avevo una fabbrica di scarpe ma non è andata bene. Mio suocero ha un'azienda di trasporti, mi sono incanalato nella stessa direzione e ora ho una ditta mia. La sa una cosa? Mi sembra finalmente di lavorare. Trovo più soddisfazione in quello che faccio ora. Nel '90 Pasqualin mi voleva prendere con lui, ma rifiutai. Conosco i miei limiti. Mi sono messo da parte».
Il pallone in soffitta. O quasi. «Ogni tanto vado allo stadio a Treviso. Se guardo una partita in tv, però, mi addormento. Meglio il calcio estero. Del resto non ho tempo. Cinque giorni lavoro, sabato e domenica ho 2.500 metri quadri di giardino da tenere a posto. Vado in bici con le mie figlie».
Non una vita mediocre, ma una vita normale. Quella che vorremmo tutti, la più difficile da conquistare.
Roberto Perrone Imprenditore
CHI È Dario Donà è di Cismon del Grappa (17/9/1961) ma vive a Treviso. Figlio di un operaio (Giuseppe) e di una casalinga (Germana), quinto di cinque figli, pur avendo il patentino ha lasciato il mondo del calcio e ha avviato un' attività nel settore dei trasporti. Sposato da 22 anni con Patrizia, ha due figlie: Alice di 20 anni e Agata di 10.
LA CARRIERA Centrocampista, la prima squadra di Donà è stata la Selvana, poi il Treviso. Da lì è passato al Varese, quindi per un breve periodo al Milan, poi al Vicenza. Due anni al Bologna in C1 e da lì è approdato al Verona nell' anno dello scudetto, 1984-85: 12 presenze in serie A, tutte in quell' anno magico. È passato al Catanzaro, quindi alla Reggiana e all' Ancona dove è rimasto fino al 1990. Tornato in Veneto, nel Giorgione e nel Mirano e ha concluso tra i dilettanti a 37 anni. Dario Donà
TRICOLORE NELL'85 Il 1984-85, l'anno dello scudetto del Verona di Bagnoli. Due stranieri al posto giusto (il danese Larsen-Elkjaer e il tedesco Briegel), alcuni scarti di grandi squadre rivitalizzati (Fanna, Galderisi, Tricella, Di Gennaro), ottimi gregari (Volpati, Bruni), il tutto miscelato dal buonsenso dell' Osvaldo. Verona primo con 43 punti, seguono Torino a 39 e Inter a 38. Goleador: Galderisi con 11 gol.
LA FRASE Al Verona eravamo 17 bravi ragazzi: Bagnoli, che metteva tutti a proprio agio, si divertiva a dare la squadra a Volpati, il dottore.
Perrone Roberto
(16 febbraio 2003)-Corriere della Sera
FONTE: ArchivioStorico.Corriere.it
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Potevo tifare mille squadre, o magari quelle che tifano tutti. E invece tu mi hai fatto gialloblù.