#VeronaCampione + - =
...Che VERONA quel VERONA!
Immaginate quella squadra gialloblù, che già da tre anni dopo il ritorno in Serie A col 'mago' BAGNOLI, partecipava costantemente alle competizioni europee, vista con gli occhi di un ragazzino di 13 anni che proprio allora, grazie alla fede incrollabile del padre, si avvicinava alla passione (diventata poi sfrenata) per i colori scaligeri.
Partita dopo partita, da quel 17 Settembre 1984 d'esordio contro il NAPOLI del fenomeno Diego Armando MARADONA, gomito a gomito col mio papà a sentire Roberto Puliero narrare le imprese scaligere dai microfoni di Radio Adige, ecco dipanarsi il campionato di un HELLAS outsider assoluto, che aveva perso STORGATO, GUIDOLIN (quanto s'incazzò l'Osvaldin de la Bovisa nel vedere andar via il suo alter ego sul campo!) e soprattutto bomber IORIO autore di 21 gol tra campionato e Coppa Italia nella stagione precedente, e che si trovava a dover fare per l'ennesima volta di necessità virtù nel campionato più bello e difficile del mondo dove arrivavano solo i più grandi fuoriclasse stranieri come MARADONA, ZICO e PLATINI (limitati ad un massimo di due per squadra).
Dal calciomercato estivo erano arrivati tre emeriti Carneade come MARANGON II (sponsorizzato dal fratello Luciano), DONÀ e TURCHETTA nonché i due stranieri d'ordinanza ELKJAER e BRIEGEL messisi in luce (ma nemmeno più di tanto) ai recenti campionati europei in Francia.
Immaginate quella squadra gialloblù, che già da tre anni dopo il ritorno in Serie A col 'mago' BAGNOLI, partecipava costantemente alle competizioni europee, vista con gli occhi di un ragazzino di 13 anni che proprio allora, grazie alla fede incrollabile del padre, si avvicinava alla passione (diventata poi sfrenata) per i colori scaligeri.
Partita dopo partita, da quel 17 Settembre 1984 d'esordio contro il NAPOLI del fenomeno Diego Armando MARADONA, gomito a gomito col mio papà a sentire Roberto Puliero narrare le imprese scaligere dai microfoni di Radio Adige, ecco dipanarsi il campionato di un HELLAS outsider assoluto, che aveva perso STORGATO, GUIDOLIN (quanto s'incazzò l'Osvaldin de la Bovisa nel vedere andar via il suo alter ego sul campo!) e soprattutto bomber IORIO autore di 21 gol tra campionato e Coppa Italia nella stagione precedente, e che si trovava a dover fare per l'ennesima volta di necessità virtù nel campionato più bello e difficile del mondo dove arrivavano solo i più grandi fuoriclasse stranieri come MARADONA, ZICO e PLATINI (limitati ad un massimo di due per squadra).
Dal calciomercato estivo erano arrivati tre emeriti Carneade come MARANGON II (sponsorizzato dal fratello Luciano), DONÀ e TURCHETTA nonché i due stranieri d'ordinanza ELKJAER e BRIEGEL messisi in luce (ma nemmeno più di tanto) ai recenti campionati europei in Francia.
...Pronti-via e i gialloblù sono subito davanti ma nessuno crede nell'effettivo valore di questa provinciale (a parte quel ragazzino di cui sopra e altri sognatori come lui) che sarebbe presto stata ricondotta nei ranghi di appartenenza, o almeno così pensavano i soliti 'parrucconi impolverati' e invece l'HELLAS, che pure secondo mister BAGNOLI avrebbe fatto fatica a salvarsi (questo ovviamente si sarebbe saputo solo molto dopo grazie ad una rivelazione di GARELLA), a fine Novembre è a +2 su SAMPDORIA e TORINO dirette inseguitrici e perde per la prima volta solo a metà Gennaio, nella gara in trasferta ad Avellino.
Alla prima di ritorno il VERONA pareggia al San Paolo di Napoli e l'INTER ne approfitta per agganciare i gialloblù in testa alla classifica ma è un fuoco di paglia e alla 17esima la squadra scaligera è ancora davanti dopo la vittoria sull'ASCOLI al Bentegodi seguita dal magnifico 5 a 3 in trasferta al Friuli di Udine!
Quell'incredibile HELLAS è davvero una gioia per gli occhi col grandissimo capitan TRICELLA a dirigere una difesa granitica e a rilanciare l'azione appena se ne presenta l'occasione e quel DI GENNARO, 'esiliato' da Firenze in quanto chiuso dall'icona gigliata ANTOGNONI, direttore di un centrocampo mixato alla perfezione con la possente forza di Hans Peter, la devastante velocità di Pierino FANNA ed il preziosissimo jolly VOLPATI mentre in attacco lo scaltro Nanu GALDERISI combina alla perfezione con l'irriverente Preben (si... Quello del gol senza scarpa alla JUVE!).
Soltanto a metà Aprile arriva la seconda sconfitta stagionale e fa malissimo al Bentegodi contro la diretta concorrente TORINO che con SERENA e SCHACHNER rischiava di rovinare tutto... Ma i gialloblù non mollano e ripartono a testa bassa: Pari a San Siro col MILAN, vittoria di misura in casa con la LAZIO, altro pari casalingo col COMO e finalmente l'1 a 1 di Bergamo griffato ELKJAER che sancisce, il 12 Maggio '85, la conquista del primo, storico tricolore con una giornata d'anticipo!
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Verona Campione d'Italia 1984/85
L'incredibile SCUDETTO del VERONA '84-85
35° ANNIVERSARIO
16 Settembre 1984 Verona vs Napoli
Verona - Trentacinque anni fa l'Hellas Verona realizzava un’impresa che è rimasta indelebilmente impressa nella storia del calcio e nel cuore dei tifosi gialloblù. Iniziamo oggi, venerdì 8 maggio, un percorso all’interno della nostra Favola Senza Fine. Ogni giorno, per celebrare tutti insieme quell'impresa, pubblicheremo sui nostri canali contenuti esclusivi, che ci accompegneranno sino al 12 maggio 2020.
Si parte proprio dalla prima giornata, ovvero dalla prima volta in cui il Verona mostrò di avere il DNA della grande squadra.
16/9/84 | Hellas Verona-Napoli
Prima giornata: al Bentegodi arriva il Napoli di un certo Diego Armando Maradona, alla sua prima stagione in Italia e al debutto assoluto in Serie A. Quella è stata la prima volta, di una lunga serie, in cui i valori di una squadra unica nel suo genere hanno prevalso sulle maggiori credenziali dell’avversario. Quel giorno, indimenticabile come tutta la cavalcata gialloblù, è iniziata la nostra Favola Senza Fine.
HELLAS VERONA-NAPOLI 3-1
Marcatori: 25' pt Briegel, 32' pt Galderisi, 13' st Bertoni, 20' st Di Gennaro.
SERIE A 1984/85
CLASSIFICA 1a GIORNATA
Verona 2
Fiorentina 2
Sampdoria 2
Torino 2
Milan 1
Udinese 1
Atalanta 1
Inter 1
Avellino 1
Como 1
Juventus 1
Roma 1
Ascoli 0
Cremonese 0
Lazio 0
Napoli 0
14 Ottobre 1984 Verona vs Juventus
Verona - Prosegue il viaggio nella nostra ‘Favola Senza Fine’, quella dell’inimitabile scudetto del 1985. Oggi, sabato 10 maggio, ecco un altro doppio appuntamento con la storia gialloblù. Il primo già online con un’immagine bellissima e iconica, nel pomeriggio, sempre sui nostri canali, un contenuto video che ci farà immergere nelle emozioni di Verona-Juventus dell’ottobre 1984.
4/10/84 | Hellas Verona-Juventus
Dopo la bellissima vittoria con il Napoli nel turno inaugurale di campionato, la nostra narrazione si focalizza sulla quinta giornata: al Bentegodi arriva la Juventus. Il Verona si presenta al big match primo in classifica, con 7 punti, frutto delle vittorie con Napoli, Ascoli e Udinese e del pareggio con l’Inter a Milano. La Juve però dista solo 2 lunghezze e può contare su campioni del calibro di Platini, Scirea, Tardelli, e Boniek. Il Verona, però, dimostra ancora una volta di essere una squadra vera, presentando al mondo le qualità eccelse di Preben Larsen Elkjaer, che in quella partita segna la rete simbolo della nostra Favola Senza Fine.
Hellas Verona-Juventus 2-0
Marcatori: 17’ st Galderisi, 31’ st Elkjaer.
SERIE A 1984/85
CLASSIFICA 5a GIORNATA
Verona 9
Sampdoria 8
Torino 7
Milan 7
Fiorentina 6
Inter 6
Juventus 5
Avellino 5
Como 5
Roma 4
Napoli 4
Atalanta 4
Udinese 3
Cremonese 3
Lazio 3
Ascoli 1
10 Febbraio 1985 Udinese vs Verona
Verona - Nuovo episodio nel nostro racconto di una ‘Favola Senza Fine’. Oggi, domenica 10 maggio, altri due contenuti esclusivi per raccontare Udinese-Hellas Verona: online la foto dell’abbraccio di uomini veri e nel pomeriggio, sui nostri canali, un video imperdibile.
10/2/85 | Udinese-Hellas Verona
Siamo arrivati alla 18a giornata di campionato e in classifica sono cambiate tante cose: il Verona, però, è sempre davanti a tutti, con Inter e Torino che sono i primi inseguitori della squadra di Bagnoli. Il 10 febbraio, l’Hellas scende in campo contro l’Udinese a Udine. La squadra di Zico è quartultima, e dopo 20 minuti la pratica sembra già archiviata, coi gialloblù avanti 3-0 e con la partita sotto controllo. Ma i bianconeri, guidati da mister Luis Vinicio, reagiscono e in soli 15 minuti riescono a recuperare lo svantaggio. La sfida cambia inerzia, l'Inter sta vincendo e raggiungerebbe il Verona in vetta alla classifica, sembra una occasione sprecata, ma il Verona, anzi quel Verona ha mille risorse. Con la determinazione e la consapevolezza che appartengono alle grandi squadre, i gialloblù trovano la forza per tornare avanti e portare a casa 2 punti fondamentali per il prosieguo della ‘Favola Senza Fine’. Quella partita rimarrà negli annali come una delle sfide più belle della storia del calcio.
Udinsese-Hellas Verona 3-5
Marcatori: 3’ pt Briegel, 10 pt’ Galderisi, 20’ pt Elkjaer, 45’ pt Edinho, 8’ st Carnevale, 14’ st Mauro, 16’ st Elkjaer, 18’ st Briegel
SERIE A 1984/85
CLASSIFICA 18a GIORNATA
Verona 27
Inter 26
Torino 23
Roma 23
Juventus 22
Sampdoria 21
Milan 21
Fiorentina 19
Napoli 17
Atalanta 17
Como 16
Avellino 15
Udinese 14
Ascoli 11
Lazio 9
Cremonese 7
17 Marzo 1985: Fiorentina vs Verona
Verona - La nostra ‘Favola Senza Fine’ fa tappa nella splendida Firenze per l’ennesima prova di forza del Verona di mister Bagnoli. Mancando sempre meno alla storica data del 12 maggio, oggi, nella vigilia del 35esimo anniversario dello Scudetto gialloblù, sono in programma diverse sorprese. Oltre ai consueti appuntamenti con la foto storica (è già online quella che ritrae Briegel in azione) e con il video che ci farà rivivere le emozioni di #FiorentinaVerona, ci sarà anche un giveaway dedicato a tutti i tifosi. Questa sera, invece, saremo LIVE sui nostri canali Instagram e Facebook con due grandi protagonisti della nostra ‘Favola Senza Fine’: Tricella e Volpati.
PARTECIPA AL GIVEAWAY
Tagga un amico nei commenti nel post social di Facebook in basso o su Instagram (CLICCA QUI): domani estrarremo il vincitore di una replica della maglia da trasferta del 1984/85. E se hai commentato ma non sei il fortunato vincitore della maglia replica, potrai comunque acquistarla con il 20% di sconto e con la spedizione gratuita. Come? Vai su hvstore.it, scegli la tua maglia Copa, seleziona il ritiro in store e nelle note scrivi il tuo indirizzo. Riceverai la maglia comodamente a casa!
17/3/85 | Fiorentina-Hellas Verona
Il Verona si lascia alle spalle la splendida partita di Udine e riprende la sua marcia, dapprima pareggiando con l’Inter al Bentegodi, poi con la Juventus a Torino e infine superando la Roma in casa. Un trittico di partite che porta alla sfida di Firenze. In contemporanea si giocano il derby di Milano e Torino-Sampdoria, terza contro quarta in classifica. Insomma, giornata da circoletto rosso nella corsa allo Scudetto. La Fiorentina di Socrates è una squadra di spessore e mette in difficoltà il Verona, tanto che la prima frazione si chiude con i viola avanti per 1 a 0. Nella ripresa, però, c’è la veemente reazione gialloblù e l’entusiasmante rimonta. In cattedra sale il più piccolino di tutti (ma solo di statura). Stiamo naturalmente parlando di ‘Nanu’ Galderisi, che - dopo il pareggio di Fontolan - sigla una doppietta e regala altri 2 punti ai gialloblù. Arrivano buone notizie anche dagli altri campi: Inter e Torino pareggiano, e così il Verona è sempre più capolista, con 3 punti di vantaggio sui nerazzurri e 5 su granata e blucerchiati. La nostra ‘Favola Senza Fine’ continua…
Fiorentina-Hellas Verona 1-3
Marcatori: 11’ pt Monelli, 12’ st Fontolan, 25’ st (rig.) e 38’ st Galderisi
SERIE A 1984/85
CLASSIFICA 22a GIORNATA
Verona 33
Inter 30
Torino 28
Sampdoria 28
Milan 28
Juventus 26
Roma 24
Napoli 22
Fiorentina 21
Atalanta 20
Avellino 19
Udinese 18
Como 18
Ascoli 16
Lazio 12
Cremonese 9
12 Maggio 1985: Atalanta vs Verona
Verona - Oggi è il 12 maggio, oggi si celebra il lieto fine della nostra ‘Favola Senza Fine’. Una giornata storica come questa la celebriamo in maniera speciale con tante pubblicazioni: sui nostri social, la foto d’epoca del giorno dello Scudetto, un video emozionale fra presente e passato col Bentegodi centro di gravità permanente, il video-racconto della gioia dei nostri campioni e di tutto il popolo gialloblù a Bergamo, il ‘fumetto dello Scudetto’, le promozioni dedicate alla giornata tricolore da scoprire su hvstore.it e, questa sera, un lunghissimo LIVE sui nostri canali con tanti ospiti speciali e d’eccezione. Insomma, #staytuned.
PROMOZIONI HVSTORE.IT
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Oggi è il 12 maggio, un data speciale per tutti i tifosi del Verona, per questo anche l’Hellas Store ha pensato a 3 diverse promozioni dedicate a quella ‘Favola Senza Fine’. Protagonista assoluta è la maglia replica Copa, presente in tutte le promo, ma ci sono anche i puzzle dedicati a quella squadra indimenticabile e ai nostri tifosi, il borsone Canon con i mastini e le T-Shirt con stampe celebrative. Ogni promozione offre abbinamenti diversi a prezzi scontati.
FREE SHIPPING. Inoltre, in aggiunta alle promozioni dedicate allo Scudetto, con una spesa minima di 49 € anche la spedizione sarà gratuita in tutta Italia.
12/5/85 | Atalanta-Hellas Verona
Siamo alla 29a e penultime giornata di Serie A: il Verona di Bagnoli scende in campo a Bergamo, contro l’Atalanta. L’obiettivo dei gialloblù è quello di non perdere. Basta infatti un pareggio per laurearsi Campioni d’Italia con un turno d’anticipo sulla naturale conclusione del campionato. Giornata grigia a Bergamo e il peso della partita si fa sentire: i gialloblù vanno al riposo sotto 1 a 0. Ma, come sempre in questa stagione, la famelica determinazione della truppa di mister Bagnoli si dimostra d’acciaio: al 6’ del secondo tempo Preben Elkjaer Larsen, in mischia, pareggia i conti per l’1-1 finale. Al triplice fischio, è tutto vero: l’Hellas Verona è Campione d’Italia e la festa può iniziare. La realtà è una favola mervagliosa e senza fine, perché verrà tramandata di generazione in generazione, riempiendo di orgoglio - ancora oggi - tutti i cuori gialloblù.
Atalanta-Hellas Verona 1-1
Marcatori: 43’ pt Perico, 6’ st Elkjaer
SERIE A 1984/85
CLASSIFICA 29a GIORNATA
Verona 41
Torino 37
Inter 36
Juventus 35
Sampdoria 35
Milan 35
Roma 34
Napoli 31
Fiorentina 29
Atalanta 28
Udinese 25
Avellino 25
Como 24
Ascoli 22
Lazio 14
Cremonese 13
Una volta nella vita.
Chiedete a un bambino cosa c'è dietro una vittoria, dietro a un gol o ad una parata. Non vi parlerà di impegno, non citerà la dedizione, il sudore, la fatica o la forza di volontà.Non accennerà nemmeno alla sorte, al destino o alla fortuna. Quel bambino vi dirà una sola cosa, una parola di cinque lettere.
Gioia. Unica e incontenibile, da urlare al cielo, da consegnare agli abbracci dei compagni di squadra. Gioia pura, come il gioco e le sue regole, come la vita e i suoi scherzi. Come la voglia di provarci sempre, andando in campo a testa alta, a giocarsela sino in fondo, senza mollare mai, fino all'ultimo secondo dell'ultimo minuto.
La gioia non è un sentimento individuale. È piuttosto un'emozione collettiva, l'orgoglio profondo e il senso di appartenenza di un'intera comunità.
La gioia è una vertigine, un brivido che scivola lungo la schiena sino alla punta delle scarpe, o, meglio, degli scarpini, a ricordarci che ognuno può trovare il suo posto in
campo, come in squadra. Una cosa unica e irripetibile.
Come l'incantata stagione 1984-85 dell'Hellas Verona, quella dello scudetto. Come quell'incredibile striscia di risultati, quella scia di emozioni, cresciute lentamente, passo
dopo passo, punto dopo punto, a cavallo tra l'autunno e la primavera. Uno scudetto così non si vince grazie a qualche episodio o per un colpo fortuito di destrezza. Quelle cose lì le lasciamo volentieri alle cronache e ai freddi registri delle versioni ufficiali.
Perché il suo incredibile scudetto l'Hellas lo ha conquistato un giorno dopo l'altro, con naturalezza e disarmante serietà, con la serenità della propria forza e la coscienza di tutte le proprie debolezze, con l'idea di essere un gruppo unito prima che una squadra e con la consapevolezza di avere il mondo contro, di essere davvero "soli contro tutti!"
Quello scudetto è maturato nel sudore dei ritiri, nell'ombra dello spogliatoio, negli allenamenti all'antistadio, nelle dichiarazioni del mister e nel suo temperamento, nello
stupore di una classifica che, a dispetto delle speranze e della crescente insofferenza dei grandi club e della stampa nazionale, non si modificava, lasciando il Verona lassù in cima, da solo in testa, dall'inizio alla fine.
È cresciuto negli sguardi lucidi della gente, nelle battute a mezz'aria sulle scalette del Bentegodi, negli stretti legami dei giocatori, nelle inconfessabili e strampalate
scaramanzie che si rinnovavano di domenica in domenica, nelle rauche e ansimanti radiocronache, nei vicoli di Via Mazzini, nell'urlo della curva, nei sogni dei bambini, nel
fango dei campetti, negli scongiuri e nei fioretti, nelle sfide a Subbuteo, nelle bandiere che salivano alte al cielo e nelle lacrime commosse che stringevano in un ideale abbraccio intere famiglie e generazioni di tifosi, di appassionati o, anche solo, di comuni e distratti cittadini.
Quello scudetto è stato tutto quello che il calcio poteva ancora regalare, tutto quello che nemmeno il più audace cronista avrebbe mai potuto lontanamente immaginare.
Quel calcio non era fatto di eroi preconfezionati. In quel calcio non c'era spazio per il salotto, la conferenza stampa, la celebrazione o la leggenda.
Quel calcio era fatto di uomini e giocatori, di sudore e sentimenti, di cenni silenziosi e di poche parole, di classe e abnegazione, di carattere, emozioni e sacrifici. Era davvero il calcio dell'anima, l'essenza intima del gioco, lo specchio dei suoi valori profondi, quelli che ancora ci portiamo dentro, anche se ormai temiamo di averli smarriti.
Quello scudetto non è passato. Quello scudetto è oggi. Ci rimane attaccato. È ancora lì, a rammentarci che non bisogna mai smettere di sognare, che a lavorare con serietà, talento e intuizione poi ti può anche capitare di stracciare il Napoli di Maradona o la Juve di Platini, magari con una bruciante cavalcata e un gol da cineteca, realizzato addirittura senza una scarpa. Può accadere di farsi rimontare tre gol in un umido pomeriggio friulano, salvo poi rifilarne imperiosamente altri due nel giro di pochi minuti,
ammutolendo uno stadio sbigottito. Può succedere che tra i pali ti ritrovi non un portiere ma una specie di mago, che quando è il momento giusto non lascia passare nemmeno un
alito di vento. Può pure avvenire che finisci per vincere anche quando gli avversari non meritano di perdere. Può infine capitare a un attaccante danese, che tutti vorrebbero
sindaco, di trovarsi sul piede giusto la palla giusta per gonfiare la rete avversaria sul prato di Bergamo in una piovosa domenica di metà maggio, giusto in tempo per guardare
finalmente il cielo sorridere alla più incredibile e fantasmagorica delle certezze: quella di essere arrivati primi, di essere finalmente sul tetto d'Italia e di esserci giunti, a dispetto di ogni previsione, con lo stesso indomito spirito che avrebbe guadagnato la salvezza all'ultimo secondo dell'ultima giornata.
Ecco, lo scudetto dell'Hellas Verona 1984-85 è tutto questo e anche molto di più. La sua storia, quella stupefacente teoria di risultati e vittorie, costruita giornata dopo giornata, è la nostra storia, un infinito intreccio di traiettorie umane che hanno respirato quelle emozioni nella consapevolezza che non si sarebbero mai più ripetute.
Perché sarebbe stato solo per una volta, una sola volta nella vita.
Diego Alverà
FONTE: HellasVerona.it
Associazione Calcio Hellas Verona 1984-1985
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Questa voce raccoglie le informazioni riguardanti l'Associazione Calcio Hellas Verona nelle competizioni ufficiali della stagione 1984-1985.
Stagione
(Domenico Volpati)
L'estate 1984 segnò l'ingaggio di 2 stranieri: il terzino-marcatore Briegel e l'attaccante Preben Elkjær Larsen, emersi in occasione del campionato d'Europa. Il centravanti si fece subito notare, con una tripletta in Coppa Italia: la fase preliminare venne superata con 9 punti. Il campionato vide subito i veneti protagonisti, con il comando in solitaria ottenuto già al secondo turno. Il gioco «operaio» espresso dalla squadra portò buoni risultati: a fine novembre il pareggio con la Sampdoria e la vittoria sul Torino, dirette inseguitrici, portarono un margine di 2 lunghezze che confermò l'inattesa candidatura al titolo. Il Verona chiuse il girone di andata con una sconfitta in casa dell'Avellino: il primo stop stagionale non compromise la conquista del titolo invernale, complice anche il crollo dei granata in casa della Roma.
Alla 16ª giornata, pareggiando contro il Napoli, subì l'aggancio dell'Inter. La coabitazione in vetta durò appena una domenica, in quanto il 27 gennaio i gialloblu risultarono di nuovo primi. Nel mese di febbraio mantennero il primato, eliminando anche il Genoa in coppa. Un passo decisivo verso lo scudetto fu compiuto il 24 marzo, con la vittoria per 3-0 sul fanalino di coda Cremonese: il positivo cammino aveva già condotto ai massimi livelli il morale di una squadra che, soltanto a metà aprile, rimediò dal Torino la seconda sconfitta del torneo. I 2 pareggi contro Milan e Como - con in mezzo la vittoria sulla Lazio -, avvicinarono la certezza del 1º posto. Con 2 giornate rimaste e 4 punti di vantaggio, l'unico possibile pericolo venne dal Torino: un eventuale arrivo in parità, comunque, non avrebbe prodotto più dello spareggio. L'ipotesi, tenuta "in vita" soltanto dall'aritmetica, svanì il 12 maggio: pareggiando per 1-1 sul campo di un'Atalanta ormai salva, la squadra si assicurò uno storico Scudetto. Chiuse il campionato con 43 punti: schierò 17 calciatori (2 dei quali portieri), mandandone in gol 9. Si qualificò - in tal modo - per la Coppa dei Campioni: il successo rappresentò il culmine di un'ascesa partita 3 anni prima, con il ritorno in A seguito dall'immediato approdo in Europa. Al termine di una stagione rimasta negli annali, fu sconfitta dall'Inter in coppa mancando la semifinale, raggiunta nel biennio precedente.
Maglie e sponsor
Vengono confermati sponsor tecnico (Adidas) e ufficiale (Canon) introdotti nel 1982: la maglia subisce una leggera modifica, con l'introduzione del logo della squadra.
Casa | Trasferta |
Organigramma societario
Area direttiva | Area tecnica | |
|
|
Rosa
Calciomercato
Acquisti | |||
---|---|---|---|
R. | Nome | da | Modalità |
D | Hans-Peter Briegel | Kaiserslautern | |
D | Fabio Marangon (II) | Alessandria | |
C | Dario Donà | Bologna | |
A | Preben Elkjær Larsen | Lokeren | |
A | Franco Turchetta | Varese |
Cessioni | |||
---|---|---|---|
R. | Nome | a | Modalità |
D | Władysław Żmuda | Cremonese | |
D | Mario Guidetti | Ancona | |
D | Massimo Storgato | Lazio | |
C | Francesco Guidolin | Venezia | |
A | Joe Jordan | Southampton | |
A | Maurizio Iorio | Roma |
Risultati
Verona 1ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (41.000 spett.) Arbitro: Mattei (Macerata) | |
Galderisi 33’ | ||
Di Gennaro 75’ |
2ª giornata | Ascoli 1 – 3 Verona | Stadio Cino e Lillo Del Duca (20.093 spett.) Arbitro: Magni (Bergamo) |
Verona 3ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (35.368 spett.) Arbitro: Agnolin (Bassano del Grappa) | |
Milano 4ª giornata | Stadio Giuseppe Meazza (63.205 spett.) Arbitro: Longhi (Roma) |
Verona 5ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (41.955 spett.) Arbitro: Bergamo (Livorno) | |
Roma 6ª giornata | Stadio Olimpico (60.909 spett.) Arbitro: Mattei (Macerata) |
Verona 7ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (40.945 spett.) Arbitro: Ciulli (Roma) | |
Cremona 8ª giornata | Stadio Giovanni Zini (21.571 spett.) Arbitro: Redini (Pisa) | |
Verona 9ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (36.681 spett.) Arbitro: D'Elia (Salerno) |
Torino 10ª giornata | Stadio Comunale (49.725 spett.) Arbitro: Bergamo (Livorno) | |
Verona 11ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (41.870 spett.) Arbitro: Mattei (Macerata) |
Roma 12ª giornata | Stadio Olimpico (53.107 spett.) Arbitro: Pieri (Genova) | |
Como 13ª giornata | Stadio Giuseppe Sinigaglia (18.612 spett.) Arbitro: Ballerini (La Spezia) |
Verona 14ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (32.703 spett.) Arbitro: Paparesta (Bari) | |
Avellino 15ª giornata | Stadio Partenio (23.857 spett.) Arbitro: Redini (Pisa) | |
Girone di ritorno
Napoli 16ª giornata | Stadio San Paolo (81.798 spett.) Arbitro: Pairetto (Nichelino) |
Verona 17ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi Arbitro: D'Elia (Salerno) | |
Udine 18ª giornata | Stadio Friuli (42.676 spett.) Arbitro: Casarin (Milano) | |
Verona 19ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (40.008 spett.) Arbitro: Agnolin (Bassano del Grappa) | |
Torino 20ª giornata | Stadio Comunale (45.799 spett.) Arbitro: Bergamo (Livorno) | |
Verona 21ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (36.795 spett.) Arbitro: Casarin (Milano) | |
Firenze 22ª giornata | Stadio Comunale (48.895 spett.) Arbitro: Lo Bello (Siracusa) | |
Verona 23ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (39.751 spett.) Arbitro: Paparesta (Bari) | |
Genova 24ª giornata | Stadio Luigi Ferraris (41.405 spett.) Arbitro: Casarin (Milano) | |
Verona 25ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (42.794 spett.) Arbitro: Lombardo (Marsala) | |
Milano 26ª giornata | Stadio Giuseppe Meazza (66.829 spett.) Arbitro: Longhi (Roma) |
Verona 27ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (36.478 spett.) Arbitro: Casarin (Milano) | |
Verona 28ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (36.933 spett.) Arbitro: Esposito (Torre del Greco) |
Bergamo 29ª giornata | Stadio Comunale (39.039 spett.) Arbitro: Boschi (Parma) | |
Verona 30ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi (45.860 spett.) Arbitro: Testa (Prato) | |
Coppa Italia
- Fase a gironi
Verona 1ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi Arbitro: Testa (Prato) | |
Campobasso 2ª giornata | Stadio Giovanni Romagnoli Arbitro: Ballerini (La Spezia) |
Verona 3ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi Arbitro: Leni (Perugia) | |
Siracusa 4ª giornata | Stadio Nicola De Simone Arbitro: Bianciardi (Siena) | |
Verona 5ª giornata | Stadio Marcantonio Bentegodi Arbitro: Ciulli (Roma) | |
- Fase a eliminazione diretta
Genova Ottavi di finale - Gara di andata | Stadio Luigi Ferraris Arbitro: Bianciardi (Siena) | |
Verona Ottavi di finale - Gara di ritorno | Stadio Marcantonio Bentegodi Arbitro: Pirandola (Lecce) | |
Verona Quarti di finale - Gara di andata | Stadio Marcantonio Bentegodi Arbitro: Agnolin (Bassano del Grappa) | |
Milano Quarti di finale - Gara di ritorno | Stadio Giuseppe Meazza Arbitro: Mattei (Macerata) | |
Statistiche
- Statistiche di Squadra
Competiz. | In casa | In trasferta | Totale | ||||||||||||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
G | V | N | P | G | V | N | P | G | V | N | P | ||||||||||
Serie A | 43 | 15 | 9 | 5 | 1 | 22 | 8 | 15 | 6 | 8 | 1 | 20 | 11 | 30 | 15 | 13 | 2 | 42 | 19 | 23 | 2.21 |
Coppa Italia | - | 5 | 5 | 0 | 0 | 15 | 3 | 4 | 2 | 1 | 1 | 6 | 8 | 9 | 7 | 1 | 1 | 21 | 11 | 10 | 1.90 |
Totale | - | 20 | 14 | 5 | 1 | 37 | 11 | 19 | 8 | 9 | 2 | 26 | 19 | 39 | 22 | 14 | 3 | 63 | 30 | 33 | 2.1 |
- Statistiche dei giocatori
Giocatore | Serie A | Coppa Italia | Totale | |||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Briegel, P. P. Briegel | 27 | 9 | ? | ? | 9 | 2 | ? | ? | 36 | 11 | ? | ? |
Bruni, L. L. Bruni | 27 | 1 | ? | ? | 8 | 2 | ? | ? | 35 | 3 | ? | ? |
Di Gennaro, A. A. Di Gennaro | 29 | 4 | ? | ? | 9 | 5 | ? | ? | 38 | 9 | ? | ? |
Donà, D. D. Donà | 12 | 0 | ? | ? | 6 | 1 | ? | ? | 18 | 1 | ? | ? |
Elkjær Larsen, P. P. Elkjær Larsen | 23 | 8 | ? | ? | 9 | 5 | ? | ? | 32 | 13 | ? | ? |
Fanna, P. P. Fanna | 29 | 2 | ? | ? | 7 | 0 | ? | ? | 36 | 2 | ? | ? |
Ferroni (I), M. M. Ferroni (I) | 20 | 0 | ? | ? | 8 | 0 | ? | ? | 28 | 0 | ? | ? |
Fontolan (I), S. S. Fontolan (I) | 28 | 1 | ? | ? | 5 | 0 | ? | ? | 33 | 1 | ? | ? |
Galderisi, G. G. Galderisi | 29 | 11 | ? | ? | 7 | 2 | ? | ? | 36 | 13 | ? | ? |
Garella, C. C. Garella | 30 | -19 | ? | ? | 5 | -3 | ? | ? | 35 | -22 | ? | ? |
Marangon, F. F. Marangon (II) | 3 | 0 | ? | ? | 7 | 0 | ? | ? | 10 | 0 | ? | ? |
Marangon, L. L. Marangon (I) | 29 | 2 | ? | ? | 7 | 0 | ? | ? | 36 | 2 | ? | ? |
Sacchetti, L. L. Sacchetti | 15 | 1 | ? | ? | 3 | 1 | ? | ? | 18 | 2 | ? | ? |
Spuri, S. S. Spuri | 1 | 0 | ? | ? | 5 | -7 | ? | ? | 6 | -7 | ? | ? |
Terracciano, A. A. Terracciano | - | - | - | - | 1 | 0 | ? | ? | 1 | 0 | 0+ | 0+ |
Tricella, R. R. Tricella | 30 | 0 | ? | ? | 7 | 1 | ? | ? | 37 | 1 | ? | ? |
Turchetta, F. F. Turchetta | 16 | 0 | ? | ? | 7 | 0 | ? | ? | 23 | 0 | ? | ? |
Volpati, D. D. Volpati | 30 | 0 | ? | ? | 8 | 0 | ? | ? | 38 | 0 | ? | ? |
FONTE: Wikipedia.org
12 MAGGIO 2023
12 maggio 1985 - HELLAS VERONA CAMPIONE D'ITALIA
Verona - Per chi l'ha vissuto, resterà uno dei giorni più belli della propria vita, se non il più bello. Per chi ancora non c'era, il Mito attorno al quale ha costruito parte della propria fede.
Esattamente 38 anni fa, allo stadio Comunale di Bergamo, l'Hellas Verona pareggiava per 1-1 contro l'Atalanta laureandosi per la prima e irripetibile volta, Campione d'Italia. Era il 12 maggio 1985.
Uno Scudetto unico. Perché la Serie A era nettamente il miglior campionato al mondo, con i migliori giocatori italiani e stranieri tutti nelle squadre del nostro Paese. Perché da quando esiste la Serie A a girone unico, quindi dal 1929, né prima né dopo esistono altre squadre espressione di una città non capoluogo di regione capaci di questa impresa. Perché centomila e più veronesi si ritrovarono in piazza, nelle strade, nelle case, per il più alto momento di gloria sportiva mai vissuto dalla città. Perché il Direttore Sportivo Mascetti, mister Bagnoli, Elkjaer, Briegel, Tricella, Garella, Galderisi, Fanna, Volpati, Di Gennaro, Bruni, Spuri, Ferroni, Fontolan, Donà, Sacchetti, Terracciano, Turchetta e i fratelli Maragon e tutti gli altri protagonisti di quella cavalcata sono nomi consegnati per sempre alla Leggenda.
Cronache di Spogliatoio, media leader in Italia in ambito calcio, ha realizzato per Hellas Verona FC un video-podcast su tutto quel magico cammino.
FONTE: HellasVerona.it
ACCADDE OGGI
Verona, 36 anni fa lo scudetto vinto dall'Hellas di Bagnoli
Il 12 maggio 1985, grazie all'1-1 sul campo dell'Atalanta, l'Hellas di Osvaldo Bagnoli conquistò l'unico tricolore della sua storia. L'ultimo scudetto "di provincia" della nostra Serie A, un'impresa raggiunta dalla squadra 'operaia' rimasta nel cuore di tutti
12 mag 2021 - 10:40
La dimostrazione che nessun sogno è così grande da non poter essere realizzato. Era il 12 maggio 1985 quando, una squadra guidata da un grande condottiero come Osvaldo Bagnoli, riuscì nell'impresa di conquistare lo scudetto in quel di Verona, dove nessuno ci era mai riuscito prima (e neanche dopo fino a oggi). L'ultimo scudetto "di provincia", reso possibile dalla voglia e dallo spirito di giocatori desiderosi di mettere tutte le armi in campo per sconfiggere un avversario magari più forte tecnicamente. Era la squadra 'operaia', dove il sudore e il sacrificio furono ingredienti vitali per fare la storia del club, della città e di tutta la Serie A. Le parate di Garella, la leadership del capitano Tricella, le geometrie e la corsa di Di Gennaro, i gol del danese Preben Elkjær Larsen, l'esperienza del tedesco Briegel. Un campionato condotto dall'inizio, conteso lungamente all'Inter in un bellissimo duello a distanza a cavallo tra i due gironi, e poi portato a casa grazie a un rush finale quasi senza macchie. Bastò l'1-1 in casa dell'Atalanta, alla penultima giornata, in quel 12 maggio di 36 anni fa, per dare all'Hellas l'aritmetica certezza del tricolore e far partire la festa in città. Una gioia che da quelle parti non si è più vista e che rende ancora più memorabile l'impresa compiuta dai ragazzi di Bagnoli, eroe eterno dei colori gialloblù.
🇮🇹 𝗩𝗘𝗥𝗢𝗡𝗔 𝗖𝗔𝗠𝗣𝗜𝗢𝗡𝗘 🏆
— Hellas Verona FC (@HellasVeronaFC) May 12, 2021
36 anni fa i colori gialloblù sul tetto d’Italia. Campioni per sempre, #12maggio per sempre 🟡🔵#VeronaCampione #Scudetto #HVFC pic.twitter.com/kNiOQEZSux
FONTE: Sport.Sky.it
Sport
Hellas Verona FC: storia di un grande club
Una delle squadre calcistiche attualmente più seguite e tra i primi posti della classifica di serie A è sicuramente l’Hellas Verona, ma probabilmente non tutti i tifosi conoscono a pieno la sua origine e tutte le sue caratteristiche.
Di Laura Boido - 4 Febbraio 2021
La società Hellas Verona è stata fondata ormai più di cento anni fa, cento anni in cui è riuscita a conquistare numerose vittorie, ad ottenere uno scudetto, nel 1984-1985, e a formare attorno a sé una tifoseria famosa in tutta Italia.
Com’è nato l’Hellas?
La targa presente fuori dal Liceo Maffei (fonte: L’Arena)
Era il 1903 quando un gruppo di ragazzi, studenti del Liceo Classico Scipione Maffei, incuriositi e interessati alla disciplina sportiva del calcio, proposero al loro professore di greco Decio Corubolo di creare una piccola squadra di calcio per poter giocare insieme. L’idea venne accolta con grande entusiasmo dall’insegnante e venne quindi fondato un club con il nome di Associazione Calcio Hellas, raccogliendo per le prime spese un fondo di 32 lire. Questo nome, all’apparenza particolare, è stato scelto volendo ricordare l’antica Grecia, che per l’appunto veniva chiamata in greco antico dai suoi abitanti “Ελλας”.
Dopo aver assunto il nome di Football Club Hellas Verona nel 1919, nel 1928 incorporò le sue due rivali, anch’esse veronesi, Bentegodi e Scaligera e scelse la denominazione di A.C. Verona. Nell’anno seguente partì dalla Serie B del campionato nazionale italiano e dopo 28 anni, nel 1957, durante i quali una volta retrocesse pure in serie C, riuscì a essere promossa alla massima Serie. In quel momento l’emozione da parte dei tifosi fu tale che scesero in campo, elogiarono i giocatori e li incoronarono con l’alloro. Purtroppo, però, questa felicità svanì presto: il Verona, infatti, non riuscì a totalizzare abbastanza punti per rimanere in Serie A per più di una stagione e retrocesse in B. Nell’estate dello stesso anno assorbì al suo interno una squadra veronese più piccola, A.S. Hellas, neopromossa in Serie C, e così riprese il nome di Associazione Calcio Hellas Verona, come in origine.
Il trionfo arrivò esattamente undici anni dopo: l’Hellas, insieme al Palermo e al Pisa, poté nuovamente gioire per l’avanzamento di categoria alla massima serie. Dopodiché successe un grande scandalo: nel 1974, infatti, si posizionò al quart’ultimo posto, che non avrebbe quindi previsto una retrocessione, ma per illecito sportivo a causa dello “Scandalo della telefonata”, nel quale furono coinvolti il presidente della squadra Saverio Garonzi e un attaccante napoletano, Sergio Clerici, venne fatta slittare in ultima posizione. Per la squadra non ci fu però nulla di cui preoccuparsi, infatti l’anno seguente riuscì a riottenere il suo posto in A. Negli anni successivi, durante i quali fecero anche una pausa di tre anni in Serie B, migliorarono sempre di più fino ad arrivare all’obbiettivo più importante in assoluto per ogni squadra nel 1984-1985: vincere lo Scudetto diventando così i campioni d’Italia. I tempi a seguire per il club furono abbastanza difficili che percorse un lento declino fino ad essere altalenante tra la Serie A e la B e cambiò inoltre nome in Hellas Verona Football Club, in uso ancora tutt’oggi. In seguito, arrivarono degli anni terribili per i gialloblù, quelli che vanno dal 2006 al 2010, tutti passati in serie C. Piano piano si riuscì a riprendere e finalmente, nel 2013, dopo ben 11 anni, tornò in Serie A e a Verona fu estasi totale. Gli anni seguenti consistettero tutti in un nuovo altalenarsi tra Serie A e B fino ad arrivare ai giorni nostri.
La grande vittoria dello scudetto
L’Hellas aveva appena concluso due grandi campionati in Serie A posizionandosi in uno al quarto posto e nell’altro al sesto e nell’estate del 1984 i dirigenti del club decisero di potenziare ancora di più la squadra comperando due grandi giocatori stranieri: l’attaccante danese Preben Elkjær e il difensore tedesco Hans-Peter Briegel, entrambi molto rinomati. Osvaldo Bagnoli, un ex calciatore, al fine della sua carriera da giocatore era diventato allenatore e in quel periodo si trovava proprio al Verona e riuscì ad allenare e a coordinare la squadra in modo incredibile. La prima partita del campionato fu contro il Napoli, in cui era appena sbarcato il famosissimo attaccante Diego Armando Maradona, e fu vinta 3-1, poi in seguito ottennero un’altra grandiosa vittoria con un punteggio di 2-0 contro la Juventus, la squadra in quel momento migliore d’Italia. Ovviamente queste non furono le uniche partite vincenti, anzi: la squadra gialloblù di quell’anno ottenne ben 15 vittorie, 13 pareggi e solamente 2 sconfitte. Arrivò quindi quel rinomato 12 maggio 1985 nel quale si disputò a Bergamo Atalanta-Verona, che si concluse con un pareggio di 1-1, e che fu sufficiente per la squadra veronese per assicurarsi la denominazione di Campioni d’Italia.
La famosa tifoseria veronese
Il 30 novembre 1971, presso il Bar Olimpia, situato in Borgo Venezia, nacquero le Brigate Gialloblù, a cui presero parte tutte quelle persone che provavano un grande amore per l’Hellas e per la città stessa di Verona. L’organizzazione inizialmente fu molto semplice imitando il modo di tifare in voga in quegli anni, quindi utilizzando tamburi di latta, grancasse, piatti, sciarpe di lana con i colori della squadra e le prime bandiere cucite a mano. Nel 1976 i brigatisti strinsero un’alleanza storica con i tifosi del Chelsea; ciò significa che nello stadio inglese per la prima volta apparì uno striscione delle Brigate Gialloblù e allo stesso tempo in curva sud, la posizione storica dei tifosi veronesi, apparì una Union Jack, che si trova qualche volta ancora oggi. Nel mentre, però, si svilupparono anche le prime rivalità, molto accentuate ancora oggi, soprattutto con il Napoli, il Brescia, l’Atalanta, il Vicenza. Furono inoltre proprio questi gli anni in cui questa tifoseria divenne così famosa in tutta Italia, in particolare per la sua compattezza, vivacità e audacia, i suoi cori e canti e i suoi striscioni. Durante gli anni Ottanta cominciano a formarsi altri sottogruppi di tifosi, ancora molto attivi oggi, come Hellas Army, Gioventù Scaligera, Verona Front e molti altri.
Nel dicembre del 1986 era prevista la partita Brescia-Verona, due squadre che non si erano mai viste di buon occhio. La tifoseria bresciana decise quindi di spargere per tutta la sua città volantini in cui incitava a “spaccare le ossa ai veronesi”. Ovviamente la notizia si sparse velocemente ed arrivò fino ai tifosi dell’Hellas, che decisero di vendicarsi: il giorno della partita presero un treno che li avrebbe portati sul posto in largo anticipo in modo che non ci fosse la polizia a scortarli e cominciarono a distruggere e mettere sottosopra tutto quello che si trovavano davanti. In seguito, arrivò, però, anche la risposta da parte dei bresciani e, durante una delle varie proteste, lanciarono dei sassi contro la macchina dell’allora sindaco di Verona Gabriele Sboarina, alla quale venne rotto il parabrezza, ma fortunatamente non ci furono danni alla persona. La polizia iniziò così ad indagare su vari tifosi gialloblù e il primo febbraio del 1987, 12 di loro vennero arrestati con l’accusa di associazione a delinquere. In loro ricordo e onore venne creato un gruppo di tifosi chiamato per l’appunto 1° febbraio, ancora oggi situato nella parte alta della tribuna ovest. Dopo questa, accaddero altre vicende simili e ciò portò, insieme al sempre più grande accanimento contro di loro dell’opinione pubblica e della polizia, allo scioglimento delle Brigate Gialloblù il 14 novembre del 1991. L’incarico di guidare la tifoseria passò direttamente alla Curva Sud, ma nonostante tutto la passione, il loro spirito e l’entusiasmo rimasero intatti e continuativi nel tempo.
Ovviamente al momento per colpa del Coronavirus, presente ormai da più di un anno, il calcio, come qualsiasi altra categoria, non è più come prima. Gli stadi, infatti, sono totalmente deserti e di conseguenza mancano tutti quei tifosi che prima incitavano e davano forza alla squadra, si tenevano compagnia e passavano dei momenti felici insieme. Si spera, quindi, di poter tornare alla normalità il prima possibile in modo da poter rivivere le grandi emozioni che si provano in quei luoghi.
Laura Boido
Ho quindici anni, vivo in provincia di Verona e frequento la V Ginnasio al liceo classico dell’istituto “Alle Stimate”. Ho scelto questo tipo di scuola perché mi sono sempre piaciute le materie umanistiche e in modo da essere ben preparata per l’università e avere aperte quante più porte possibili per il futuro. Non pratico nessuno sport, ma nel tempo libero mi piace molto uscire con i miei amici, ascoltare la musica e guardare serie tv o film. Adoro viaggiare, soprattutto all’estero, per poter esplorare paesi in cui non sono mai stata e imparare cose nuove conoscendo diverse culture e tradizioni. Per il futuro non ho ancora un’idea ben precisa di cosa farò, ma spero di riuscire a trovare una strada che mi permetta di fare spesso viaggi.
FONTE: ErmesVerona.it
Blog: Viva Verona calcio e Verona città, ora come 35 anni fa - II
Giovanni Mutinelli
19 maggio 2020 12:06
Che forza noi, tifosi veri
Nei nostri cuori una squadra gialloblu…
…Lo scudetto a noi, per sempre resterà
Viva Verona calcio e Verona città!"
Così cantavano i ragazzi della Factory Band nel celebre inno allo scudetto, rilasciato qualche settimana prima della gara del 12 maggio a Bergamo, luogo dal quale inizia il mio omaggio a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di quella festa indimenticabile. Se vogliamo, potremmo dire che l'omaggio che ho scritto settimana scorsa (Viva Verona calcio e Verona città: ora come 35 anni fa -I) può essere inquadrato come Viva Verona calcio, per riprendere la canzone e questo come Viva Verona città.
Partiamo, nel vero senso della parola, da Piazzale Olimpia a Verona, dove il 12 maggio 1985 centinaia tra pullman e auto si incolonnano in direzione Bergamo, durante la prima parte di strada, su ogni cavalcavia c'erano tifosi che sventolavano sciarpe e bandiere invocando un solo grido: "Tornate campioni!".
Nonostante all'epoca non ci fossero i posti numerati negli stadi ed era più facile entrare senza pagare il biglietto, non tutti poterono partecipare così, alle ore 16, Piazza Bra era gremita di tifosi, seppur piovigginasse un po', rimasti in città e posizionatasi sotto i balconi di Radio Adige, da dove venne trasmessa la radiocronaca della partita col commento dell'immortale Roberto Puliero, ma si sa, il Verona val bene un raffreddore.
Intanto a Bergamo succede di tutto, all'uscita dall'autostrada si incontra una troupe della televisione tedesca, giunta in Lombardia per descrivere l'esodo dei tifosi gialloblu, colori di cui si è tinta anche la città lombarda per omaggiare i futuri campioni d'Italia, ma una nota stonata non può mai mancare, infatti si sa bene che tra le due tifoserie non sono molto affiatate e pure quel giorno si verificarono scontri, anche se scontri è un termine riduttivo, 30 feriti, la polizia ha dovuto operare una dozzina di fermi e un uomo veronese è stato trasportato al pronto soccorso dopo essere stato ripetutamente colpito da alcuni cocci di bottiglia.
Questo non può certo fermare l'animo goliardico delle Brigate che, poco prima dell'inizio della gara, affascinano tutti i presenti allo stadio con una scenografia rimasta impressa a chiunque la guardò, tricolore e gialloblu fusi insieme per scrivere la storia.
Dopo il pareggio di Elkjaer al 51esimo minuto, non si aspetta altro che il triplice fischio dell'arbitro e, una volta compiuto il gesto che dichiarò ufficialmente il Verona campione d'Italia, non ci furono più misure di sicurezza che tennero, d'altronde, per un'occasione così, era inevitabile l'invasione di campo a fine match. In Piazza Bra tutti si abbracciavano, tutti gioivano, tutti facevano il bagno nella fontana, tutti piangevano ed è giusto anche così, perché chi riduce un qualsiasi sport ad un semplice gioco, non ha idea di ciò che sta dicendo. I festeggiamenti continuarono in tutta la città e in tutta la provincia per tutta la notte, cori, bandiere e clacson strombazzanti accolsero la squadra al rientro da Bergamo.
La felicità per quel traguardo si rifletté poi sulla vita quotidiana della settimana successiva, in attesa della grande festa di domenica 19 maggio 1985 dove per l'ultima di campionato al Bentegodi arriva il già salvo Avellino, ma era ovvio che la partita sarebbe passata in secondo piano, sebbene poi fu spettacolare, quello era il giorno della festa dei tifosi.
Festa ricordata in un'intervista anche da Jerry Calà, attore e grande tifoso veronese ed ex membro dei Gatti di Vicolo Miracoli, band di cui la canzone Verona Beat era utilizzata come inno nell'anno dello scudetto prima dell'uscita dell'inno apposito e ancora oggi nello stadio viene riprodotta in occasioni speciali e cantata a memoria da tutti i veronesi. In quell'intervista, Calà disse: "Quell'anno andai allo stadio una volta sola, essendo sempre impegnato col lavoro, in occasione di Verona-Cremonese, una delle ultime partite. Durante la fila per entrare fui notato dalle Brigate che mi dissero che siccome non ero mai andato prima d'ora quell'anno allo stadio, se il Verona avesse perso ti avremmo fatto vedere noi. Io rimasi allibito, per fortuna il Verona vinse, ma all'uscita venni fermato ancora dai tifosi, i quali stavolta mi dissero che siccome aveva vinto, non mi avrebbero fatto nulla però dovetti dargli un milione per la festa dello scudetto. Lo feci volentieri ma anche allora un milione era sempre un milione".
Arriva quindi il giorno della festa ufficiale, la partita cominciava alla 16, ma già alle 13 gli spalti del Bentegodi erano colmi di tifosi, più di quarantamila quel giorno. Giornalisti e reporter di tutto il mondo, persino dal Giappone, vennero a Verona per riprendere quello spettacolo irripetibile e anche a parer mio, rivedendo immagini e filmati, per nessun'altra celebrazione di un traguardo sportivo, almeno in Italia, fino ad allora ma anche oggi, si è mai organizzato tutto ciò che si fece in quel caldo e magico pomeriggio di maggio. Aprono le danze gli sbandieratori di San Gimignano, che realizzano magnifiche coreografie lanciando al cielo le bandiere gialloblu, facciamo poi un salto intercontinentale, almeno con la mente, perché sembra di essere a Los Angeles, dove l'uomo razzo faceva impazzire gli americani, invece siamo sulla pista di atletica del Bentegodi a Verona, ma il giovane sul deltaplano trainato da una moto fa comunque lo stesso effetto. Dopo di che, si guarda ancora verso il cielo, nel quale spunta un aereo della prima guerra mondiale, per Telearena le movenze compiute dal velivolo assomigliano alle giocate di Fanna e Galderisi, una volta terminato lo spettacolo nel cielo, si torna a terra, per la presentazione di una monoposto da Formula 1, una Williams dipinta di gialloblu. Arriva uno dei momenti più toccanti ed emozionanti della festa, sul palco montato a bordo campo salgono i ragazzi della Factory Band per cantare l'inno allo scudetto, vi assicuro che solo a guardare tramite uno schermo più di quarantamila persone sventolare bandiere e sciarpe degli stessi colori si rimane ammaliati, pensate coloro che lo hanno vissuto in prima persona. Subito dopo arrivano a riaccendere l'animo goliardico della città i ragazzi di Viva la gente, si passa quindi dalla musica anni '60 a sfogliare l'intero repertorio ispanico, ma come ho già detto, questa era la festa dei tifosi, quindi a un'ora dall'inizio della partita, le Brigate Gialloblu prendono il comando dei festeggiamenti per consegnare ad ogni giocatore, membro dello staff e dirigente, una speciale medaglia ricordo e per quasi ognuno di loro, la curva dedica un coro personalizzato. Elkjaer e Briegel diranno di non aver mai visto una cosa simile nei loro paesi e che solo in Italia poteva accadere, Garella invece andrà pure oltre affermando che neanche la più grande immaginazione avrebbe mai potuto arrivare a tanto.
Tra cori e medaglie arriva il momento del calcio d'inizio, all'ingresso sul terreno di gioco, la compagine di Bagnoli viene accolta da uno stadio roboante che sventola bandiere all'unisono, tranne che nella Curva Sud, la quale non è visibile ai giocatori a causa dei tanti fumogeni tricolore accesi dietro la porta difesa da Garella nel primo tempo. La partita non avrebbe nulla da regalare, ma lo spettacolo nei 90 minuti non manca nemmeno oggi, il Verona sul 2 a 0 viene rimontato, ma poi un'altra prova di forza e carattere fanno sì che i gialloblu vincano la gara 4 a 2, i giocatori aspettavano solo la fine della partita per fare un giro di campo per omaggiare tutti i tifosi, ma una prevedibile invasione di campo a pochi minuti dal termine glielo impedisce. Dopo le docce anticipate, i giocatori rientrano in campo a salutare i pochi rimasti ancora sulle gradinate, la festa si è spostata in Piazza Bra, dove per tutta la serata si susseguiranno altre esibizioni di vario genere, tra cui anche quella del presentatore Roberto Puliero, da quella sera riconvertitosi in cantante, cabarettista o qualsiasi cosa pur di stare sul palco a festeggiare. Nell'attesa dei giocatori si presentano sul palco anche due dei Gatti di Vicolo Miracoli, Franco Oppini e Jerry Calà, posso affermare con certezza che il suo milione è stato speso bene. Alle 23 arrivano finalmente i giocatori, osannati uno ad uno, che si dilettano in un piccolo show, culminato con la canzone di Nanu Galderisi, Sto correndo.
Si conclude qui il mio racconto, nel quale ho cercato di farvi immedesimare in quelle quarantamila persone che, non solo quel giorno ma tutto l'anno, hanno seguito la squadra artefice della più grande impresa calcistica italiana, nella speranza di vederne ancora nel corso dei prossimi anni, perché storie così non possono che fare bene al nostro amato pallone.
Se qualcuno è interessato a rivivere tramite le immagini questa storia, guardi questo speciale realizzato da Telearena.
FONTE: VivoPerLei.CalcioMercato.com
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12 MAG 2020
DA QUEL 1985 NON SIAMO PIÙ UNA PROVINCIALE
La mia generazione…ha perso. Scusate se cito, un po’ a manica larga, Giorgio Gaber: il fatto è che quelli della mia classe (1980) hanno ricordi sfocati, sfumati dello scudetto. Ce lo siamo perduto, ecco, per nulla vissuto. Il 12 maggio 1985 avevo 4 anni e mezzo. Ricordo qualcosa della sera del 12, un po’ di più del pomeriggio del 19 con l’Avellino. Abbiamo perso, nel senso che ce lo siamo persi, eppure non abbiamo mai dimenticato la rotta, non abbiamo mai perso la bussola, dirigenti infastiditi non sono mai riusciti a disorientarci sul significato autentico di quell’impresa.
Noi siamo la prima generazione ad aver seguito l’onda lunga, accarezzati nella seconda metà degli anni 80 (il mio primo Verona consapevole è quello del 1987-88) da un recente passato glorioso e un presente già crepuscolare. Siamo stati i primi eredi, i primi a convivere con il passaparola. Allora, quantomeno, era tutto fresco, i baracchini dello stadio (oggi, da troppo tempo, morti e sepolti, spazzati via dal marketing) vendevano ancora gadget tricolore, qualche eroe scudettato giocava ancora con noi (Volpati, Di Gennaro, Fontolan, Sacchetti, nel 1988-89 Galderisi era tornato), l’aria in città era ancora influenzata da quel successo. Insomma, non abbiamo visto, ma sapevamo bene.
Noi siamo la generazione crepuscolare. Quella non del brutto, ma del bello che sfiorisce: l’eliminazione di Brema, la retrocessione di Cesena, l’addio di Bagnoli, il fallimento. Questo, credo, ci abbia sempre un po’ condizionato: fuori da ogni epica, che fosse lo scudetto, o perfino la serie C, perennemente lì nel mezzo, nel limbo, a sbiadire, calcisticamente scazzati e delusi, tra anni Novanta a lungo mediocri, né carne né pesce. Eppure siamo qui e ci siamo sempre stati. Sapevamo, nel crepuscolo, che noi del Verona eravamo comunque diversi dagli altri per quello scudetto di pochi anni addietro. Ce lo avevano raccontato i nostri padri e le nostre madri e noi non lo abbiamo mai dimenticato, nemmeno quando – molti anni dopo - hanno provato a farcelo dimenticare.
Oggi sono 35 anni da quel 12 maggio di Bergamo. Eravamo bambini che adesso abbracciano per la prima volta gli anta. Quello scudetto, per la mia generazione, è sempre rimasto pietra miliare della memoria e segno d’identità di quel che siamo: mica solo una provinciale ma qualcosa di più, come dice Volpati; club blasonato, come ricorda Tricella. Chi comanda oggi dovrebbe ricordarselo sempre, ma ancor prima dovremmo ricordarcelo noi, perché negli anni scorsi qualche cedimento c’è stato anche in una piccola parte del popolo gialloblu, quasi che qualcuno volesse sminuire o ridurre a parentesi quell’impresa nella storia dell’Hellas. Certo, i più giovani sono stati risucchiati da un’altra epica (Piacenza, l’inferno della C), eppure negli anni più difficili di Setti il tentativo in atto di qualcuno (forse solo sui social e blog dei vari siti, non lo so) era giustificare la mediocrità quasi fosse normale per la storia del Verona, come se quello scudetto fosse una parentesi e non contasse nel blasone e quindi nello standard accettabile e rispettabile da mantenere in campo e in società.
Oggi, fortunatamente, il clima è cambiato, ma è sempre meglio restare vigili e soprattutto muovere un passo decisivo nella consapevolezza di ognuno: considerare definitivamente e senza discussioni quello scudetto non solo come un ricordo, ma come un vero e proprio patrimonio di memoria, con annessi onori e oneri. Quello scudetto alza la soglia e innalza il blasone, più potente di tutto e di tutti. Il Verona, da allora, è qualcosa di oltre e di altro.
Infine: questo è il primo anniversario senza Roberto Puliero, la voce, l’anima narrativa di quello scudetto. L’ho pensato tutto il giorno e mi sono pure reso conto che la città che conta in questi mesi dalla sua morte non lo ha ricordato abbastanza. Senza di lui è un anniversario più triste, ma la sua figura risplende: Roberto è nel nostro pantheon, una perla unica che altri non hanno. Anche per questo siamo il Verona.
Francesco Barana
FONTE: Blog.Telenuovo.it
12 MAGGIO 1985 FOTOGALLERY
Hellas Verona, 35 anni fa lo scudetto: che fine hanno fatto i giocatori di Bagnoli?
12 mag 2020 - 13:15
C'era una volta l'ultima provinciale capace di vincere uno scudetto. La favola del Verona di Bagnoli compie 35 anni questo 12 maggio, quando nel 1985 diventò aritmetico il titolo dopo il pareggio contro l'Atalanta. Dove sono oggi gli eroi in grado di battere Maradona, Platini, Zico, Socrates, Rummenigge e Falcao?
1/14
CLAUDIO GARELLA - "Garella è il più forte portiere del mondo. Senza mani, però" diceva di lui Gianni Agnelli. Decisivo per quello scudetto, con le mani, coi piedi e qualsiasi altra parte del corpo: ognuna buona per parare e regalare un sogno. "Garellik", così soprannomiato proprio per il suo stile, ha intrapreso dopo il calcio giocato la strada della panchina e da dirigente nelle serie inferiori.
2/14
ROBERTO TRICELLA - Libero e capitano del Verona di Bagnoli: il più presente (insieme a Garella e Volpati) e leader di quella squadra operaia che arrivò fino in paradiso. Dopo la carriera da calciatore si è dedicato al settore immobiliare.
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SILVANO FONTOLAN - Mastino della difesa insieme a Ferroni: loro il compito di fermare i tanti fenomeni del calcio italiano degli anni Ottanta. Arrivò all'Hellas dopo le stagioni al Como e un anno all'inter. Proprio dal Como ripartirà per la carriera da allenatore, che proseguirà poi anche in veste dirigenziale tra le serie minori. Ha pubblicato anche un libro: "Agenda annuale di allenamento"
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MAURO FERRONI - Non uno dei primi undici di Bagnoli per presenze, ma uomo chiave nella difesa meno battuta del campionato. Dopo il calcio giocato si è allontanato dal mondo del pallone: è rimasto a Verona, diventata la sua città di adozione.
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PIERINO FANNA - Instancabile locomotiva sulla fascia destra: è tutt'ora solo uno dei cinque calciatori italiani ad aver vinto lo scudetto con tre società diverse (anche con Juve e Inter). Pedina tattica fondamentale di Bagnoli. Prima un piccola parentesi in panchina come vice di Prandelli a inizio 2000. Recentemente ha lavorato per la radio ufficiale dell’Hellas Verona
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HANS-PETER BRIEGEL - Uno dei due stranieri comprati nell'estate del 1984, e decisivi per lo scudetto. Ventisette partite e nove gol, il primo al debutto contro il Napoli dove era appena arrivato Maradona. Dal 1989 al 2007 allena (tra Germania, Turchia e nazionale albanese). Ora - come raccontato in un'intervista a quattrotretre - ha una fondazione e si occupa di progetti umanitari.
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DOMENICO VOLPATI - Fatica e corsa in mezzo al campo, alla ricerca del sogno che diventerà realtà. Raccontò di aver lasciato la festa scudetto in piazza Bra in anticipo perché doveva sposarsi. Al pari di Socrates è laureato in medicina, e a Cavalese ha lavorato per anni nel suo studio. Oggi è in pensione.
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ANTONIO DI GENNARO - Al Verona dal 1981 al 1988, sarà la mente del centrocampo: qualità e assist. Con anche la Coppa Italia fu in assoluto il giocatore più utilizzato nello scacchiere di Bagnoli, giocando 38 partite sulle 39 totali della stagione. Oggi è un noto opinionista tv, ex della squadra di Sky Sport.
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LUCIANO MARANGON - Altra freccia esterna di quel Verona da sogno. In carriera ha vestito le maglie di Juve, Inter, Napoli e Roma. Dopo la carriera si è trasferito ad Ibizia, dove gestisce un ristorante.
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GIUSEPPE GALDERISI - "Nanu" fu il capocannoniere di quel Verona con 11 gol. Velocità, movimenti agili, elevazione. E rapace d'area di rigore. Inizierà la sua carriera in panchina nel 1999 in America coi New England Revolution (dove aveva smesso come calciatore). Cambierà oltre 15 squadre. Oggi è alla guida della Vis Pesaro in Serie C, con cui era 15° in classifica prima dello stop ai campionati.
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PREBEN LARSEN ELKJAER - L'altro straniero insieme a Briegel. Se Galderisi era l'agilità, lui era l'ariete. "Cavallo pazzo" chiuse secondo nel Pallone d'Oro 1985 dietro solo a Platini, e dopo l'Hellas tornerà in Danimarca per non legarsi a nessun altro club italiano. Oggi è commentatore per la tv danese.
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GLI ALTRI - Furono in totale 17 i calciatori schierati da Bagnoli quell'anno. Luciano Bruni giocò 27 partite, a centrocampo con o come alternativa a Di Gennaro. Da lì una lunga carriera in panchina con le giovanili, dalla Fiorentina (1998) al Piacenza (2019), in mezzo anche la Juve con cui vincerà un Viareggio nel 2010.
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Franco Turchetta ha continuato a giocare a calcio a livello amatoriale per tanti anni. Luigi Sacchetti ha allenato fino al 2015. Anche Fabio Marangon (fratello minore di Luciano) e il secondo portiere Sergio Spuri hanno scelto la via della panchina nelle serie minori, mentre Dario Donà si è allontanato dal mondo del pallone.
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OSVALDO BAGNOLI - Dopo lo scudetto restò a Verona fino al 1990, chiudendo la sua carriera all'Inter quattro anni più tardi. Autore di un miracolo mai ripetuto dopo di lui. "Oggi non ci rendiamo conto di quale impresa abbiamo realizzato, ma sarà il corso del tempo a farcelo capire" - disse Volpati. A distanza di 35 anni l'impresa è rimasta storica.
FONTE: Sport.Sky.it
12.5.2020
L’onore di Matarrese «L’Hellas era unico Titolo strameritato»
Antonio Matarrese a destra consegna insieme a Sordillo e Nizzola la Coppa Scudetto a Guidotti FOTOEXPRESS
L’onorevole Antonio Matarrese è stata una delle figure più importanti nel mondo del calcio italiano, almeno degli ultimi quarant’anni. Dottore in economia e commercio e politico di razza. Uomo potente della Democrazia Cristiana e per ben quattro legislature parlamentare. Il fratello Vincenzo, è stato a lungo presidente del Bari. Antonio Matarrese era presidente della Lega Calcio quando nel 1985 consegnò la Coppa di Campione d’Italia nelle mani di Celestino Guidotti del Verona. Una foto storica insieme al presidente uscente della Figc Sordillo e a Nizzola che poi avrebbe preso il posto del numero uno degli azzurri al Mundial vinto in Spagna.
GRANDE CLUB. «Mi fa molto piacere parlare del Verona» esordisce il Senatore Antonio Matarrese. «Ho avuto dei rapporti splendidi in quegl’anni con Tino Guidotti. Era un omone dagli occhi buoni e la battuta facile. Sempre un signore nelle questioni delicate dell’assemblea di Lega. E poi c’era Chiampan col fratello. Nando, se non ricordo male, era sempre un passo dietro. Era un ottimo capitano di impresa, dirigeva la Canon, non un’aziendina qualsiasi. Era un bel mix di persone». Con Guidotti il rapporto proseguì anche con Italia ’90. Matarrese si vide anche sul lago di Garda nella casa del presidente gialloblù.
PROFESSOR BARBIERI. «Guardi», racconta Matarrese, «Verona in qualche modo fa parte della mia vita. Perché? «Ho preparato la tesi in storia economica col professor Gino Barbieri, che abitava in via Dietro Listone a due passi dall’Arena». Matarrese, ottant’anni il prossimo luglio, dimostra grande memoria. «Pensi, partivo in macchina da Bari, viaggiando anche di notte ed entravo in quella casa museo. Ricordo in ingresso una grande foto di Barbieri con Amintore Fanfani».
«ORGOGLIOSO DELL’HELLAS». Antonio Matarrese torna a quei giorni. «Sono orgoglioso di quella vittoria, quasi un premio per me» racconta, «ancora oggi perchè andava contro i luoghi comuni dell’epoca che lo scudetto lo vincevano solo le grandi. Ed invece fece bene alla mia presidenza e a tutto il calcio italiano. Ci furono quello della Roma, del Verona, del Napoli e della Samp nello spazio di dieci anni, se non ricordo male. Se farebbe bene al calcio italiano che vincesse lo scudetto una piccola oppure una squadra come l’Atalanta? Lo migliorerebbe, questo sì». E la squadra e mister Bagnoli? «Ah, Bagnoli» Matarrese fa una pausa, «grande figura. Che gioco che aveva quella squadra. Ha perso solo nel fango di Avellino, dai ma ha battuto la Juve, la Roma e le altre. Adesso non ricordo. Però il mister era una bella figura ma tutto il club era solido e ben composto. I problemi arrivarono dopo nel ’90. Guardi quello fu uno scudetto di grande prestigio per il calcio italiano. Ricordo quando si andava alla riunioni all’estero tutti ci chiedevano del Verona. E poi sa» prosegue l’ex presidente anche della Figc, «quel club per merito di dirigenti, tecnici e giocatore era umile. Mai un’alzata di testa, mai una polemica sterile. Guardi che quell’anno avevamo tutti i maggior campioni in Italia. C’erano gli occhi del mondo sul nostro Paese». Il presidente Antonio Matarrese ammette si seguire meno il calcio ma di essere ancora appassionato. «Buon Verona quest’anno» conclude, «peccato per quello che stiamo vivendo. Vi auguro tanta fortuna e grazie...». Ecco, giusto per far capire la grandezza, sia piaciuto o meno, del personaggio rispetto a quello che oggi passa il convento. •
Gianluca Tavellin
FONTE: LArena.it
Lo scudetto del Verona compie 35 anni: perché resta un’impresa storica (e temo irripetibile)
35 anni fa l'impresa dell'Hellas Verona, che contro ogni pronostico si laureò Campione d'Italia. L'ultima grande storia italiana nell'epoca di un altro calcio.
Da Roberto Beccantini
Ieri A 10:32 | Aggiornato Ieri A 10:32
Lo scudetto del Verona compie 35 anni. Era il 12 maggio 1985, mancava una giornata al termine: l’1-1 di Bergamo, con l’Atalanta, sancì un confine storico. Storico e, temo, irripetibile. Tanto per cominciare, dal varo del girone unico (stagione 1929-’30), rimane la sola squadra di una città non capoluogo di regione ad aver realizzato una simile impresa: perché di impresa si trattò.
Era un altro calcio, d’accordo: con gerarchie precise ma non inviolabili. Bastava provarci, il Verona ci riuscì. Silvio Berlusconi sarebbe arrivato di lì a poco, nel 1986; la sentenza Bosman era ancora lontana (15 dicembre 1995). Molto vicina e molto agguerrita, in compenso, la concorrenza: la Juventus di Michel Platini, campione in carica, il Napoli di Diego Maradona, l’Inter di Karl-Heinz Rummenigge, il Milan di Mark Hateley.
Karl Heinz Rummenigge e Hans Peter Briegel dopo Inter-Hellas Verona del 1985
Credit Foto Imago
Le squadre erano sedici, gli stranieri due, le rose umane. Venne introdotto il sorteggio degli arbitri: non integrale, però. Molto passò da lì. Non tutto. L’Hellas si reggeva su uno proprietario munifico come Ferdinando Chiampan, che pur di sognare non badò a bruschi risvegli; un direttore sportivo di silenziosa competenza, Emiliano Mascetti; e un allenatore tutto arrosto (anche troppo, per l’epoca): Osvaldo Bagnoli. Il presidente, Celestino Guidotti, sembrava uscito dalla penna di Honoré de Balzac.
La mente corre al miracolo Leicester del 2016, sintesi tecnico-economica di un sistema infinitamente più bilanciato. Ma non fu la stessa cosa. Claudio Ranieri ereditò «volpi» che avevano evitato di un soffio la retrocessione. Bagnoli, viceversa, giunse al trionfo per gradi: promozione nel 1982, quarto posto nel 1983, sesto nel 1984 con il carico di due finali di Coppa Italia e un paio di turni di Coppa Uefa (incluso il romanzesco 3-2 sul campo minato della Stella Rossa).
Il gioco era un ibrido che onorava la tradizione rifiutandone i postulati più sciocchi. Parola d’ordine, «il terzino faccia il terzino». Fra i pali, Claudio Garella: mai visto un portiere «senza mani» vincere due scudetti (il secondo, nel 1987, a Napoli). Poi Roberto Tricella libero moderno, Mauro Ferroni e Silvano Fontolan in marcatura; il nottambulo Luciano Marangon e il decathleta Hans Peter-Briegel a spingere, Antonio Di Gennaro in regia con Domenico Volpati, di professione dentista, o Luciano Bruni a guardargli le spalle; Pierino Fanna tornante e andante; il nano Galderisi e quella forza della natura di Preben Elkjaer-Larsen a buttar giù i muri avversari, chi di fioretto e chi a sportellate.
La politica degli scarti, da Fanna a Galderisi, risultò mossa cruciale. All’esordio, subito 3-1 al Napoli del primissimo Maradona. E quindi, strada facendo, 2-0 a Madama con gol «scalzo» del danesone.
In totale: 15 vittorie, 13 pareggi e la miseria di 2 sconfitte; miglior difesa e secondo attacco. Dietro, a conferma dell’eccezionalità del messaggio, il Toro di Gigi Radice. Il Verona, «quel» Verona, avrebbe concluso il ciclo nel ’90, inghiottito dalla Serie B. E sempre con l’Osvaldo della Bovisa al timone. Oggi, una favola del genere è impensabile. I diritti televisivi hanno sventrato gli equilibri, la provincia può aspirare al massimo alla zona Champions, come certifica il boom dell’Atalanta: stadio di proprietà, piani chiari e, per paradosso, Europa più scalabile di quanto non lo sia lo scudetto.
Hellas Verona stagione 1984/85
Credit Foto Imago
La Juventus ne ha vinti otto, il Bayern sette, in Spagna o è Barcellona o è Real, in Francia - che pure visse, nel 2012, l’esperienza «veronese» del Montpellier - domina il Paris Saint-Qatar. L’ingorgo inglese appartiene a un altro spirito, a un’altra cultura. Il glorioso blitz del Verona, fondato da un pugno di studenti e «Hellas» su idea del loro professore di greco, resta l’eccezione che - più ancora del titolo sampdoriano del 1991 - segnò l'ultima ribellione al calcio chiuso. A maggior ragione, cin cin.
FONTE: EuroSport.it
NEWS
12 maggio 2020 - 10:20
Quel giorno a Bergamo, i tifosi: “Furono lacrime di gioia: non smetteremo mai di festeggiare lo Scudetto”
Viaggio tra i cuori gialloblù. Il “Matte”: “Il momento più bello della mia vita”. Italia: “Realizzato il sogno che avevo da bambino”
di Lorenzo Fabiano, @lollofab
Sarebbe piaciuta a Pierpaolo Pasolini e alla sua visione sacrale del calcio.
È il 12 maggio del 1985, allo Stadio Azzurri d’Italia di Bergamo scorrono gli ultimi minuti di Atalanta-Verona: sotto la pioggia un uomo si erge in piedi sulle reti di recinzione che separano il campo da gioco dalla curva dove sono assiepati a migliaia i tifosi gialloblù in delirio: spalle al campo, si rivolge a loro come un predicatore soul: «Datemi un Veee-rooo-naaa! Verona! Verona!» grida e il boato esplode.
Più che un’immagine, quella è rimasta un’icona: «Il momento più bello della mia vita, sembravo un sacerdote officiante» ricorda Moreno Matteoni, o meglio «Il Matte», anima dipinta di gialloblù, uno che il Verona lo ha cominciato a seguire quando aveva sei anni col Calcio Club di San Nazaro nel cuore di Veronetta. «Io quel pomeriggio piansi – ricorda «Il Matte» – pensando agli amici che non c’erano più, a tutto quello che avevamo condiviso, perché la nostra tifoseria è prima di tutto una comunità». «Era un calcio sano, non a caso c’era quell’anno il sorteggio arbitrale, – prosegue – che puntualmente tolsero di mezzo l’anno dopo, perché un secondo “caso Verona” sarebbe stato oggettivamente troppo per il Palazzo.
«Un altro mondo, che con l’avvento dei diritti televisivi si son fiondati i manager rampanti a prenderselo. Quella del Verona, fu la meravigliosa cavalcata di una squadra che giocava meglio di tutte le altre. Fu premiata la serietà di una società sana, di un presidente come Tino Guidotti che era l’erede diretto di Saverio Garonzi, di un gruppo di giocatori che prima di tutto erano uomini veri e di un allenatore come Osvaldo Bagnoli che era avanti anni luce. Smise di allenare giovane quando capì che il calcio era cambiato e non gli apparteneva più». Lui si chiama Doriano Recchia, 67 anni fra pochi giorni, ma tutti lo chiamano Italia perchè non c’è angolo dello Stivale dove non abbia seguito il Verona: «Purtroppo non conosciamo esattamente il giorno in cui fu fondato il Verona, ma conosciamo bene la data in cui vinse lo scudetto. Lo sto ancora festeggiando dopo 35 anni; la mia è stata una generazione fortunata e vivere anni come quelli» spiega. «Si realizzò il mio sogno da bambino; i miracoli nel calcio succedono, ma quel miracolo fu programmato almeno due anni prima. Dal 1929, anno in cui nacque il girone unico, solo 12 squadre hanno vinto lo scudetto, e noi siamo una di quelle, l’unica vera provinciale».
Ai 12 Apostoli, nel cuore di Verona di Giorgio Gioco, squadra e società al completo celebrarono la cena ufficiale del tricolore: «C’erano tutti, Elkjaer e Briegel al tavolo 31 – rammenta Antonio Gioco -, Gigi Sacchetti con la farfallina gialloblù. Papà disegnò il menù con lo scudetto: per dolce servimmo una torta millefoglie con un fiocco di zucchero gialloblù. Fuori c’era il mondo, con gente arrampicata alle inferriate delle finestre». «Il Verona era di casa qui da noi – racconta Antonio – Bagnoli e Brera s’incontravano tutte le settimane al tavolo di Giulietta proprio sotto i versi di Berto Barbarani. Il Verona fu la Cenerentola che mise sotto scacco le regine del ballo. Mi vengono i brividi a risentire la voce di Roberto Puliero al gol di Elkjaer a Bergamo. Fu un grido liberatorio».
“A day in life” avrebbero cantato i Beatles.
FONTE: Hellas1903.it
NEWS
Giordano: “Lo Scudetto del Verona? Quell’anno finii per tifare per loro”
L’ex attaccante biancoceleste, raggiunto da L’Arena, ha svelato un piccolo aneddoto relativo al tricolore gialloblù
di Tommaso Badia Maggio 11, 2020 - 09:15
Che il Verona 84/85 abbia fatto innamorare molti amanti del calcio lo sappiamo, ma che sarebbe riuscito nell’impresa di farsi tifare anche dagli avversari non l’avevamo messo in preventivo.
Eppure, almeno a quanto raccontato a L’Arena da Bruno Giordano, la truppa di Bagnoli sembra essere riuscita anche in questa impresa: di seguito, infatti, le dichirazioni rilasciate dall’ex attaccante biancoceleste ai colleghi del quotidiano sclaigero.
“QUEL” VERONA. «L’Hellas di quella stagione era una squadra sensazionale: costruita per fare un buon campionato, alla lunga dimostrò di meritare la vittoria finale. Aveva un gioco veloce, rapido e spumeggiante, fatto di ripartenze veloci: affrontandoli (i gialloblù vinsero entrambi gli incontri contro la Lazio, ndr) capimmo che avevano tutte le carte in tavola per vincere. Alla fine mi ritrovai a tifare per il Verona, anche perché ero legato ad alcuni suoi giocatori: Garella e Fanna erano stati miei compagni di squadra (rispettivamente alla Lazio e in Nazionale, ndr), mentre contro Ferroni avevo segnato il mio primo gol in Serie A (5 ottobre ’75, Sampdoria-Lazio 0-1, ndr)».
I SINGOLI. «Il Verona era una squadra di equilibrio e talento: ricordo lo stile di Di Gennaro, la forza di Fontolan, e poi c’era Marangon e il mio amico Galderisi. Davvero una squadra straordinaria in tutti i reparti…».
BAGNOLI. «Mister Bagnoli nel giro di poco tempo riuscì a far entrare nella testa dei suoi ragazzi la convinzione che avrebbero potuto fare qualcosa di grande. Fu questa mentalità a permettere al Verona di vincere».
FONTE: CalcioHellas.it
VOLPATI E TRICELLA RILEGGONO CON FRANCESCO BARANA QUELLA MEMORABILE IMPRESA
ECCO COSA SIGNIFICA OGGI QUEL TRICOLORE
12/05/2020 08:40
“Lo scudetto non è solo un fatto storico, è un luogo dell'anima. Per me ripensarci è come mettere un disco dei Beatles o di Battisti: mi riaggancio immediatamente a un luogo, a vicende, volti, ricordi. Credo sia così anche per i veronesi: qualche mese fa sulle piste da scii qui in Trentino una persona mi ha visto, ha ricordato e si è messa a piangere di commozione”.
Domenico Volpati, leader di quel Verona di Bagnoli che il 12 maggio di 35 anni fa, a Bergamo, conquistò lo scudetto, è la coscienza storica di quel gruppo. Ma “Volpe” questa volta, dalla sua Castello di Fiemme, per l'anniversario non vuole solo ricordare. C'è qualcosa di più, ancorato nel presente, nell'incedere dei suoi pensieri. C'è l'eredità sociale, se vogliamo “spirituale” di quell'impresa, che, dice Volpati, “riverbera la sua luce ancora oggi”. Lo scudetto “ha avuto un effetto trasversale e interclassista, che è ancora vivo, nel rapporto tra i veronesi e la squadra. Si interessa e chiede del Verona anche chi non sa nulla di calcio, altrove non succede e non è mai successo al Chievo nei suoi anni migliori. Tifa il Verona il medico, o l'avvocato, ma anche l'operaio. Quel 12 maggio è stata la sublimazione di un ciclone, di una bellissima tempesta che ha colpito tutti, non solo i credenti del calcio, ma anche i laici e i pagani. Quello scudetto ha fatto innamorare l'intera città e provincia all'Hellas”.
C'è, parallelamente, l'eredità calcistica: “La nostra vittoria per chi è venuto dopo, compresi la società e i giocatori attuali, è certamente uno zaino dei ricordi pesante da portare. Ma è giusto che sia così, ci si deve convivere, anzi, proprio quel successo deve essere vissuto ogni giorno come segno di responsabilità per quello che si fa. Il Verona da quel 1985 non è più solo una provinciale, ha un brand più importante, al pari di Sampdoria, Genoa, Bologna, Toro. A questi club bisogna guardare, non alle altre provinciali. Giocare nel Verona comporta dei doveri maggiori”.
Roberto Tricella era il giovane capitano di quel Verona. E, con Volpati, l'altra mente pensante, definizione che però non ama particolarmente: “Perché – sorride il Trice – sembra che i leader morali fossimo noi, invece sul piano emotivo il segreto di quella squadra è stato essere un mix di diversità e anime varie. Eravamo tutti seri in campo, ma lo spogliatoio era una babele per fortuna: c'era la persona più razionale e accanto il pazzo scatenato, vicino a lui il taciturno, o l'indolente che non voleva rotture di palle. Se fossimo stati tutti seri e dritti ci saremmo annoiati e non avremmo vinto”.
Tricella, che risponde da Milano, però condivide e rilancia l'analisi di Volpati: “Chiariamoci, quello scudetto non può essere una zavorra, semmai deve essere uno stimolo. Il Verona da allora è una società che ha il dovere di rimanere stabile in serie A e navigare quantomeno a metà classifica”. A Tricella poi sembra non andar giù chi in passato ha derubricato come casuale quella vittoria, quasi a voler scacciare un fardello troppo pesante: “Non esiste il caso. Il mio Verona per almeno un quinquennio, dal 1982 al 1987, è stata una delle dieci società più importanti d'Europa, avevamo dietro la Canon, 6-7 nazionali al top della carriera, campioni di profilo europeo come Elkjaer e Briegel. Due anni prima dello scudetto eravamo arrivati quarti, due anni dopo lo stesso, nel frattempo disputammo due finali di coppa Italia. Nessuno mi toglie dalla testa che se la società, anziché vendere ogni anno i due-tre più forti, avesse confermato tutti e allungato la panchina con un paio di giocatori avremmo potuto vincere un altro scudetto e arrivare in fondo a una coppa europea. Quel passato nessuno lo può portare via ed è giusto che i tifosi, che peraltro non hanno mai fatto mancare il loro amore nemmeno in C, lo ricordino ed esigano un Verona all'altezza del suo blasone”.
Al riguardo Tricella prova a dare un piccolo suggerimento anche a Setti: “Mi pare che i due-tre giocatori importanti della squadra attuale siano già in procinto di salutare a fine stagione e non è scontato sostituirli con pedine di pari valore. Quantomeno la società non faccia l'errore di smantellare, confermi lo zoccolo duro di quelli più bravi, altrimenti sarà difficile confermarsi”.
FRANCESCO BARANA
FONTE: TGVerona.it
NEWS
12/05/1985 – 12/05/2020: buon 35° compleanno, Scudetto gialloblù!
La storica impresa degli uomini di Bagnoli rivive ancora oggi nei cuori dei tifosi veronesi
di Tommaso Badia Maggio 12, 2020 - 08:30
Una follia, un sogno, una cavalcata trionfale: qualunque cosa sia stato per voi, lo storico Scudetto dell’Hellas è senz’altro un evento a cui difficilmente assisteremo nei prossimi anni.
Proprio per questo merita quindi di essere celebrato per quello che è: un gioiello prezioso saldamente incastonato nella storia del calcio, uno splendido ricordo che tutti i tifosi del Verona che hanno avuto la fortuna di viverlo porteranno per sempre nel cuore.
Buon 35° compleanno, Scudetto gialloblù!
FONTE: CalcioHellas.it
NEWS
12 maggio 2020 - 08:29
Verona campione: 12 maggio, il compleanno della più bella poesia del calcio
Dal 1985 a oggi, lo scudetto dell’Hellas continua a essere un racconto meraviglioso
di Redazione Hellas1903
Oggi sono trentacinque.
Compie gli anni lo scudetto del Verona. Giorno che rappresenta la realizzazione di un sogno che non si pensava neppure di poter sognare. L’1-1 di Bergamo, il gol all’Atalanta di Preben Elkjaer per pareggiare la rete di Perico. I 15mila allo stadio Comunale. La gioia inebriata di una città.
Chi c’era sa, chi non era ancora nato è come se ci fosse stato, con il cuore, per i ricordi narrati, per le emozioni che sono state trasmesse.
Si potrebbero scrivere pagine e pagine, sempre e ancora, su quel 12 maggio 1985. La cosa più bella è sapere che cos’è stato lo scudetto gialloblù, che cosa continuerà ad essere per sempre: la più bella poesia del calcio.
Tanti auguri per l’eternità.
FONTE: Hellas1903.it
Hellas Verona: anniversario dello Storico Scudetto 1984/85
DI REDAZIONE · PUBBLICATO 12 MAGGIO 2020 · AGGIORNATO 12 MAGGIO 2020
Era il 12 Maggio 1985 quando a Bergamo l’Hellas pareggiando 1-1 con reti di Elkjær Larsen e Perico per gli orobici padroni di casa vinsero quel tricolore.Indimenticabile l’esordio in casa al Marcantonio Bentegodi contro il Napoli di Diego Armando Maradona.L’Argentino masticò amaro il pomeriggio del 16 settembre 1984 ma, come sempre rimase disponibile verso la stampa quando a fine partita veniva tampinato dagli altrettanto Storici giornalisti RAI di quella trasmissione, ancora una volta Storica.90esimo minuto era tanto cara ai ragazzi della mia generazione, e non solo.Tonino Carino da Ascoli, Marcello Giannini da Firenze, Giorgio Bubba da Genova, Gianni Vasino da Milano, per non parlare di Giampiero Galeazzi noto Bisteccone e il conduttore e ideatore Paolo Valenti.
Ed ecco tutti i nomi della rosa di quella fantastica squadra : Claudio Garella, Sergio Spuri, Mauro Ferroni, Silvano Fontolan, Fabio Marangon, Luciano Marangon, Roberto Tricella, Hans-Peter Briegel, Luciano Bruni, Antonio Di Gennaro, Dario Donà, Piero Fanna, Luigi Sacchetti, Franco Turchetta, Domenico Volpati, Preben Larsen Elkjaer, Giuseppe Galderisi.
FONTE: ZonaCalcioFaiDaTe.it
L'ANNIVERSARIO
35 ANNI FA ERAVAMO I CAMPIONI D'ITALIA
12/05/2020 08:02
Trentacinque anni fa, il 12 maggio 1985, il Verona di Osvaldo Bagnoli, pareggiando 1-1 sul campo dell'Atalanta a Bergamo vinse il suo primo, storico, scudetto.
Un trionfo di una squadra meravigliosa, frutto del sapiente lavoro di Osvaldo Bagnoli e di dirigenti capaci e lungimiranti.
Quel Verona non era una meteora perchè aveva già costruito vittorie e successi nei campionati precedenti. Un ciclo che era iniziato in serie B, proprio con Bagnoli alla guida.
Sono passati 35 anni ma quel Verona resta nella memoria del calcio mondiale come la prima squadra provinciale ad aver vinto uno scudetto in un campionato come quello italiano dove in quegli anni giocavano i più forti campioni di tutto il mondo.
FONTE: TGGialloBlu.it
Primo Piano
Auguri vecchio Hellas. Auguri Verona. 35 anni fa il trionfo a Bergamo
12 maggio ‘85: il Verona sbalordisce il mondo. Bagnoli guida al successo un gruppo straordinario. La città impazisce di gioia...
Di Cronaca di Verona - 11 Maggio 2020
Una squadra una città. Bergamo: domenica 12 maggio 1985, stadio comunale, Atalanta-Verona. All’Hellas serve un punto per vincere lo scudetto. L’orobico Perico, in gol dopo 16 minuti, gela il sangue dei tifosi scaligeri giunti in massa nella vicina Lombardia.
Piove, la giornata è grigia. Il Verona indossa la divisa gialla. C’è il tutto esaurito: 39 mila spettatori. Al sesto del secondo tempo Preben Larsen Elkjaer pareggia. E’ l’apoteosi. Verona impazzisce. Piazza Bra è stracolma di gente. Roberto Puliero, col suo microfono, racconta la storia. Reteeeee! Alè, alè, alè, bum bum viva viva vivaaaaa… Che Verona, che tempi! Domani saranno 35 anni dal trionfo: 35 anni sono tanti, ma l’impresa è immortale. Era un mondo diverso, romantico, si poteva sognare. E a volte i sogni diventavano realtà. Impossibile associare quel trionfo a un solo volto: come fai a scegliere tra “papà” Bagnoli, il grande presidente Guidotti, capitan Tricella, tra il “cavallo pazzo” danese, Briegel, Pierino Fanna, Nanu Galderisi, Garellik, Sacchetti, Di Gennaro? L’elenco è lunghissimo. Tutti hanno contribuito alla vittoria. E’ stata una fiumana di gente. Caroselli infiniti d’auto. Verona è andata avanti così per una settimana, anzi di più, perché l’ultima partita in casa contro l’Avellino i festeggiamenti sono ripartiti alla grande. Il Verona ha primeggiato nella serie A di Platini e Maradona, sconfitto all’esordio al Bentegodi, Verona-Napoli 3 a 1, marcatori Briegel, Galderisi e Di Gennaro. Per i partenopei in rete l’argentino Bertoni, campione del mondo nel ’78. L’altro argentino, quello col 10 sulla schiena, rimase a secco. Allora il calcio italiano era il più ammirato, invidiato, ambito. C’erano bomber di razza, giocatori dal talento smisurato, una passione travolgente. Il Verona ha vinto ma anche Verona città ha trionfato. La Verona matta ma lavoratrice. Una città piccola, genuina e rampante. Guardare le foto dell’epoca mette i brividi. Auguri Hellas, auguri Verona: 35 anni sono tanti, ma tra altri 35 il ricordo sarà vivo proprio come oggi.
A.G.
Sport
Con loro, dentro un sogno
Una formazione imparata a memoria: “Garella, Ferroni, Marangon, Tricella e....” E un allenatore che parlava poco, perchè non ce n’era bisogno: un allenatore papà
Di Cronaca di Verona - 11 Maggio 2020
Raffaele Tomelleri
I giorni dello scudetto, di una formazione imparata a memoria. Quand’eravamo bambini, a memoria s’imparava l’Inter di “Sarti, Burgnich, Facchetti…”. O il Milan di “Cudicini, Anquilletti, Schnellinger…”. E la Juve di “Zoff, Gentile, Cabrini…”.
Ma venne un giorno che nessuno aveva mai pensato, il giorno di una favola vera, perchè anche nel calcio, almeno una volta, accadevano favole vere. Venne il giorno di “Garella, Ferroni, Marangon…”. E poi, “…Tricella, Fontolan, Briegel”. E ancora, “…Fanna, Sacchetti (o Volpati), Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer”.
E non ce n’era per nessuno, perchè quando le grandi incontravano il Verona diventavano piccole. E anche i fuoriclasse che avevano, sì, perchè in quel campionato giocavano Maradona, Platini e Falcao, Rummenigge e Zico, e poi il filosofo Socrates e Boniek. E poi Pablito Rossi e Altobelli, Tardelli e Bruno Conti, Passarella e Cerezo. Beh, quando i fuoriclasse incontravano il gigante Hans Peter e i suoi compagni, diventavano tutti dei Nanu.
E il Nanu vero diventava un gigante. Ah, e poi, in quella squadra c’erano anche il piccolo Bruni e il grande Spuri, Donà e Turchetta, che sapeva palleggiare per ore con un’arancia. E ancora il giovane Marangon e il giovanissimo Terraciano. E un allenatore che parlava poco, ma non ne aveva bisogno. L’Osvaldo. Ancora oggi, quando loro ne parlano, quando lo incontrano e lo salutano, scoprono di avere gli occhi lucidi. Come la gente di Verona.
FONTE: CronacaDiVerona.com
NEWS
Castellini, Galli, Serena, Zico e Boniek ricordano lo Scudetto gialloblù
I cinque furono tra i giocatori che provarono a opporsi alla travolgente cavalcata dell’Hellas di Bagnoli
di Tommaso Badia Maggio 10, 2020 - 17:15
Lo Scudetto visto… dall’esterno: raggiunti dai colleghi de L’Arena, Luciano Castellini, Filippo Galli, Aldo Serena, Zico e Zbigniew Boniek hanno raccontato la propria “versione” del tricolore scaligero.
Senza perdere tempo, andiamo quindi a vedere le loro principali dichiarazioni.
CASTELLINI. «Anche se noi eravamo distratti anche dal grande rumore che aveva fatto l’arrivo di Maradona, il Verona alla prima giornata di campionato ci sorprese (3-1 per l’Hellas, ndr). Lo Scudetto? Fu meritatissimo».
GALLI. «Ricordo il pareggio di Verona (0-0, ndr): lo giocammo nel fango. Quello era il Milan che stava entrando nell’era Berlusconi, però nulla da dire sulla vittoria del Verona: fu meritata e romantica. Elkjaer? Tra i più forti attaccanti del periodo».
SERENA. «Quello tra il “mio” Torino e il Verona fu un bellissimo duello. All’andata meritavamo di vincere, ma perdemmo (1-2 al Comunale, ndr), mentre al ritorno meritavano loro, ma vincemmo noi (1-2 al Bentegodi, ndr). Il calcio è così: forse, se ci fossimo svegliati prima… Comunque l’Hellas era una grande squadra: aveva un grande tecnico e un gruppo formidabile».
ZICO. «Ricordo la sconfitta casalinga per 3-5 (10 febbraio ’85, ndr): il Verona era incredibile, aveva talento, forza, rapidità e grande mentalità. Dopo aver subito una rimonta di tre gol non solo non crollarono, ma ci segnarono subito due reti. Quella partita esaltò tanti campioni, ma credo che il migliore in campo sia stato Garella: quel giorno fu impressionante. Quella fu senz’altro la partita più emozionante della mia avventura italiana».
BONIEK. «Quello del Verona fu un Scudetto meritato, e loro furono grandi. I miei top? Fanna e Tricella».
NEWS
Giannini: “Liedholm e Bagnoli condottieri e maestri. Mascetti grande uomo e dirigente”
Prima di allenare l’Hellas, il Principe fu uno degli avversario del leggendario Verona “scudettato”
di Tommaso Badia Maggio 10, 2020 - 17:05
Veloce, rapido, compatto: questi sono solo alcuni degli elogi usati da Giuseppe Giannini, ex tecnico dell’Hellas ma prima giocatore della Roma, per descrivere il Verona dello storico Scudetto.
Raggiunto da L’Arena il Principe ha infatti parlato della squadra di Bagnoli, avendo comunque modo di spendere due parole anche sulla propria (breve e non troppo fortunata) esperienza sulla panchina gialloblù.
Di seguito, dunque, le sue principali dichiarazioni.
IL VERONA 2010/2011. «Il Verona che ho allenato era un’ottima squadra. Sicuramente ho sbagliato qualcosa: il gruppo era importante per la categoria, tanto che poi salì in Serie B con Mandorlini».
MISTER A CONFRONTO. «Liedholm e Bagnoli erano due grandi allenatori. Avevano in comune la forza interiore dei grandi condottieri: in panchina avevano sempre la stessa espressione sia che si segnasse che si subisse gol. Davano sicurezza a tutti e sono stati due grandi maestri di gestione del gruppo».
L’HELLAS “SCUDETTATO”. «Il Verona dello Scudetto incantò tutti: erano potenti, veloci, rapidi e con un gruppo solido. Elkjaer aveva una forza dirompente: il presidente Viola fece di tutto per portarlo alla Roma, ma non ci riuscì. Di Gennaro era un grande interprete del ruolo di regista, e segnava pure! Briegel ed Elkjaer erano già affermati nel mondo, e si inserirono subito nel contesto di Bagnoli. Poi c’erano capitan Tricella, ragazzo forte e sveglio, Galderisi, Bruni… Non dimentichiamo comunque che il Verona aveva già giocato due finali di Coppa Italia ed era stabilmente lassù in cima. Un’impresa simile non si costruisce in un solo anno!».
“CICCIO”. «Mascetti? Grande uomo e dirigente. I suoi preziosi consigli arrivavano solo dopo una brutta partita. Sapevo di aver fatto bene quando mi strizzava l’occhio e non mi diceva nulla».
FONTE: CalcioHellas.it
10.5.2020
«Bagnoli e Mascetti attori protagonisti della favola Hellas»
Alessandro Altobelli, classe ’55, 209 reti con la maglia dell’InterLo storico duello tra Briegel e Maradona in un’istantanea che è diventata un’icona: al Bentegodi il tedesco ebbe largamente la meglio sul fuoriclasse argentino
«Ci fermò Garella. Solo noi potevamo fermare il Verona». Ma l’Inter di Spillo Altobelli fu costretta ad arrendersi quando la pennellata di Fanna dal corner di sinistra trovò lo stacco imperioso di Briegel. «Spuntò da dietro, ci prese il tempo. Se avessimo vinto noi al Bentegodi quel giorno (era il 17 febbraio ’85 ndr) forse qualcosa sarebbe potuto cambiare. E, invece finì uno a uno. Nerazzurri ricacciati indietro. E due mesi e mezzo dopo: Verona primo a 43 punti, Toro secondo a 39 e Inter terza a 38. Lo scudetto va in provincia.
Altobelli, sullo scudetto del Verona, il tempo ha tolto ogni dubbio. Non trova? «Certo, pure loro erano una grande squadra. Non ci furono sorprese. Perchè il duello a distanza durò un intero campionato e il Verona non inciampò quasi mai. Credo che la sfida finita in parità al Bentegodi possa essere riassunto di un intero campionato».
Cosa ci vede dentro? «La forza di due corazzate, che se le suonano e che incassano i colpi senza finire al tappeto. Quel giorno andammo in vantaggio con un mio bel gol. Lì poteva girare la storia. Costruimmo un altro paio di palle gol. Garella parò tutto e noi dimostrammo scarsa lucidità nel momento di chiudere la gara. Poi uscì il Verona, segnò Briegel. E l’Hellas sfiorò anche la vittoria. Pari, alla fine, giusto. Come lo scudetto al Verona. Però...».
Però? «Però l’infortunio di Rummenigge pesò non poco sulla nostra stagione. Per vincere quel campionato era necessario essere al top, sempre».
Lei ha detto: ci fermò Garella... «Garella era avanti di 50 anni rispetto al calcio di allora. Parare con i piedi sembrava una cosa innaturale. E, invece, oggi ad un portiere si chiede di avere tecnica completa, a partire proprio dai piedi. Garella era interprete “atipico“ del ruolo, perchè il ruolo non era ancora pronto per un’evoluzione. Ma Claudio è stato precursore».
L’Italia fu costretta a scoprire anche il “silenzioso“ Bagnoli «Il mister? Un grande. Non a caso venne anche all’Inter. I campioni hanno bisogno di essere lasciati liberi di fare...quello che vuole l’allenatore. Bagnoli parlava poco, ma aveva in mano perfettamente quella squadra».
Erano gli anni in cui era fondamentale non sbagliare gli stranieri «Pure gli italiani, però. Briegel me l’ero trovato di fronte nella finale del Bernabeu. Elkjaer aveva esperienza internazionale. Ma, gli altri? Fanna ha vinto scudetto con Juve, Verona e Inter. Marangon univa forza e qualità. Fontolan, dietro, era un ossesso per tutti. Tricella giocava elegante ma concreto. E Galderisi si sposava alla perfezione con Larsen. L’ho detto: perfetti per lo scudetto».
A qualcuno capita una volta sola nella vita... «Sì, ma le vittorie non nascono per caso. Pure Emiliano Mascetti è stato artefice dello scudetto del Verona. Sceglieva gli uomini giusti e li consegnava all’allenatore giusto».
Altobelli, oggi certe storie non si possono più raccontare «Il calcio è cambiato. Penso di essere stato dal ’77 all’88 uno degli attaccanti più importanti in Italia. Ho segnato l’ultimo gol del Mondiale spagnolo, quattro anni dopo ho segnato tutte le reti azzurre al mondiale messicano. Chi legge le statistiche, oggi, non deve farsi fuorviare dai numeri. Se segni 10 gol in 100 partite non sei un bomber. Se allora ne facevi 8 in tredici eri attaccante vero. Meno gare, meno stress, meno tutto. Ma gli attaccanti di razza sono sempre esistiti».
Più favole, forse? «Il Verona ha raccontato la sua, di favola. Ma noi siamo stati attori protagonisti di un campionato bellissimo». •
FONTE: LArena.it
Verona campione d’Italia: quando il calcio di provincia mise in scacco le grandi
Domenico Gioffrè | 26.04.2020
Immaginate che l’Udinese vinca oggi un campionato di Serie A battendo avversarie che annoverano Messi, Cristiano Ronaldo, Mbappé, Salah, Lewandowski, Neymar. Sembra una cosa completamente irreale, eppure in Italia è già successo qualcosa di molto simile e il 12 maggio prossimo compirà 35 anni. Sì, oggi vi racconterà del Verona campione d’Italia 1984/85.
35 anni fa la più grande sorpresa di sempre: il Verona Campione d’Italia
Anche se tra il calcio di oggi e quello di 30-40 anni fa non esiste un serio confronto possibile, ci sono avvenimenti che sono destinati comunque a rimanere straordinari. Lo scudetto del Verona campione d’Italia 1985 è tra questi, senza ombra di dubbio. Non a caso si tratta dell’unico esempio, nella storia del calcio italiano, di una squadra espressione di una città non capoluogo di provincia che vince il massimo campionato.
Guardando alla Serie A velleitaria e indebitata degli ultimi lustri sembra inverosimile, ma c’è stato un periodo in cui il nostro era davvero il campionato più bello e difficile del mondo. Nella prima metà degli anni ’80, con la riapertura delle frontiere, si erano susseguiti gli acquisti-crack da parte delle squadre italiane. La Juve aveva già Platini, la Roma Falcao e l’Udinese un’altra stella di prima grandezza come Zico, ma l’estate 1984 fu particolarmente movimentata.
La chiusura della Federcalcio e la corsa agli acquisti
La Federcalcio aveva annunciato uno stop di 3 anni all’ingaggio di calciatori stranieri provenienti da campionati esteri, a partire dal gennaio seguente. Dunque quella del 30 giugno era occasione da non perdere per assicurarsi qualche grosso campione. Detto fatto: il Napoli ingaggia nientemeno che Diego Armando Maradona, l’Inter va a prendersi Karl-Heinz Rummenigge e anche Torino e Fiorentina non stanno a guardare, acquistando altre due stelle brasiliane come Junior e Socrates.
Maradona, Platini, Falcao, Zico, Rummenigge, Socrates, Junior, tutti ai nastri di partenza del campionato 1984-85. Nessuna delle loro squadre, tuttavia, vincerà quello scudetto.
Nel calcio ogni tanto capitavano stagioni un po’ così. Più di una volta è successo che stagioni strane si verificassero immediatamente dopo grandi manifestazioni come Mondiali o Europei. Nel 1982/83, ad esempio, aveva vinto la Roma interrompendo un digiuno di 41 anni. Nel 1986/87 sarebbe stata invece la prima volta del Napoli e nel 1990/91 della Sampdoria.
La rosa del Verona 1984-85
Dal Vangelo secondo Osvaldo: come nasce il Verona Campione d’Italia
Il Verona era tornato nella massima serie due stagioni prima, dopo aver vinto il campionato di Serie B nel 1981/82 con in panchina il suo uomo del destino: Osvaldo Bagnoli. Milanese, allenatore e personaggio senza fronzoli, Bagnoli porterà i gialloblu dal totale anonimato al trionfo in soli 3 anni. Le avvisaglie che qualcosa di buono potesse accadere si erano avute nelle prime due stagioni, terminate con un fragoroso 4° posto parzialmente confermato dal 6° posto dell’anno seguente.
Le ragioni di quell’ottimo impatto con la Serie A erano sia di matrice tattica che di qualità individuali. Bagnoli era un catenacciaro quando ciò non era ancora considerato una “vergogna”. Semplicemente era molto abile nel rompere le trame degli avversari e controllare il ritmo di gara, salvo poi lanciare improvvise fiammate in verticale. Per qualsiasi disegno tattico, però, c’è bisogno degli uomini giusti al posto giusto. C’è bisogno di uomini di fiducia.
La base di partenza: Garella, Tricella, Volpati, Di Gennaro
Le basi del Verona poi campione d’Italia erano sostanzialmente quattro: Garella, Tricella, Volpati e Di Gennaro. Il primo era ed è probabilmente il miglior “portiere coi piedi” nella storia del calcio italiano. Apparentemente sgraziato e leggermente sovrappeso eppure agilissimo, Claudio Garella era un portiere sui generis, grandioso nelle respinte con ogni parte del corpo, in particolare coi piedi. Roberto Tricella era invece un libero dai piedi discreti, abile ad avanzare palla al piede. Domenico Volpati era un giocatore poco appariscente ma fondamentale, in quanto jolly da utilizzare in vari ruoli tra difesa e centrocampo. Antonio Di Gennaro era invece quello capace di dare qualità al centrocampo, regista-mezzala con bella visione di gioco e un tiro da fuori niente male. Su queste basi arriva la vittoria del campionato di Serie B.
Marangon + Fanna: Bagnoli mette le ali
Per il primo anno in Serie A arrivano altri pezzi di quel puzzle memorabile che si concretizzerà due anni più tardi: Luciano Marangon e Pietro Fanna. Il primo era un giovane terzino sinistro di scuola Juventus ma proveniente dalla Roma, molto abile nelle proiezioni offensive. Il secondo era una classica “ala di raccordo”, micidiale quando in giornata e proveniente dalla Juventus. Proprio alla Vecchia Signora, Pierino non aveva mantenuto le alte promesse e quindi era stato girato ai gialloblu, dove però Fanna arriva con una voglia di riscatto ENORME.
1983: arriva il “Nanu”
Nel 1983/84 si aggiungono altre pedine importanti, allo scacchiere che porterà il Verona al titolo di campione d’Italia: Bruni, Fontolan e Galderisi. Il primo un centrocampista-mezzala destinato a diventare un po’ l’alter-ego di Di Gennaro. Il secondo un classico ed esperto stopper vecchio stile, desideroso di affermarsi dopo l’esperienza in chiaroscuro all’Inter e quella al Como. Ma forse l’acquisto più importante era quello di Peppe “nanu” Galderisi, enfant prodige due anni prima alla Juventus dove si era affermato come bomber in seguito all’infortunio di Bettega, ma poi con poco spazio a causa del ritorno di Paolo Rossi.
Si giunge così al 1984/85, un’annata in cui scelte azzeccate e vari destini incrociati si apprestavano a scrivere una favola incredibile.
Hans Peter Briegel festeggiato dopo un gol (Nicola Calzaretta – Wikipedia)
1984/85: la situazione delle “Big”
La Serie A è elettrizzata dall’arrivo di Diego Armando Maradona, appena acquistato dal Napoli. Tuttavia l’asso argentino non riesce ancora a incidere come può e la squadra stenta. La Juventus è campione in carica con una squadra da sogno, ma concentrata più sulla Coppa dei Campioni che sul campionato. Alla fine vincerà la coppa dalle grandi orecchie, ma in una notte insanguinata che nessuno vorrebbe ricordare. La Roma ha vinto lo scudetto due anni prima, non ha forse digerito in pieno il passaggio da Liedholm ad Eriksson e, soprattutto, è ancora sotto shock per la finale di Coppa Campioni persa ai rigori contro il Liverpool, all’Olimpico.
E le milanesi? L’Inter ha appena messo a segno un colpo straordinario con l’acquisto di Karl-Heinz Rummenigge, anche se l’ambientamento di Kalle non sembra dei più felici. Inoltre anche la guida tecnica scelta da Ernesto Pellegrini non si rivela azzeccatissima. Ilario Castagner viveva ancora un po’ di rendita da quel suo straordinario Perugia che aveva sfiorato lo scudetto 6 anni prima e veniva dai cugini milanisti, che aveva aiutato a risalire dalla B. Proprio il Milan era reduce da un discreto ottavo posto dopo il nuovo purgatorio della Serie B, ma era ancora ben lontano da quello destinato a segnare un’epoca alla fine del decennio.
Elkjaer e Briegel, quando azzeccare i 2 stranieri faceva la differenza
In tutto ciò, il Verona appariva come una squadra collaudata e bisognosa solo degli innesti giusti. Nell’Italia del campionato a 16 squadre e con il limite dei 2 stranieri, la differenza poteva farla proprio l’azzeccare gli stranieri giusti. Il GM Mascetti porta a Verona il tedesco Hans Peter Briegel e il danese Preben Elkjaer Larsen. Il primo era noto al grande pubblico italiano perché presente nella vittoriosa (non per lui) finale del Mondiale ’82. Difensore o all’occorrenza anche centrocampista, Briegel era soprattutto una figura umana che evocava in maniera pressoché perfetta la definizione di “PANZER”. Elkjaer era invece un attaccante messosi in luce nell’Europeo ’84, che il Verona aveva prelevato dai belgi del Lokeren.
Preben Elkjaer Larsen in azione (Facebook-Wikipedia)
Scacco al Re Diego, il coast to coast e un gol-simbolo
Il campionato vede il Verona partire col botto: 3-1 contro il Napoli di Maradona, il cui esordio nel nostro campionato non potrebbe essere più amaro. Alla seconda giornata i gialloblu sono già primi in solitaria. Sembrerebbe un fuoco di paglia, anche perché nelle due precedenti stagioni la squadra di Bagnoli aveva fatto eccellenti gironi di andata, calando poi nel ritorno. Stavolta però sembra esserci un’aria diversa, e un’altra avvisaglia arriva nel pomeriggio del 14 ottobre 1984.
Il Verona ospita la Juventus di Platini, anche se il fuoriclasse francese non è al meglio e Trapattoni lo lascia inizialmente in panchina. Le Roi entra a inizio ripresa, ma le cose non migliorano per i bianconeri, anzi… Il Verona va in vantaggio con Galderisi nel più classico dei gol dell’ex. Non il primo, perché “Nanu” aveva castigato la Vecchia Signora già nel campionato precedente. A meno di 10 minuti dalla fine, però, accade questo
Una volata clamorosa, epica, destinata a rimanere nella storia del calcio non solo veronese. La potenza e l’eleganza con cui Elkjaer si fa beffe della difesa bianconera è uno spettacolo per gli occhi. Lo è soprattutto pensando al personaggio Elkjaer, uno che forse avrebbe potuto avere una carriera più luminosa ma lui era così, prendere (con l’immancabile sigaretta che fumava negli spogliatoi a fine primo tempo) o lasciare. Torniamo però al minuto ’81 di quel Verona-Juve. Elkjaer ridicolizza Pioli nonostante quest’ultimo gli abbia pure sfilato uno scarpino in un estremo disperato tentativo di tackle. Quindi, a piede scalzo scarta anche Favero e deposita la palla nell’angolino a sinistra di Tacconi. Apoteosi.
Un puzzle perfetto
Questo gol descrive più di ogni altro l’alchimia perfetta di quella squadra, un puzzle dove ognuno stava al posto giusto per rendere al meglio. I voli da gatto di Garella, l’equilibrio di Tricella e Volpati, la spinta di Marangon, il fosforo di Di Gennaro, le incursioni di Briegel e Fanna e la strana coppia Galderisi-Elkjaer, così diversi eppure perfettamente complementari. Tra giocatori all’apice della carriera e altri con la giusta fame e voglia di affermarsi, quello di Osvaldo Bagnoli è un puzzle perfetto.
All’inizio del girone di ritorno l’Inter completa l’aggancio in vetta, complice uno scialbo pareggio dei gialloblu a Napoli. Sembra l’inizio di un inevitabile calo, invece succede qualcosa di incredibile. Allo stadio Friuli il Verona è già avanti 3-0 dopo 20 minuti, ma i bianconeri di Zico trovano la clamorosa rimonta con Edinho, Carnevale e Mauro. Ai ragazzi di Bagnoli potrebbero saltare i nervi, invece Elkjaer e Briegel (doppietta per entrambi) fissano il risultato sul 3-5. Se qualcuno cercava una prova di maturità, eccola.
Il 12 maggio un pareggio in casa dell’Atalanta rende gli scaligeri intangibili dal Torino, infine secondo. Il Verona è campione d’Italia e il capolavoro di Osvaldo Bagnoli è completo.
Osvaldo Bagnoli (Wikipedia)
Il rientro nei ranghi e un dubbio: potrà mai ripetersi qualcosa del genere?
Poi il giocattolo si rompe e l’Hellas torna “nei ranghi”: il 10° posto della stagione seguente è una delle performance peggiori per una squadra campione in carica. Quindi un lento calo fino alla retrocessione in B del 1990. Anche per Osvaldo Bagnoli la permanenza ad alti livelli non sarebbe stata lunghissima. Dopo gli anni a Verona per lui ci sono le esperienze al Genoa e all’Inter. Questa sarà però l’ultima ma particolarmente deludente, visto che lo induce al ritiro a 60 anni ancora da compiere. D’altra parte un personaggio come Bagnoli non poteva sopravvivere alla metamorfosi di uno sport che si avviava a diventare qualcosa di molto diverso da quello del 1984/85, anno di un’impresa che rimane senza precedenti nella storia della Serie A.
Oggi infatti il calcio è di per sé molto diverso, a livello nazionale e internazionale. Dalla rivoluzione sacchiana a quella della sentenza Bosman, il panorama è mutato in maniera nettissima. Le risorse economiche contano molto più di prima e la sperequazione di soldi e talenti rendono il nostro campionato molto più squilibrato di prima, a vantaggio delle grandi piazze. Quanto è però riuscito all’Atalanta nelle ultime due stagioni lascia qualche spiraglio aperto. E forse è proprio quella fiammella rappresentata dall’eccezione, dalla variabile imprevedibile, che rende accesa in tutti noi la passione per un pallone che rotola sul campo.
FONTE: Sports.BWin.it
Flashback 1984 / 1985: Un miracolo tutto gialloblu
Il campionato 84/85 vide il clamoroso miracolo del Verona di Bagnoli che, nonostante l’agguerrita concorrenza, conquistò il suo primo storico scudetto
Il Verona campione d'Italia. (foto: ilnobilecalcio.it)
L’estate 1984 è tutta concentrata su un unico nome: Diego Armando Maradona. L’argentino arrivò a Napoli e divenne subito una superstar, ma non fu l’unico arrivo ad effetto; la Fiorentina prese il brasiliano Socrates, così come l’Inter si concentrò sul centravanti Rumenigge e sul fantasista Brady, mentre il Milan si accontentò non solo di Wilkins e Hateley, ma anche del ritorno di Liedholm e dell’arrivo dell’ex capitano romanista Di Bartolomei. Novità anche nelle panchine, dove Gigi Radice tornò a Torino e la Roma scommise sullo svedese Sven-Goran Eriksson.
Il campionato partì subito con la falsa partenza della Juventus campione in carica che, dopo nove partite, conquistò soltanto otto punti e si tagliò fuori dalla lotta scudetto. Con i bianconeri fuori dai giochi, ne approfittò a sorpresa il Verona di Osvaldo Bagnoli che conquistò subito il primato; i gialloblu si sono rinforzati nel mercato grazie a Briegel ed Elkjaer, mentre l’ossatura della squadra non è cambiata rispetto agli anni precedenti. A contrastare il cammino dei veneti ci pensò inizialmente il Torino, trascinato da Junior, ma i granata vennero sconfitti nello scontro diretto in casa. Al termine del girone d’andata il Verona si laureò campione d’inverno, ma perse ad Avellino (sotto la neve) e vide l’arrivo dell’Inter di Castagner.
Il ritorno partì subito con l’aggancio dei nerazzurri in vetta, ma durarono pochissimo perchè gli scaligeri presero il sopravvento e riuscirono a resistere, ottenendo un 1-1 nella sfida al Bentegodi. Poco dopo la formazione milanese si defilò e il distacco aumentò a sei lunghezze. Il Verona però rischiò di riaprire il campionato a causa di una sconfitta interna con il Torino, ma tale caduta non venne captata in pieno dalle avversarie e il 12 Maggio 1985 si scrisse la storia: grazie al pareggio di Bergamo, i gialloblu diventarono per la prima volta campioni d’Italia. Dietro ai veneti arrivarono Torino, Inter, Sampdoria (vincitrice della Coppa Italia) e il Milan che, dopo diversi anni disastrati, riuscì a tornare in Europa. La Juventus si classificò a pari punti con i rossoneri, ma si consolarono (in parte) sia con la conquista della Champions League nella tragica notte dell’Heysel, sia con Michel Platinì, che vinse per la terza volta di fila la classifica marcatori. Delusero Roma, dove scoppiò il caso Falcao, e Fiorentina, con Socrates completamente avulso dagli schemi, mentre Maradona trascinò il Napoli ad un passo dalla qualificazione in Coppa Uefa dopo un grande girone di ritorno. In coda si assistette al dramma della Lazio, retrocessa in B assieme alla Cremonese e all’Ascoli. Da segnalare nell’annata l’esordio di tre calciatori: Gianluca Vialli, Giuseppe Giannini e Paolo Maldini.
Un tacco poco divino
Il mercato 1984 portò in Italia diversi talenti e calciatori già affermati nel massimo campionato, tra cui Socrates, il centrocampista del Brasile che vestì la maglia della Fiorentina. Il calciatore ebbe come colpo caratteristico il suo celebre tacco che, in molti, sostennero come tale gesto avesse discendenza divina e i tifosi toscani tornarono a sognare lo scudetto dopo averlo accarezzato negli ultimi anni. La viola partì abbastanza bene in campionato e già alla quarta giornata il brasiliano si sbloccò nel 5-0 all’Atalanta, con un fantastico pallonetto da fuori area.
Socrates, centrocampista brasiliano che deluse le aspettative con la maglia viola. (foto: lastampa.it)
Nonostante le buone premesse, la Fiorentina crollò vistosamente e nemmeno l’esonero di De Sisti, sostituito da Ferruccio Valcareggi, salvò la stagione, con la formazione toscana che dovette chiudere al nono posto, fuori dalla zona Europa. Ma chi deluse realmente fu proprio il nuovo centrocampista che non entrò mai nel cuore dei tifosi e segnò soltanto sei reti. Il brasiliano, medico e calciatore allo stesso tempo, venne evidenziato in negativo soprattutto per la sua lentezza in campo e il suo “tacco divino” illuminò pochissimo la platea del Franchi. Al termine del campionato, Socrates decise di tornare in Brasile, lasciando il campionato italiano dopo molte ombre e pochissime luci.
Il primo Maradona
Una delle trattative più incerte del mercato estivo fu sicuramente quella che portò Diego Armando Maradona a Napoli, con la società partenopea che sudò le proverbiali sette camicie per convincere il Barcellona a cedere il suo centrocampista. Alla fine i blaugrana cedettero l’argentino, con Corrado Ferlaino che sborsò ben 13 miliardi di lire. L’arrivo del Pibe de Oro suscitò grandissimo entusiasmo in città, tanto che alla presentazione del nuovo calciatore vi furono ben settantamila spettatori al San Paolo ad assistere ai primi palleggi del nuovo pupillo.
Diego Armando Maradona. (foto: TgGialloblu.it)
La stagione non partì benissimo, con il Napoli che si ritrovò subito nella zona calda; ma l’argentino riuscì a prendere per mano i suoi e a risollevarli dopo un grande girone di ritorno, sfiorando di poco un piazzamento in Coppa Uefa. Inoltre, Maradona iniziò a dare un saggio del suo incredibile talento, realizzando diverse reti spettacolari (come quella contro la Lazio) e chiuse il campionato con 14 marcature.
FONTE: LaNotiziaSportiva.com
LUTTO
Addio a Gianni Mura, cantò l'Hellas tricolore
21/03/2020 12:25
Era un grande estimatore, amico e concittadino di Osvaldo Bagnoli. Gianni Mura, storica firma di "Repubblica", è morto questa mattina a Senigallia, stroncato da un infarto. Aveva 74 anni.
Vi riproponiamo l'articolo con il quale, nel 2015, celebrò su "Repubblica" il trentesimo anniversario dello scidetto dell'Hellas.
"Quello scudetto, bellissimo e irripetibile, basterebbe una frase di Fanna a spiegarlo: “Con Bagnoli ci siamo sentiti come uccelli fuori dalla gabbia”. Per capire Bagnoli basterebbe un episodio. Nel marzo 1985, con il Verona in testa alla classifica fin dalla prima partita. L’Associazione allenatori organizzò un convegno sul tema “Evoluzione tattica del calcio mondiale”. C’erano tutti, da Trapattoni a Sonetti. Bagnoli, figuriamoci, in penultima fila. A un certo punto lo chiana il coordinatore, Marino Bartoletti, per illustrare il fenomeno-Verona. Bagnoli sale sul palco, si tocca il naso (fa sempre così quando è incerto sull’avvio) e dice: “Ecco, adesso mi tocca fare la figura dello stupido perché non c’è niente da spiegare. Dico solo una cosa: il Verona gioca un calcio tradizionale, che noi facciamo pressing lo leggo sui giornali. Io in campo non l’ho mai notato. Scusate, ma mi chiedete una ricetta che non ho”.
La ricetta in realtà era già nota: “El tersin fa el tersin, el median fa el median”. Ha un modo tutto suo di parlare, Bagnoli. Mescola il suo primo dialetto, milanese, con quello di Verona: dove ha giocato, ha messo su famiglia, ha allenato e vive. Cosa gli resta dello scudetto di trent’anni fa? “L’affetto della gente, in città, e dei miei giocatori. Ogni tanto ci si ritrova per una partita di beneficenza. Le feste, una ogni cinque anni. E ogni volta che vedo tutta ‘sta gente contenta mi dico che abbiamo fatto qualcosa di bello. Tutti insieme, voglio sia chiaro. I giocatori, il ds Mascetti, il presidente Guidotti, il patron Chiampan, la città che non ci ha messo pressione. E anche un po’ di fortuna: avevo una rosa di 17 giocatori per campionato, coppa Italia e coppa Uefa. Si infortunavano uno alla volta, potevo metterci una pezza”.
Una rosa di 17 giocatori. Ecco perché parliamo di uno scudetto irripetibile, ma anche di un materiale umano, non solo tecnico, di cui si sono perse le tracce. Sapete in base a quali informazioni Bagnoli chiedeva questo o quel giocatore al suo amico Ciccio Mascetti? “Sfogliavo l’almanacco Panini e cercavo centrocampisti da tre-quattro gol a stagione”. Era stato operaio, poi calciatore-operaio, poi allenatore-operaio. Per capire Bagnoli bisogna aver visto il suo quartiere, la Bovisa, quando era solo prati e fabbriche. Il padre lavorava alla Fargas. Lui giocava a pallone, scalzo. “Succede mica solo in Brasile, sa?”. Abitava al 104 di via Candiani, vicino alla stazione delle Ferrovie Nord, quelle dei pendolari. Lascia dopo la prima media e passa a una scuola di disegno tecnico. “Che era già lavorare. Nel doposcuola facevo cinture”. E poi tazze di water, a cottimo. E poi fasce elastiche in un’officina meccanica. “Lavori che insegnano cos’è la fatica, i veri sacrifici, altro che quelli dei calciatori”. Continua a giocare a pallone ed è bravo, tant’è che dall’Ausonia lo preleva il Milan, insieme all’amico Pippo Marchioro. Un giorno lo convocano in sede: Bagnoli, lei è aggregato alla prima squadra. “Ghe disi: podi no, ho il lavoro in fabbrica che s’incastra con gli orari della Primavera, ma la prima squadra è un’altra roba”. Me disen: quanto prende in fabbrica? “Ventottomila al mese”. E loro: facciamo 35mila, ma domani si licenzia.
Chi ha visto giocare Bagnoli lo paragona a Simeone. Lui a Verona si rivedeva un po’ in Bruni. Penso che da calciatore abbia avuto meno di quel che meritasse, ma non se ne è mai lamentato. Come centrocampista al Milan era chiuso da Liedholm e Schiaffino, come ala da Cucchiaroni. Ma è in quel periodo che matura una certezza e la porterà in panchina. “Se avevo l’8 giocavo meglio che se avevo il 7. Non è solo una questione di numeri, è anche una cosa di testa, un sentirsi al posto giusto. Certo che conta lo spogliatoio, ma devono pensarci i giocatori. Il succo del nostro lavoro è trovare per ognuno il posto giusto. Marangon ci ha detto che se ne voleva andare e così abbiamo preso Briegel. Poi Marangon rimane e ci ritroviamo con due terzini sinistri, uno spreco. Un giorno parlo con Briegel, mi dice che giocare a centrocampo è il suo sogno. Ben, ghe disi, allora alla prima di campionato te marchet el Maradona”. Verona-Napoli 3-1, duello vinto da Briegel, che segna pure un gol.
Il ritiro, sempre in Trentino, a Cavalese. Albergo decoroso, lussuoso no di certo. Alla fine del ritiro Bagnoli riuniva la squadra e diceva: i miei 11 sono questi, gli altri giocheranno in caso di incidenti o squalifiche, ma devono farsi trovar pronti. Questa era la sua filosofia: parlare chiaro, e mai dietro le spalle. Brera affettuosamente lo ribattezzò Schopenhauer. Bagnoli s’informò su Schopenhauer e disse: “Non sono pessimista, sono realista. Ci sono volte che puoi indirizzare le cose, altre volte vanno come vogliono loro”. La predilezione di Brera fece passare Bagnoli per italianista, dunque catenacciaro. In realtà, giocava con due marcatori fissi in difesa, a zona mista in mezzo al campo. Per inquadrare l’impresa del Verona, va detto che in campionato c’erano stranieri come Maradona, Platini, Rummenigge, Falcao, Zico, Passarella, Boniek, Brady, Junior, Socrates, Hateley, Cerezo, Diaz, Souness. E gli italiani che avevano vinto il mondiale nell’82 . In quell’anno il Verona con Bagnoli è promosso in A. L’Osvaldo raggiunge un accordo con Ardiles, ma il Tottenham offre di più e l’affare salta. Nei due campionati che precedono lo scudetto il Verona arriva due volte alla finale di Coppa Italia, perdendola, e si piazza quarta e sesta in campionato. Non è una squadretta ma non sembra uno squadrone. Lo diventerà. Un po’ alla volta Bagnoli aveva richiamato suoi ex giocatori (Volpati, Fontolan, Guidetti) e concesso fiducia e spazio a giocatori ritenuti non fondamentali da squadre più grosse: Garella (Lazio), Di Gennaro, Sacchetti e Bruni (Fiorentina), Fanna e Galderisi (Juve), Marangon (Napoli e Roma), Tricella (Inter), Ferroni (Samp). Anche Fontolan era passato per l’Inter, e Volpati per il Torino. Sbagliato definirli scarti, ma incompresi va bene. Agli europei Bagnoli e Mascetti avevano notato un danesone che giocava in Belgio (Lokeren) e un tedescone del Kaiserslautern. Erano le ciliegione sulla torta.
La torta c’era già. Ingredienti: un regista difensivo e uno a centrocampo (Tricella e Di Gennaro), un terzino sinistro di spinta (Marangon), un’ala destra veloce (Fanna), libera di andare anche a sinistra, un centrocampo di cursori dotati tatticamente, una punta potente e una leggera. Il dodicesimo, che poi giocò tutte e 30 le partite, doveva essere Volpati, chiamato l’intellettuale del gruppo perché studiava Medicina. Il magnifico Volpati, lo chiamava Brera, non solo perché era pavese come lui anche se nato per caso a Novara. Mi raccontò che a Cassolnovo, il suo paese, in estate tiravano le sedie fuori dai bar e le mettevano ai bordi della provinciale, i camion passando spandevano fresco. Bagnoli l’aveva trovato alla Solbiatese: “Giocavo di punta, mi ha arretrato a centrocampo”. In carriera ha fatto di tutto tranne che il portiere. Nel Verona, terzino destro o stopper o libero per tappare un buco, altrimenti a centrocampo in sintonia con Di Gennaro e le avanzate di Tricella, che era il primo contropiedista. Era una squadra solita, che in attacco s’apriva come le dita di una mano. C’era uno schema: rinvio di Garella per il petto o la testa di Briegel, deviazione su Di Gennaro e lancio per una delle tre punte. “Bagnoli mi ha insegnato il gioco senza palla”, disse Tricella, che in Nazionale tolse il posto a Baresi.
L’ultima notte del 1984 la passarono tutti insieme, staff tecnico e giocatori con mogli e fidanzate. Lo staff tecnico era composto da Bagnoli e dal suo vice, Toni Lonardi, ex portiere ed allenatore dei portieri. Nessun preparatore atletico. Al momento del brindisi si alzò Fanna, un friulano che parlava pochissimo e in campo era una specie di Robben e disse: “Ragazzi, questo è il nostro anno”. Fu l’unica stagione di sorteggio integrale per gli arbitri. Bagnoli, è un caso? “A me ‘sta storia dà fastidio, sembra che abbiamo vinto perché gli arbitri fischiavano diverso e ci hanno favoriti. Invece fischiavano allo stesso modo”. Segue ancora il calcio? “Vado a vedere il Verona, hanno dato una tessera a me e a mia moglie. In tv faccio fatica a ricordare i nomi dei tanti stranieri. Ma non vedo ‘sto gran spettacolo. Sette-otto passaggi per arrivare a centrocampo e poi palla indietro al portiere, che barba”. È stato esonerato due volte, alla prima e all’ultima panchina, Solbiatese e Inter. “Alla Solbiatese era una questione di dignità, di rispetto dei ruoli. Nell’intervallo il presidente voleva cambiare posizione a Tosetto. All’Inter l’ho vissuta come un’ingiustizia”. Pellegrini ha più volte detto di provare rimorso per quel licenziamento, che definisce il suo più grande errore da presidente. “Lo so, comunque è acqua passata. Ho scoperto com’è bello godersi la famiglia, e già allora i giocatori pretendevano tanto e davano poco”.
Ogni domenica, prima della partita, Bagnoli non faceva lezione, in spogliatoio. Si sedeva in un angolo e leggeva la Gazzetta. Sottinteso: non ho niente da spiegarvi, basta quel che ci siamo detti in settimana, ho fiducia in voi. Così s’è aperta la gabbia, non solo per Fanna. Ed era bello vederli giocare a memoria. Media-spettatori del campionato: 38.871. Disse Volpati il giorno dello scudetto: “Per capire veramente quello che abbiamo fatto ci vorrà del tempo”. Già, e trent’anni sembrano pochi.
Gianni Mura
FONTE: TGGialloBlu.it
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CALCIO
Gli anni 80 e lo scudetto che non ti aspetti: il Verona di Osvaldo Bagnoli
Il 19 Maggio 1985 il Verona di Bagnoli diventava Campione d’Italia, conquistando un incredibile Scudetto che vi raccontiamo.
Published on Maggio 19, 2019 Da Andrea Corti
C’è poco da fare, le storie degli outsider che riescono a ribaltare il pronostico hanno grande appeal tra gli appassionati dello sport e del calcio in particolare, probabilmente anche in considerazione del peso che i soldi hanno sempre più in questa disciplina. Oltremanica, ad esempio, Brian Clough a cavallo tra gli anni 70 e 80 è entrato nella leggenda guidando il suo piccolo Nottingham Forest a vincere prima il campionato e poi due Coppe dei Campioni consecutive. Nel 1992 la favola della Danimarca, nazionale ritrovatasi all’improvviso e inaspettatamente (a causa dell’esclusione della Jugoslavia dopo l’inizio della guerra) a partecipare agli Europei di Svezia, incollò davanti ai televisori i calciofili di ogni dove fino alla finale vinta contro la Germania.
Ma anche in Italia, non troppo tempo fa, una squadra è riuscita a sovvertire i favori del pronostico e la logica dello show-business, entrando nella leggenda: è la stagione 1984/85 e a inizio campionato i tifosi italiani si chiedono chi la spunterà nell’ormai consueto duello tra Roma e Juventus: i giallorossi di Falcao, passati dalle mani di Liedholm a quelle di Eriksson, sono reduci dalla traumatica sconfitta ai rigori nella finale casalinga di Coppa dei Campioni con il Liverpool. Sarà traumatica per altre ragioni, invece, la cavalcata della Juventus di Platini verso la prima ‘Coppa dalle grandi orecchie’ della storia del club piemontese, alzata il 29 maggio nello scenario di uno stadio Heysel di Bruxelles sconvolto per la morte di 39 spettatori a causa dei disordini del prepartita. Pochi giorni prima di quella tragedia che avrebbe cambiato il modo di vivere il calcio in Europa, sul campo dello Stadio Comunale di Bergamo si conclude in trionfo una delle più belle favole regalate dalla Serie A nella sua storia: al fischio finale di Atalanta-Verona, terminata con un pareggio che laurea i veneti Campioni d’Italia, il giornalista Rai Giampiero Galeazzi intervista sul terreno di gioco l’allenatore Osvaldo Bagnoli, che risponde con una compostezza difficile da credere considerato il momento prima di venire trascinato via in trionfo dai suoi ragazzi. E’ la prima volta (e rimarrà anche l’unica) che una squadra di una città non capoluogo di regione conquista il tricolore del calcio: ed averlo fatto negli anni in cui il nostro campionato era di gran lunga il più bello e difficile del mondo, potendo tra le altre cose vantare la presenza in campo di leggende come Platini, Zico e Maradona, rende l’idea dell’impresa compiuta dall’Hellas.
La storia della squadra di Bagnoli inizia nel 1981/82, quando il neo-tecnico scaligero ottiene al primo tentativo la promozione in Serie A: la stagione successiva il Verona stupisce tutti, concludendo il campionato al quarto posto in classifica. Anno dopo anno arrivano al Bentegodi i protagonisti dell’impresa del maggio 1985: se il portierone Garella (noto anche e soprattutto per le sue parate poco ortodosse con i piedi), il libero e capitano Tricella e il talentuoso Di Gennaro hanno svolto tutta la trafila partendo dalla serie cadetta, presto li raggiungono i vari Fanna, Volpati, Briegel ed Elkjaer, che vanno a formare uno dei collettivi più efficaci di quegli anni. La stagione altalenante delle avversarie per il titolo agevola i gialloblu e al termine del campionato una città può festeggiare in un misto di orgoglio e incredulità.
Di lì a poco, per certi aspetti a pochissimo, il calcio sarebbe cambiato irrevocabilmente, rendendo sempre più difficili storie come quella di Bagnoli e i suoi uomini. E palesando il perché, quando a vincere sono i Verona o i Leicester di turno, a gioire sono tutti quelli che non credevano che con il calcio si potesse ancora sognare.
FONTE: IoGiocoPulito.it
Il magico Verona di Osvaldo Bagnoli
La storia e i personaggi che in quattro anni, dalla stagione 1981-82 alla storica stagione 1984-85, hanno segnato un'epoca del calcio-scaligero, il Verona di Osvaldo Bagnoli.
Osvaldo Bagnoli è nato a Milano il 3 luglio del 1935, da giocatore ha vinto uno scudetto con il Milan avendo come compagni di squadra Radice, Maldini e Liedholm, tre altri grandi allenatori di ieri.
L'avventura a Verona inizia nella stagione 81-82 con la vittoria del campionato di B e la conseguente promozione in A. In quel Verona giocano Garella, Oddi, Lelj, Ipsaro, Cavasin, Tricella, Manueli, Di Gennaro, Gibellini, Guidolin e Penzo. Con il suo gioco domina il campionato cadetto riportanto il Verona nel campionato che conta.
Nalla stagione 1982-83, il Verona è la squadra rivelazione del torneo, conquistando contro ogni pronotisco la quarta posizione. In quella stagione la formazione-tipo del Verona era: Garella tra i pali, Oddi, Marangon, Volpati, Spinosi, Tricella, Fanna, Sacchetti, Di Gennaro, Dirceu e Penzo.
Bagnoli diventa una delle figure vincenti del Verona, è corteggiato dalle grandi, ma il tecnico milanese rifiuta le proposte, e preferisce lavorare in un'isola tranquilla come la piazza veronese.
E' una saggia decisone da parte del Mister, che la stagione successiva, 1983-84, con quattro piccoli innesti, si classifica al sesto posto, peggio dell'anno prima ma sicuramente la squadra inizia a prendere sempre più le caratteristiche vincenti della filosofia di gioco del tecnico, amalgamandosi e formando un gruppo che l'anno seguente dominerà il campionato.
Nella stagione 1983-84, il Verona si schiera in campo con: Garella, Ferroni, Marangon, Volpati, Fontolan, Tricella, Fanna, Sacchetti, Galderisi, Di Gennaro e Iorio.
Arriva l'anno magico, la stagione 1984-85 osserviamo la squadra del memorabile scudetto.
Garella: portiere eccezionale tra i pali e nelle uscite con le mani e con i piedi.
Ferroni: marcatore ossessivo non perde mai l'uomo.
Marangon: grande propulsore sulla sinistra, eccellente tecnica e precisione di appoggio.
Briegel: possente diga di centrocampo, il tedesco è abile, concreto nell'inserimento offensivo e sui calci piazzati.
Fontolan: è il secondo marcatore-fisso di Bagnoli, asfissiante la sua marcatura.
Tricella: libero di grande talento tecnico-tattico, partecipa attivamente alla costruzione del gioco.
Fanna: una spina nel fianco per le squadre avversarie, pratico e veloce sulla fascia.
Volpati: chiude gli sganciamenti dei compagni e sorprende in avanti con furbizia.
Galderisi: la sue principali caratteristiche sono la velocità di battuta e gli scatti brevi.
Di Gennaro: giocatore con un grande senso tattico, battuta lunga e buon tiro da fuori.
Elkjaer: attaccante molto possente fisicamente, il danese oltre a rivelarsi un buon realizzatore è determinante nel lavoro di squadra.
Con questi undici campioni, Bagnoli porta il Verona nel calcio d'èlite, conquistando il primo tricolore della storia della società scaligera.
La rosa del magico Verona
Portieri: Garella, Spuri
Difensori: Fontolan, Ferroni, F. Marangon, L. Marangon, Tricella.
Centrocampisti: Briegel, Bruni, Di Gennaro, Donà, Volpati.
Attaccanti: Elkjaer, Galderisi, Fanna, Turchetta.
Come il Verona ha conquistato lo scudetto
Il triangolo di ferro formato da Tricella, di Gennaro e Volpati, senza un vero regista. Fanna ispiratore della fascia destra. La forza di Briegel e il tandem Galderisi-Elkjar. La marcatura ossessiva di Ferroni. Le avanzate di Marangon.
L'eccezionale capacità collettiva di liberarsi sempre della palla di primo istinto e di passare velocemente dall'azione difensiva a quella d'attacco.
Lo schieramento in campo del Verona di Bagnoli
La potente diga di centrocampo formata da Briegel e Volpati ha il doppio compito di fermare gli attacchi avversari e di impostare il gioco offensivo dei gialloblù.
L'azione di Fanna sulla fascia destra con Di Gennaro in posizione più centrale.
Le punte mobili Galderisi ed Elkjaer scambiano continuamente le loro posizioni creando scompiglio nelle difese rivali.
FONTE: Calcio-Giocato.com
Nel 1985 lo scudetto del Verona di Bagnoli
Gennaio 14, 2019
Era il 12 maggio1985 quando l’Hellas Verona di Osvaldo Bagnoli ottenne contro l’Atalanta quel punto che mancava per la certezza matematica del primo (e unico) scudetto della sua storia.
Furono in totale 15 vittorie, 13 pareggi e 2 sconfitte, con imprese indimenticabili come il gol senza scarpa messo a segno dal danese Preben Elkjaer alla Juventus, a consegnare ai gialloblù quello scudetto, anno 1985, che resta l’unico sino ad ora nella storia dell’Hellas. Un evento di cui l’allora tecnico Osvaldo Bagnoli, distribuisce il merito: “Per lo scudetto vinto dal Verona bisogna ringraziare lo spogliatoio. Erano dei ragazzi che andavano d’accordo fra di loro. Il migliore ricordo di quell’anno è proprio lo spogliatoio. Avevamo cambiato solo i due stranieri che si trovarono subito benissimo con il resto del gruppo. Il mio preferito? Non si può dire. Era un gruppo che andava d’accordo e non c’erano preferiti”.
Il campionato più bello del mondo
Per spiegare a un 16enne di oggi che cos’era la serie A degli anni’80, bisognerebbe prendere le “rose” di Real Madrid, Barcellona e Bayern Monaco, fare 20 coppie tra i giocatori più forti e distribuirle totalmente a caso. Cristiano Ronaldo e Xabi Alonso all’Udinese? Messi e Sergio Ramos all’Atalanta? Il Cesena con Alaba e Pedro e ciò nonostante retrocesso in serie B? Guardate che non stiamo esagerando, perchè alla metà degli anni’80 la serie A era davvero tutto questo, e non per altro veniva definito, senza tema di smentite, il campionato più bello del mondo. Il Verona ebbe il merito, e in parte la fortuna, di trovarsi nel mezzo della perfetta congiunzione astrale che proiettò la provincia in paradiso.
Furono tanti i fattori che resero magica e irripetibile quella stagione. La Juventus, che era pur sempre la Nazionale campione del mondo di tre anni prima con in più Platini e Boniek, si era concentrata quasi esclusivamente sulla Coppa dei Campioni, che di lì a poco arriverà nella tragica notte dell’Heysel; il Milan era ancora un “povero diavolo”, tutto cuore e zero ambizioni, mentre all’Inter di Kalle Rummenigge (doppio Pallone d’oro, per chi lo avesse dimenticato) mancava sempre la lira per fare il milione e diventare grande.
Una situazione che dava legittime speranze alle squadre da sempre fuori dai giri scudetto. L’Udinese l’anno prima aveva ingaggiato Zico, il Napoli aveva appena messo sotto contratto Maradona, la Fiorentina sognava con Socrates, la Sampdoria aveva preso Souness, il capitano del Liverpool campione d’Europa l’anno prima: ma sia friulani che partenopei avevano costruito le squadre partendo dal tetto e non dalle fondamenta. Il Verona fu invece costruito dalla base, con intelligenza e mattone dopo mattone, passò in tre anni dalla promozione in serie A allo scudetto.
Il miracolo scaligero
Un caso che risulterebbe davvero insolito oggi, quello dello scudetto del Verona. Una squadra composta quasi esclusivamente di italiani, gli unici due stranieri erano il tedesco Briegel e il danese Elkjaer. Un campionato combattuto che si risolse il 12 maggio con quel punto garanzia, ottenuto grazie ad un 1-1 fuori casa contro l’Atalanta. Un feeling speciale nello spogliatoio, una grande intesa con il regista di quel successo, Bagnoli, che l’ex centrocampista Domenico Volpati spiega così: “La modestia di Bagnoli è incredibile, in lui è insita la saggezza delle persone semplici. È molto pragmatico e in quello spogliatoio non doveva parlare tanto. Sapevamo già tutto, bastava guardarsi negli occhi”.
Ma c’era anche l’intelligenza del direttore sportivo Emiliano Mascetti, che seppe pescare giocatori di grande qualità ma scartati dalle grandi: Fanna e Galderisi dalla Juventus, Di Gennaro dalla Fiorentina, Garella dalla Lazio, lo stesso Volpati dal Torino. In terza analisi, la lungimiranza di costruire la squadra sugli italiani per poi mettere gli stranieri al posto giusto: un terzino di gran dinamismo come Hans-Peter Briegel e uno dei più forti attaccanti della sua epoca, Preben Larsen-Elkjaer, al quale è legata l’immagine più iconica di quella stagione, il goal senza una scarpa alla Juventus.
Dovendo scegliere un’immagine scegliamo la partita del 10 febbraio, quando i gialloblù vinsero 5-3 a Udine, perchè dà come nessun’altra l’idea di cosa fosse quell’anno la serie A. Due complete outsider ad affrontarsi nella partita di cartello, da una parte uno dei giocatori più forti del mondo e dall’altra un gruppo con un grande sogno in testa, in grado di produrre una partita rocambolesca e piena di goal come raramente succedeva a quei tempi in Italia, dove bastava una vittoria superiore al 2-0 per far parlare di “goleada”. Un campionato, e un Paese, dove tutto sembrava davvero possibile.
A rivedere ora le immagini di quel 12 maggio di 34 anni fa, e dell’apoteosi a Bergamo dopo lo scudetto matematico, colpisce la semplicità di quella festa: nessuna esultanza isterica, nessuna mossa costruita in favore di uno sponsor, di un post social o semplicemente del proprio ego. Solamente l’orgoglio di aver costruito qualcosa di unico e irripetibile.
Mario Bocchio
FONTE: IlNobileCalcio.it
Verona 1985: Vivere una favola
PROLOGO
Che cosa ci fanno Platini e Maradona, Junior e Rumenigge, Falçao e Zico a bocca asciutta e con il naso all’insù a guardare come una provinciale gli soffia lo scudetto? Nel campionato più bello e ricco del mondo si impongono i muscoli pronunciati dei ragazzi di Verona, sorprendendo i critici che di calcio sanno morte e miracoli, che nei paginoni estivi pronosticano sempre Juve, Inter, Roma. Invece, come nei romanzi alla Agatha Christie, l’assassino è quello che non sospetti.
Il successo della banda Bagnoli parte da lontano, dalla promozione in Serie A di qualche anno prima, dalla conferma di squadra forte e divertente già al primo impatto con i big del campionato, dalla continuità con il lavoro svolto, impreziosito dall’entusiasmo del nuovo gruppo che portò a cambiare gradualmente una formazione che, pur dando spettacolo e ottenendo discreti risultati, rimaneva spesso vittima della propria inesperienza e di qualche inevitabile ingenuità. Ma la fretta, intesa come paranoia sportiva, è un concetto che non si addice a una città tranquilla e riflessiva come Verona.
Proprio come quei silenzi del nasone imbronciato, Osvaldo Bagnoli, tecnico contrario a ogni esasperazione, a prima vista distante anni luce dal mondo del pallone. Ma anche gli anni della provincia, delle squadre forti loro malgrado, del Verona dei miracoli. Umile, lavoratore, che non corre dietro ai tanti idoli o divi di cui si nutrono le grandi piazze della Penisola. Rosa corta, titolari eclettici, duttilità tattica, logica o parsimonia societaria che dir si voglia. Come punto di partenza non è male per chi fa del-l’arte di sapersi arrangiare un equilibrato modo di vita.
Celestino Guidotti, presidente dalle capacità finanziarie asincrone rispetto ai colleghi che puntano in alto, diede, con l’aiuto del Ds Mascetti, i ritocchi giusti a una squadra già ben costruita negli anni. Nessuna spesa folle, rigore sulle esigenze del disegno tattico di Bagnoli e tanti stimoli da distribuire tra giocatori con la giusta voglia di riscatto e di affermazione.
L’ALCHIMISTA OSVALDO
Gli arrivi di Briegel ed Elkjaer e delle giovani promesse Marangon, Donà e Turchetta furono tesi a dare esperienza, dinamicità e solidità tecnico-atletica. Completamento più che rivoluzione. Elkjaer, bomber potente, arrivò a sostituire il folletto Iorio, passato alla Roma, diventando il completamento dell’altro attaccante Nanu Galderisi, piccoletto imprevedibile negli ultimi sedici metri. Il bisonte danese, accreditato dalle buone stagioni in Belgio e dai gol segnati con la sua Nazionale, divenne ben presto l’idolo di Verona. Fu strappato alla concorrenza di società come Real Madrid e Milan grazie ai blitz dell’amministratore Rangogni, quando per il centravanti vicecannoniere agli Europei, senza l’acume manageriale e il tempismo, si sarebbe scatenata una vera e propria asta al rialzo. Bizzarro, a volte incostante, ma travolgente come la sua falcata e i suoi tiri che ricordavano le gesta di Gigi Riva. Anche la sua fama di provocatore un po’ sbruffone fuori dal campo, con i suoi «Passerò alla storia», lo rese un protagonista particolare delle pagine dei giornali; ma in campo, dove si trasformava, era l’esempio della grinta e dello spirito di squadra. Il suo portamento alquanto sgraziato, da lavoratore stanco a fine giornata, saranno sempre l’immagine di quel meraviglioso Verona.
«Piedi grossi e cervello fino» si diceva per gli uomini pratici e onesti, e nessuna definizione rende più giustizia al tenebroso Bagnoli. Allenatore per caso, uomo semplice ma dalle idee chiare, ex giocatore a tutto campo, ostile alle parole fortuna e sfortuna, sincero come un bicchiere di Pinot. L’unica circostanza fortunata, ammise lui stesso, fu la scelta di diventare allenatore. Un uomo normalissimo, dunque. Anche nelle scelte di campo. Molti lo chiamavano «Lo svizzero» per la meticolosità e la precisione con cui studiava ogni dettaglio tattico, per come preparava la partita. E anche il suo atteggiamento sulla panchina, pronto a sfuriare e a colpire ogni oggetto alla sua vista, lo rendeva semplicemente se stesso, gustoso come il Sangiovese e la piadina che i suoi gusti culinari avevano avuto in eredità dall’esperienza cesenate.
Si è costruito tecnicamente in realtà adatte alla sua personalità come Como, Fano, Rimini e Cesena, appunto, ma il suo grande amore professionale il Settore giovanile, la Primavera del Como, dove l’ambiente ricorda i sacrifici per diventare qualcuno, quando a fine allenamento bisogna fare la coda per lavare le scarpe nei lavandini. È arrivato a Verona dopo la promozione in A col Cesena, anche sulle sponde dell’Adige il diritto alla massima serie. Poi il campionato ’83-84 con il meritato ingresso in Coppa Uefa. affidava alla miscela di esperienza dei due stranieri, di Volpati, Marangon, Tricella alla voglia di affermarsi di Di Gennaro, Bruni, Galderisi. alle tante motivazioni di questi giocatori si aggiungono la “rabbia” di Pierino Fanna, Fontolan del portierone Garella, i risultati, a un’attenta analisi, non sono un caso.
OGNI TESSERA AL SUO POSTO
Lo scacchiere tattico e il modulo di gioco si inseriscono perfettamente nel calcio “all’italiana “, sulla scia della disposizione in campo della Juventus o della Nazionale: un libero portato a costruire il gioco, marcatori arcigni e attaccati ai garetti, terzino fluidificante, un centrocampo abile nella rottura e nella manovra, un tornante di raccordo tra i reparti e due punte dalle caratteristiche tecnico-atletiche dissimili. Impostata così, la formazione scaligera aveva una grande forza d’impatto nel ribaltamento dell’azione, soprattutto con le fughe in contropiede di Fanna e Briegel e gli sganciamenti improvvisi di Tricella. Ma in occasione di partite contro avversarie più deboli, soprattutto al “Bentegodi”, il Verona era in grado di schiacciare gli avversari nella loro metà campo evidenziando le capacità tecniche dei singoli.
Decisivo, per gli schemi della squadra, fu l’inserimento del tedescone Briegel, esuberante jolly dal passo di locomotiva, poderoso negli stacchi aerei e soprattutto instancabile faticatore. Continuo nel rendimento, sapeva adattarsi alla rudezza dei ruoli richiesti dalla difesa e alle giocate da attaccante aggiunto. Sinistro preciso, nonostante una tecnica individuale non proprio sopraffina, senso innato della posizione e propensione al gol lo facevano un giocatore completo e invidiato a Bagnoli da tutti i tecnici.
“Turbo” Fanna doveva riscattare la sua esperienza luci e ombre a Torino, determinata probabilmente dalla frenesia con cui voleva imporsi a tutti i costi. A Verona, in una città calda ma discreta, poteva ripartire da zero e ritrovare l’entusiasmo, tornando a svariare sulle fasce facendo ammattire i terzini di tutto il campionato. Il gruppo storico (Volpati, Tricella e Di Gennaro), garantiva solidità ed equilibrio nello spogliatoio. L’erede azzurro di Scirea, il capitano Tricella, era il punto di riferimento della squadra e dell’allenatore. Elegante, la faccia pulita da studente, mingherlino e timido, non dava apparentemente l’impressione di poter essere un lottatore. Fu uno scarto dell’Inter, ma già dalla prima stagione in gialloblu dimostrò di saperci fare: quel suo fisico da ragazzino in via di sviluppo era solo uno scherzo ai più scettici.
Un allenatore ha sempre un uomo in campo su cui fare affidamento, un giocatore che “legge” le partite meglio e prima degli altri, che durante la settimana tiene unito il gruppo. Domenico Volpati era tutto questo. E non a caso, l’asse difesa-centrocampo era affidato al duo Tricella-Volpati, giusta dose di valori tecnici e tempera-mentali, guida della squadra nei momenti di difficoltà. Alternava, a seconda delle esigenze (l’infortunio a Sacchetti), il ruolo di centrocampista di interdizione a quello di difensore puro, garantendo comunque un altissimo rendimento.
Le critiche iniziali a Bagnoli, per l’insistenza con cui utilizzava il trentaquattrenne, suo dichiarato “pallino”, si dimostrarono senza alcun fondamento. Le traiettorie impossibili e i colpi di genio sono da sempre prerogative dei grandi numeri 10. A Verona, la fantasia e l’essenza del pallone sono tutt’uno col nome di Antonio Di Gennaro, regista dal calcio sopraffino e dalla bordata imprevedibile. Il miglior centrocampista di quel campionato, nazionale inamovibile, assicurava l’imprevedibilità e le geometrie necessarie per mandare in gol il folletto Galderisi e l’ariete Elkjaer. Toscano irriverente e istrione, autore di scherzi da spogliatoio, ma pronto a tornare coi piedi per terra con i suoi occhi profondi e lo sguardo intenso di chi fa vedere che ha già capito tutto.
VIVERE UNA FAVOLA
Fra i giocatori gialloblu c’era un furetto che il tricolore se l’era cucito sulla maglia già due volte a Torino con la Juventus. Giuseppe Galderisi, un metro e settanta di grinta e tecnica che gli permisero di “timbrare” il cartellino del gol undici volte: in acrobazia, di destro, di sinistro, su rigore e, udite udite, con bellissimi gol di testa. Rapido, di grande coraggio agonistico, Nanù si impose grazie all’umiltà che già ai tempi della Juve lo aveva reso protagonista in un gruppo di mostri sacri, combattendo e sgusciando tra difensori spesso rudi e sproporzionatamente grandi ai suoi occhi.
Ma per una volta, anche Galderisi si sentiva protetto in campo, perché un bisonte, con cui poter dividere gol e botte, questa volta era il suo compagno di reparto. Ragazzo simpaticissimo, appassionato di musica leggera, incise anche alcune canzoni ispirandosi a Renato Zero. In particolare, la canzone “Sto correndo” (uscita dopo la sconfitta con il Torino) gli fu sicuramente di buon auspicio, e chissà se in quella melodia la fine della corsa non fosse proprio il traguardo tricolore.
IL CAMPIONATO: SCACCO AL RE
L’avventura ebbe inizio il 16 settembre dell’84, con il 3-1 inflitto al Napoli di re Diego. «Siamo partiti col piede giusto» sentenziò il modesto Bagnoli. Ma forse l’idea di allenare una grande squadra lo investì da subito. Da allora, la bandiera del Verona sarà sempre sul punto più alto del campionato, garrendo per tutti i trenta turni.
Si alterneranno come antagoniste tutte le grandi e qualche outsider: dall’Inter al Torino, dalla Sampdoria alla presenza sempre inquietante della Juventus. Dopo Maradona, un’altra partita di cartello a Verona sarà con i campioni d’Italia di Platini: Galderisi-Elkjaer e la Vecchia Signora esce dal “Bentegodi” lasciando un ipotetico passaggio di testimone.
Ma è ancora molto presto per immaginare il futuro. La trasferta a Torino, sponda granata, rivela la forza dei gialloblù, che pur presentando una formazione rimaneggiata sbancano il “Comunale” con Briegel e Marangon dopo il momentaneo pareggio di Dossena, rivale di Di Gennaro per il ruolo di regista in maglia azzurra. La prima sconfitta arriva l’ultima di andata, a casa di una pericolante, l’Avellino, che aiutata da un campo al limite della praticabilità e dalle assenze di Galderisi ed Elkjaer si impone su uno spento Verona.
Si chiude il girone d’andata col Verona primo, grazie ai soli sei gol subiti, ma l’Inter è pronta, a due sole lunghezze, per l’aggancio. Ogni annata storica ha la sua partita epocale, soprattutto se è una sfida molto sentita come Udinese-Verona. Sopra di tre gol, i ragazzi di Bagnoli si fanno raggiungere da Zico e compagni e il campionato sembra poter sfuggire come il pallone dalle mani di Garella, che non ne prende una. Ma qui viene fuori l’esperienza e la maturità del gruppo, la voglia di andare contro il destino e gli errori, e la coppia straniera venuta dal Nord porta il punteggio sul 3-5. L’Inter pareggia ad Avellino e il Verona torna solo in vetta alla classifica. Siamo alla diciottesima, alla prossima il “Bentegodi” ospita la partitissima con i nerazzurri.
La mattina del 17 febbraio, sei giocatori del Verona hanno la febbre. Tutto volge al peggio. In quelle condizioni, Bagnoli chiude la saracinesca alla porta di Garella impostando una partita di contenimento. «È la fine» pensano in molti, quando al 39′ Altobelli porta in vantaggio la formazione nerazzurra. Tutti negli spogliatoi alla fine del primo tempo a recuperare forze e a bere litri di the caldo. E proprio uno degli influenzati, l’indistruttibile Briegel, diventa imprendibile per i nerazzurri e in tuffo di testa pareggia. Udine e la Supersfida con l’Inter avevano dato qualche segnale di cedimento, ma la prova di maturità dei ragazzi di Verona giunge a Torino contro la sempre temibile Juventus, dove un grandissimo gol di Di Gennaro pareggia la rete di Briaschi. Bagnoli è in silenzio stampa, ma c’è già chi giura che alla fine sarà lui a poter dire l’ultima.
Il Verona è sempre primo e gioca veramente molto bene. E anche quando si gioca male e si vince, qualcosa entra nella testa delle avversarie, e chissà che cosa hanno pensato le inseguitrici vedendo la risicata vittoria casalinga del Verona contro la rimaneggiata Roma. Un Fanna incontenibile, che fa la differenza, e un Elkjaer opportunista, chiudono la sofferta partita. A Firenze, il Verona torna ai suoi standard di rendimento e di gioco, con uno strepitoso Galderisi che ne fa due e regala il 3-1 ai suoi. Anche Bagnoli torna a parlare. Se non è un segno questo…
Inatteso e preoccupante arriva il secondo scivolone stagionale, in casa contro il Torino di Serena e Schachner. Ora le inseguitrici sono a meno quattro e domenica San Siro rossonera aspetta i gialloblù. È uno 0-0 all’antica, con la squadra chiusa e pronta alla rimessa, degna di una provinciale assatanata in cerca di punti salvezza. Non essere la Juventus o l’Inter è quel vantaggio più o meno consapevole che ti dà la possibilità di poter cambiar pelle a seconda delle partite e delle esigenze senza che nessuno gridi allo scandalo. Il gioco brioso si è perso un po’ per strada, ma la squadra tiene botta con la vittoria sulla Lazio e il pareggio casalingo con il Como. A Bergamo il sogno si fa realtà con una giornata di anticipo, e già plana sugli stadi delle grandi d’Europa a chiedere l’ospitalità accreditata di solito alle formazioni di metropoli ancora a chiedersi «Ma come hanno fatto?».
MOMENTI DI CURVA
Tutti i protagonisti di quel Verona hanno avuto il giusto riconoscimento esaltando le fantasie dei tifosi, che non hanno lasciato cadere la possibilità di sbizzarirsi con i soprannomi e gli appellativi; così Galderisi diventò “puffo al tritolo”, Elkjaer “il cenerentolo” per via del gol segnato (perdendo la scarpa) alla Juventus, Fontolan “la quercia”, Garella “Garellik” e Ferroni “il gladiatore”. Con una squadra dalla tale presentazione, le avversarie non potevano che rimanere imbarazzate coi loro nomi troppo scontati per essere all’altezza e per far sognare. Anche il pubblico ha dato il suo contributo con le coreografie colorate e le feste, le trasferte di massa e i bandieroni presenti in tutti gli stadi. Ovunque (un club di tifosi a Beirut!) il gialloblù ha fatto proseliti, portando in giro per l’Italia la “matana”, la cosiddetta follia veronese, coraggiosa nella sua saggezza, con quel sospetto di indifferenza e di fine teatralità che ne ha fatto un’originale esordiente del successo.
UN RAPIDO DECLINO
Ma le vicissitudini del calcio scaligero, smaltita la sbornia scudetto, saranno contraddistinte più da ombre che da luci; soprattutto non si raggiungeranno più traguardi tanto ambiziosi come nell’85. Iquattro campionati successivi sono vissuti in un anonimo centro della classifica; sotto la presidenza Chiampan (subentrato nel frattempo a Guidoni), le scelte societarie si rivelano sbagliate: ingaggi favolosi e spese folli. Come si dice, il Verona fa il passo più lungo della gamba, mangiandosi i ricavi dello scudetto e della Coppa dei Campioni. Gli Anni 90 sono un calvario terribile, per i gialloblù. Arriva la retrocessione in Serie B, la società è allo sbando, le rivoluzioni tecniche creano destabilizzanti perdite di identità, Verona è la brutta copia di se stessa. Ma la battaglia più dura è tra avvocati, giudici e documenti, quando il Tribunale di Verona decreta il fallimento della società e nel 1992 Chiampan è raggiunto da un ordine di custodia cautelare. E’ la fine dell’epopea scudetto, ma il sogno del calcio a Verona resterà sempre vivo sino ai giorni nostri.
TUTTI I GOL DELLO SCUDETTO
LE TRENTA GIORNATE DI VERONA
GIRONE DI ANDATA | GIRONE DI RITORNO | |||
1. giornata – 16 settembre 1984 Verona-Napoli 3-1 Reti: Briegel 26′, Galderisi 33′, Bertoni 58′, Di Gennaro 75′. Verona: Garella, Volpati, L Marangon, Tricella, Ferroni, Briegel, Fanna, Bruni (dall’89’ Donà), Galderisi (dall’83’ Turchetta), Di Gennaro, Elkjaer. Napoli: Castellini, Bruscolotti, Boldini (dal 72′ Caffarelli), Celestini, Ferrario, De Vecchi, Bertoni, Bagni, Penzo, Maradona, Dal Fiume. Arbitro: Mattei. | 16. giornata – 20 gennaio 1985 Napoli- Verona 0-0 Napoli: Castellini, Bruscolotti, De Simone, Celestini, Ferrarlo, R. Marino, Bertoni, De Vecchi, Caffarelli, Maradona, Dal Fiume. Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Bruni, Galderisi (dall’82’ Donà), Di Gennaro (dal 64′ Elkjaer), Sacchetti. Arbitro: Pairetto. | |||
2. giornata – 23 settembre 1984 Ascoli-Verona 1-3 Reti: 53′ Di Gennaro, 60′ Briegel, 70′ Elkjaer, 75′ Hernandez. Ascoli: Corti, Pochesci (dal 79′ Citterio), Sabadini, Schiavi, Perrone, Bogoni, Novellino, Marchetti, Cantarutti (dal 46′ Vincenzi), Hernandez, Nicolini. Verona: Garella, Ferroni, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna (dall’86’ Turchetta), Volpati, Galderisi (dal 76′ Bruni), Di Gennaro, Elkjaer. Arbitro: Magni. | 17. giornata – 27 gennaio 1985 Verona-Ascoli 2-0 Reti: Galderisi 29′, Sacchetti 33′. Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel (dal 79′ Ferroni, dall’83’ Donà), Fanna, Bruni, Galderisi, Di Gennaro, Sacchetti. Ascoli: Corti, Schiavi, Dell’Oglio, Perrone, Menichini, Nicolini (dal 46′ Hernandez), lachini, Marchetti, Cantarutti, Dirceu, Agostini. Arbitro: D’Elia. | |||
3. giornata – 30 settembre 1984 Verona-Udinese 1-0 Reti: Galderisi 33′ rig. Verona: Garella, Ferroni, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Farina (dal 72′ Turchetta), Bruni, Galderisi (dall’86’ Volpati), Di Gennaro, Elkjaer. Udinese: Brini, Galparoli, Cattaneo, Rossi, Edinho, De Agostini, Mauro, Gerolin (dal 74′ Miano), Selvaggi (dal 74′ Montesano), Criscimanni, Carnevale. Arbitro: Agnolin. | 18. giornata – 10 febbraio 1985 Udinese-Verona 3-5 Reti: Briegel 3′, Galderisi 10′, Elkjaer 20′, Edinho 45′, Carnevale 53′, Mauro 59′, Elkjaer 61′, Briegel 63′. Udinese: Brini, Galparoli, Cattaneo, Gerolin, Edinho, De Agostini, Mauro, Criscimanni (dal 69′ Miano), Selvaggi, Zico, Carnevale. Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna (dal 41′ Bruni), Sacchetti, Galderisi (dall’89’ Turchetta), Di Gennaro, Elkjaer. Arbitro: Casarin. | |||
4. giornata – 7 ottobre 1984 Inter-Verona 0-0 Inter: Zenga, Bergomi, Baresi, Mandorlini, Collovati, Ferri, Causio, Sabato (dal 79′ Marini), Altobelli (dal 79′ Muraro), Brady, Rummenigge. Verona: Garella, Ferroni, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna (dall’86’ Bruni), Volpati, Galderisi (dal 90′ Turchetta), Di Gennaro, Elkjaer. Arbitro: Longhi. | 19. giornata – 17 febbraio 1985 Verona-Inter 1-1 Reti: Altobelli 39′, Briegel 48′. Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna (dall’89’ Turchetta), Donà, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Inter: Zenga, Bergomi, Mandorlini, Baresi, Collovati, Ferri, Sabato, Marini, Altobelli, Brady, Rummenigge. Arbitro: Agnolin. | |||
5. giornata – 14 ottobre 1984 Verona-Juventus 2-0 Reti: Galderisi 62′, Elkjaer 81′. Verona: Garella, Ferroni, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna (dall’87’ Bruni), Volpati, Galderisi (dall’89’ Donà), Di Gennaro, Elkjaer. Juventus: Tacconi, Favero, Cabrini, Caricola (dal 65′ Vignola), Pioli, Scirea, Briaschi, Tardelli, Rossi (dal 46′ Platini), Bonini, Boniek. Arbitro: Bergamo. | 20. giornata – 24 febbraio 1985 Juventus-Verona 1-1 Reti: Briaschi 74′, Di Gennaro 76′. Juventus: Bodini, Favero, Cabrini, Bonini (dal 68′ Pioli), Brio, Scirea, Briaschi, Tardelli, Rossi, Platini, Boniek (dal 68′ Vignola). Verona: Garella, Volpati, L Marangon, Tricella, Fontolan, F. Marangon (dal 77′ Donà), Fanna (dall’89’ Turchetta), Bruni, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Arbitro: Bergamo. | |||
6. giornata – 21 ottobre 1984 Roma-Verona 0-0 Roma: Tancredi, Oddi, Bonetti, Righetti, Falcio, Maldera, Di Carlo, Cerezo, Pruzzo, Buriani (dal 76′ Chierico), Iorio. Verona: Garella, Ferroni, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Volpati, Galderisi (dall’82’ Turchetta), Di Gennaro (dall’83’ Bruni), Elkjaer. Arbitro: Mattei. | 21. giornata – 3 marzo 1985 Verona-Roma 1-0 Rete: Elkjaer 75′. Verona: Garella, Volpati, L Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Bruni (dall’86’ Ferroni), Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Roma: Tancredi, Oddi, Bonetti, Ancelotti (dall’84’ Antonelli), Righetti, Maldera, Conti, Cerezo, Iorio, Giannini (dal 46′ Chierico), Buriani. Arbitro: Casarin. | |||
7. giornata – 28 ottobre 1984 Verona-Fiorentina 2-1 Reti: aut. Moz 25′, Galderisi 40′, Pecci 58′. Verona: Garella, Ferroni, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Volpati, Galderisi, Di Gennaro (dal 71’Bruni), Elkjaer. Fiorentina: Galli, Gentile, Contratto, Carobbi, Moz, Passarella (dal 46′ Pellegrini), Massaro, Socrates, Monelli (dal 68′ Pulici), Pecci, Occhipinti. Arbitro: Culli. | 22. giornata – 17 marzo 1985 Fiorentina-Verona 1-3 Reti: 11′ Monelli, Fontolan 57′, Galderisi 70′ rig. e 83′. Fiorentina: Galli, Gentile, Contratto, Oriali (dal 46′ Occhipinti), Pin, Passarella, Pellegrini (dall’80’ Pulici), Socrates, Monelli, Pecci, Iachini. Verona: Garella, Ferroni, Volpati, Tricella, Fontolan, Briegel, Turchetta, Sacchetti, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Arbitro: Lo Bello. | |||
8. giornata – 11 novembre 1984 Cremonese-Verona 0-2 Reti: Galderisi 74′ rig., Briegel 84′. Cremonese: Borin, Montorfano, Galvani, Pancheri, Paolinelli, Galbagini, Vigano, Mazzoni (dal 75 Juary), Nicoletti, Bencina, Chiorri. Verona: Garella, Ferroni, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, (dall’85’ Donà), Volpati, Galderisi (dal 90′ Bruni), Di Gennaro, Elkjaer. Arbitro: Redini. | 23. giornata – 24 marzo 1985 Verona-Cremonese 3-0 Reti: Di Gennaro 49′, Elkjaer 61′, Briegel 90′. Verona: Garella, Volpati (dal 71′ Ferroni), L Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Bruni (dal 46′ Sacchetti), Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Cremonese: Borin, Montorfano, Galbagini, Zmuda, Paolinelli, Pancheri, Vigano, Mazzoni (dal 70′ Recaldini), Nicoletti (dal 71′ Meluso), Bonomi, Finardi. Arbitro: Paparesta. | |||
9. giornata – 18 novembre 1984 Verona-Sampdoria 0-0 Verona: Garella, Ferroni, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Farina, Volpati, Galderisi, Bruni, Elkjaer (dal 70′ Turchetta). Sampdoria: Bordon, Mannini, Pellegrini, Pari, Vierchowod, Renica, Scanziani, Souness, Francis, Salsano (dall’87’ Galia), Vialli. Arbitro: D’Elia. | 24. giornata – 31 marzo 1985 Sampdoria-Verona 1-1 Reti: Galderisi 6′, Renica 11′. Sampdoria: Bordon, Renica, Galia, Pari (dall’81’ Casagrande), Vierchowod, Pellegrini, Scanziani, Souness, Mancini (dal 59′ Francis), Salsano, Vialli. Verona: Garella, Ferroni, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna (dall’89 Bruni), Volpati, Galderisi (dal 78′ Sacchetti), Di Gennaro, Elkjaer. Arbitro: Casarin. | |||
10. giornata – 25 novembre 1984 Torino-Verona 1-2 Reti: Briegel 20′, Dossena 24′, L. Marangon 60′. Torino: Martina, Danova, Francini, Galbiati, Junior, Ferri (dal 22′ Beruatto), Zaccarelli, Sclosa, Schachner, Dossena, Serena. Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Bruni (dall’89 Donà), Galderisi, Di Gennaro, Turchetta (dal 61′ Sacchetti). Arbitro: Bergamo. | 25. giornata – 14 Aprile 1985 Verona-Torino 1-2 Reti: Serena 53′, Schachner 65′, Briegel 77′. Verona: Garella, Ferroni, L Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel (dall’86’ Bruni), Fanna, Volpati, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Torino: Martina, Danova (dal 64′ Corradini), Francini, Zaccarelli, Junior, Ferri, Pileggi, Beruatto, Schachner (dall’89’ Comi), Dossena, Serena. Arbitro: Lombardo. | |||
11. giornata – 2 dicembre 1984 Verona-Milan 0-0 Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Bruni, Galderisi, Di Gennaro, Sacchetti. Milan: Terraneo, Baresi, Galli, Battistini, Di Bartolomei, Tassotti, Icardi, Wilkins, Virdis, Evani, Scarnecchia. Arbitro: Mattei. | 26. giornata – 21 aprile 1985 Milan-Verona 0-0 Milan: Terraneo, Baresi, Galli, Tassotti, Di Bartolomei, Icardi (dal 70′ Evani), Scarnecchia, Wilkins, Hateley, Battistini, Virdis. Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Ferroni, Donà, Fanna (dall’82’ F. Marangon), Bruni (dall’89’ Turchetta), Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Arbitro: Longhi. | |||
12. giornata – 16 dicembre 1984 Lazio-Verona 0-1 Rete: aut. Podavini 60′. Lazio: Orsi, Vianello, Podavini, Calisti, Batista, Filisetti (dall’83’ Garlini), D’Amico, Torrisi, Giordano, Laudrup, Storgato (dal 56′ Dell’Anno). Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Fontolan (dall’87’ F. Marangon), Sacchetti, Fanna, Bruni, Galderisi, Di Gennaro, Turchetta. Arbitro: Pieri. | 27. giornata – 28 aprile 1985 Verona-Lazio 1-0 Reti: Fanna 78′. Verona: Garella, Ferroni (dal 70′ Bruni), L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Volpati, Galderisi (dall’89’ Turchetta), Di Gennaro, Elkjaer. Lazio: Orsi, Filisetti, Podavini, Spinozzi, Storgato, Manfredonia, Fonte, Torrisi, Giordano, Laudrup (dal 52′ Marini), Garlini (dall’88’ Toti). Arbitro: Casarin. | |||
13. giornata – 23 dicembre 1984 Como-Verona 0-0 Como: Giuliani, Tempestilli, Ottoni, Centi, Albiero, Bruno, Muller (dal 56′ Todesco), Notaristefano (dal 70′ Gobbo), Morbiducci, Matteoli, Fusi. Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna (dall’89’ Donà), Bruni (dal 19′ Turchetta), Galderisi, Di Gennaro, Sacchetti. Arbitro: Ballerini. | 28. giornata – 5 maggio 1985 Verona-Como 0-0 Verona: Garella, Ferroni (dal 62′ Sacchetti), L. Marangon (dal 75′ Bruni), Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Volpati, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Como: Giuliani, Tempestili, Guerini, Centi, Albiero, Bruno, Muller, Todesco (dal 71′ Gobbo), Morbiducci (dal 54′ Corneliusson), Matteoli, Fusi. Arbitro: Esposito. | |||
14. giornata – 6 gennaio 1985 Verona-Atalanta 1-1 Reti: Bruni 35′, Pacione 85′. Verona: Garella, Volpati, L Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Bruni, Galderisi, Di Gennaro (dall’83’ Donà), Sacchetti. Atalanta: Piotti, Osti, Gentile, Perico (dal 75′ Fattori), Soldà, Magnocavallo (dal 54′ Donadoni), Stromberg, Velia, Magrin, Agostinelli, Pacione. Arbitro: Paparesta. | 29. giornata – 12 maggio 1985 Atalanta-Verona 1-1 Reti: Perico 16′, Elkjaer 51′. Atalanta: Piotti, Osti, Gentile, Perico (dall’82’ Codogno), Rossi, Magnocavallo, Donadoni (dal 72′ Soldà), Velia, Magrin, Agostinelli, Pacione. Verona: Garella (dall’81’ Spuri), Volpati (dal 77′ Ferroni), L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Sacchetti, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Arbitro: Boschi. | |||
15. giornata – 13 gennaio 1985 Avellino-Verona 2-1 Reti: aut. Volpati 32′, L Marangon 38′, Colombo 84′. Avellino: Paradisi, Ferroni, Lucarelli, De Napoli, Amodio, Zandonà, Pecoraro, Tagliaferri, Diaz, Colomba (dal 46′ Colombo), Barbadillo (dall’89’ Faccini). Verona: Garella, Volpati, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Bruni, Turchetta, Di Gennaro, Sacchetti. Arbitro: Redini. | 30. giornata – 19 maggio 1985 Verona-Avellino 4-2 Reti: Fanna 9′, aut. Garuti 40′, Faccini 42′, Diaz 46′, Galderisi 61′ rig., Elkjaer 90′. Verona: Garella, Volpati (dal 46′ Ferroni), L. Marangon (dal 64′ Bruni), Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Sacchetti, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Avellino: Coccia, Ferroni (dal 30′ Garuti), Vullo, De Napoli, Amodio, Zandonà, Colombo, Tagliaferri, Diaz, Colomba (dal 55′ Alessio), Faccini. Arbitro: Testa. |
FONTE: StorieDiCalcio.Altervista.org
Lo scudetto di Bagnoli
«Perché quando hai modo di conoscere ed apprezzare chi soffre con te alla domenica e partecipa alle tue gioie e ai tuoi dolori pur non essendo in campo, ti ci affezioni. Almeno io sono fatto così. E per questo motivo, per rispetto nei confronti chi mi ha amato e osannato fino ad invocarmi come sindaco di Verona, non ho accettato di vestire altre maglie di società italiane. Il loro rispetto meritava il mio rispetto... ». (Preben Elkjær Larsen)
Dopo aver disputato due campionati di Serie A conclusi nella parte alta della classifica (ed entrambi corredati da una finale di Coppa Italia), nell'estate del 1984 l'Hellas Verona ingaggiò due giocatori stranieri: il nazionale tedesco Hans Peter Briegel e il nazionale danese Preben Larsen-Elkjær (che scelse di farsi chiamare semplicemente Elkjær).
La formazione-tipo che vinse il campionato fu: Garella; Ferroni I, Marangon I; Briegel, Tricella, Fontolan I; Fanna, Volpati, Galderisi, Di Gennaro, Elkjær; allenatore era Osvaldo Bagnoli. Tra le riserve, Luciano Bruni, Luigi Sacchetti e Franco Turchetta diedero il contributo più importante.
I momenti chiave di quel campionato furono: la vittoria interna per 3-1 ottenuta contro il Napoli di Maradona alla prima giornata; il successo contro i campioni d'Italia in carica e futuri campioni d'Europa della Juventus, battuta 2-0 alla quinta giornata, con Elkjær che segnò a Tacconi l'epico goal senza scarpa, persa nel corso dell'azione; il trionfo allo stadio Friuli di Udine alla diciottesima giornata, dove i veronesi sconfissero in una rocambolesca gara l'Udinese per 5-3 (quando tutti avevano la sensazione che i giocatori stessero ormai perdendo energie); tre vittorie consecutive contro Roma (1-0), Fiorentina (1-3) e Cremonese (3-0) che lanciarono i veneti in una definitiva corsa solitaria; il pareggio per 1-1 ottenuto a Bergamo contro l'Atalanta alla penultima giornata che garantì all'Hellas Verona la conquista dello scudetto con un turno di anticipo.
L'Hellas Verona di Osvaldo Bagnoli vinse il campionato ed entrò nella storia. Ottenne 15 vittorie, 13 pareggi, 2 sconfitte e in totale 43 punti (si assegnavano ancora 2 punti per vittoria), staccando di 4 lunghezze il Torino secondo classificato, con Inter e Sampdoria a completare le prime quattro posizioni.
Lo scudetto assunse valore non solo perché conseguito in un'epoca in cui le squadre italiane stavano iniziando a riaffermarsi a livello internazionale (l'Italia stessa era campione del mondo), ma anche perché nel campionato italiano giocavano molti tra i migliori calciatori del mondo come Platini, Zico, Maradona, Socrates, Rummenigge, Falcao e molti altri.
«Il fatto che in quella stagione tutto abbia funzionato a meraviglia, mai un ingranaggio fuori posto, è stato merito anche di chi aveva il più semplice degli incarichi e che tassello dopo tassello ha contribuito a rendere reale ciò che tutti consideravano un grande sogno»
(Osvaldo Bagnoli)
L'Hellas Verona ha debuttato nelle competizioni internazionali partecipando alla Coppa Mitropa del 1969-1970 (la competizione europea più antica che trovava le sue origini nel lontano 1927), ma venne subito eliminato dai cechi dello Slavia Praga (4-1 e 0-3). Poco più tardi partecipò al torneo Anglo-Italiano del 1971, dove chiuse al quarto posto tra le sei squadre italiane che vi presero parte.
Nel 1982-1983, in virtù della vittoria nel campionato cadetto dell'anno precedente, l'Hellas Verona partecipò nuovamente alla Coppa Mitropa, nella quale però ancora una volta non giunse a risultati di rilievo, chiudendo il girone all'ultimo posto con soli due punti. La stagione successiva la squadra debuttò in Coppa UEFA superando la Stella Rossa di Belgrado (1-0 a Verona, 2-3 a Belgrado), e fu poi eliminata al secondo turno dagli austriaci dello Sturm Graz (2-2 a Verona, 0-0 a Graz).
La stagione 1985-1986 vide la squadra in Coppa Campioni grazie allo scudetto conquistato nella stagione precedente. Nei sedicesimi l'Hellas incontrò ed eliminò il PAOK Salonicco (3-1 a Verona, 1-2 a Salonicco, con doppiette di Elkjear in entrambi i match. Ma negli ottavi venne eliminata dalla Juventus campione uscente e ammessa di diritto alla manifestazione. La partita di andata si giocò al Bentegodi e finì 0-0.
Quella di ritorno si giocò a Torino a porte chiuse (per via della sanzione irrogata dall'UEFA alla Juventus dopo la tristemente nota finale di Bruxelles contro il Liverpool) e finì 2-0 per i bianconeri con il tanto contestato arbitraggio del francese Wurtz, al punto che Elkjaer, al termine della partita, mimò all'arbitro il gesto di un assegno e Bagnoli, rivolgendosi ad un funzionario di polizia (che voleva entrare nello spogliatoio del Verona per capire come mai una delle vetrate dello spogliatoio fosse andata in frantumi) disse la celebre battuta: "Se cerca i ladri, sono di là!", indicando lo spogliatoio juventino.
Nella stagione 1987-1988 la squadra ottenne il suo miglior risultato internazionale, raggiungendo i quarti di finale della Coppa UEFA, grazie a quattro vittorie e due pareggi. Dopo aver eliminato i polacchi del Pogon Stettino, i rumeni dello Sportul Bucarest e gli olandesi dell'Utrecht, il Verona venne infatti eliminato nei quarti dai tedeschi del Werder Brema al termine di un doppio confronto molto combattuto (0-1 a Verona, 1-1 a Brema).
Capocannoniere dell'Hellas Verona nelle Coppe Europee è il danese Preben Elkjær Larsen con 9 gol realizzati in 11 partite giocate tra Coppa UEFA e Coppa Campioni.
FONTE: FreeFootball.com
Amarcord: il tramonto del Verona dopo lo scudetto
Autore: Marco Milan - 27 novembre 2017
Uno scudetto storico, unico, impensabile e meritato: il tricolore del Verona 1984-85 è ancora oggi (assieme a quello del Cagliari nel 1970) il più chiacchierato, il più mitologico, perchè arrivato da una squadra di un centro medio e soprattutto con un organico di medio alto livello. L’impresa di Osvaldo Bagnoli è e resta nella leggenda del calcio, ma ciò che meno si conosce è cosa sia accaduto dopo quello scudetto, quando i riflettori su Verona e sul Verona si sono spenti, lasciando la compagine gialloblu da sola con tutto il peso di un trionfo enorme.
L’estate del 1985 è surreale a Verona: tifosi impazziti ed increduli per uno scudetto ai confini della realtà, euforia alle stelle e il sogno di giocare con il tricolore cucito sulla maglia e disputare per la prima volta la Coppa dei Campioni. Tutti, Bagnoli in primis, sanno che ripetersi sarà impossibile, ma il Verona campione d’Italia in carica non può pensare di disputare un campionato anonimo dopo aver incantato l’Europa intera. L’avvio è però da incubo: alla prima giornata di serie A gli scaligeri si fanno bloccare sul 2-2 casalingo dal neopromosso Lecce, all’esordio assoluto in masima serie; ma c’è di più, perchè i gialloblu nelle prime 10 giornate perdono ben 4 volte, peraltro incassando un 5-0 a Napoli, poi seguito da un 5-1 rimediato a Udine nel sentito derby del Triveneto. Le cose non migliorano neanche nel girone di ritorno, quando il Verona perde 3 delle prime 9 giornate vincendone una sola; l’attacco è meno prolifico dell’anno prima e soprattutto Galderisi latita in zona gol, ma anche la difesa subisce assai di più e a poco servono i successi contro Avellino, Roma e Pisa, gli unici della seconda parte di una stagione terminata al decimo posto, deludente, molto deludente dopo il trionfo dell’anno prima.
Appassionante è l’avventura in Coppa Campioni dove la squadra di Bagnoli esordisce il 18 settembre 1985 contro i greci del Paok Salonicco, battuti 3-1 al Bentegodi e 2-1 in Grecia. Ma agli ottavi di finale, nel turno successivo, il Verona si ritrova di fronte la Juventus campione d’Europa in carica in un derby italiano che finirà fra le polemiche: nella gara di andata in Veneto, le due formazioni si studiano e non si fanno male chiudendo sullo 0-0 e rimandando tutto alla sfida di ritorno a Torino, giocata a porte chiuse e vinta dai bianconeri 2-0 con reti di Platini su rigore e di Aldo Serena, ma condizionata, a detta del Verona, da un arbitraggio a senso unico dell’arbitro francese Wurtz, accusato di aver palesemente favorito la Juve nel qualificarsi. Il sogno europeo del Verona si spegne e ciò, probabilmente, condiziona la formazione di Bagnoli nel resto della stagione, demotivando un gruppo che contava molto nell’impegno internazionale, consapevole di non poter ripetere in campionato la cavalcata perfetta dell’annata precedente. La società è riconoscente nei confronti di Osvaldo Bagnoli, lo sostiene, lo protegge ed ovviamente lo conferma per la stagione 1986-87, perchè lo schivo tecnico lombardo conosce ormai lo spogliatoio più delle sue tasche ed è l’unico che possa rimettere in carreggiata una squadra apparsa sgonfia nell’anno post scudetto.
E Bagnoli conferma il pensiero della società e ricarica le batterie di un Verona rinforzato dal terzino sinistro Luigi De Agostini e dall’eroe di Spagna ’82, Paolo Rossi, acquistato dal Milan ed arrivato all’ultima stazione della sua carriera. Il Verona parte discretamente, perde al debutto col Torino, ma poi resiste in casa della Roma, batte il Milan, vince a Firenze, supera in casa l’Inter, ma soprattutto blocca sullo 0-0 al San Paolo il Napoli futuro campione d’Italia. Nel girone di ritorno, i veneti mantengono un ritmo da alta classifica, togliendosi l’enorme soddisfazione di travolgere proprio il Napoli 3-0 e giungendo ad un quarto posto che colloca la formazione di Bagnoli fra le prime della serie A per continuità e rendimento, nonchè agguantando la qualificazione alla Coppa Uefa per la stagione 1987-88, la terza partecipazione in 5 anni. Il danese Elkjaer Larsen resta il calciatore migliore della squadra, il capocannoniere veronese degli ultimi tre anni, il leader silenzioso dello spogliatoio. Ma in Italia il Verona inizia a capire ben presto che nuove forze si stanno facendo largo in serie A: c’è la Sampdoria di Boskov che sta gettando le basi per quello scudetto che arriverà nel 1991, c’è l’Inter di Trapattoni che conquisterà un titolo da record l’anno dopo e c’è soprattutto il Milan di Arrigo Sacchi che si sta preparando a salire sul tetto d’Italia, d’Europa e del mondo. Il Verona è invece un gruppo invecchiato, statico, il livello tecnico è sceso, i reduci dello scudetto hanno tre anni in più e motivazioni in calo. Il decimo posto finale è la conseguenza di tutto ciò, mentre il cammino in Coppa Uefa esalta la squadra di Bagnoli che elimina nei primi due turni prima gli olandesi dell’Utrecht e poi i rumeni dello Sportul; il Werder Brema futuro campione di Germania si rivela ostacolo insormontabile agli ottavi di finale e il Verona, seppur con onore, deve inchinarsi chiudendo da allora e finora per sempre la sua avventura nelle coppe europee.
Per il campionato 1988-89, Bagnoli deve rinunciare ad Elkjaer che dopo 91 partite e 32 gol decide di tornare in Danimarca dove chiuderà la carriera. Al posto dello scandinavo, la dirigenza scaligera acquista l’argentino Claudio Caniggia, ala o seconda punta dalle spiccate doti di velocista, ma non molto prolifico in zona gol, ed arrivato in Italia assieme al connazionale Pedro Troglio, centrocampista ordinato e dotato di un buon tiro dalla distanza. Nelle prime 10 giornate, però, il Verona vince solo all’esordio (2-1 al Lecce), rimediando anche 4 sconfitte che relegano i veneti in zona retrocessione, nonostante l’ottimo impatto di Caniggia col campionato italiano. Il girone d’andata si chiude col sorprendente successo per 2-0 contro la Juventus grazie alla doppietta di Marco Pacione, mentre nella seconda parte di stagione i gialloblu rialzano la testa e, pur senza incantare ed incamerando una lunga serie di pareggi, riescono a raggiungere la salvezza chiudendo il campionato all’11.mo posto. I fasti dello scudetto sono ormai un ricordo, il Verona è tornato nei ranghi e sa che la geografia del calcio italiano è cambiata, altre squadre sono ora superiori ai veneti che sono retrocessi nelle gerarchie della serie A, senza possibilità di poter sperare in qualcosa di più della semplice permanenza in massima serie.
Il campionato 1989-90 parte per il Verona con la certezza quasi scontata che sarà l’ultimo in Veneto per Osvaldo Bagnoli che dopo 9 anni ed il record di allenatore con più presenze sulla panchina dell’Hellas si prepara a cambiare panchina. Un campionato che parte malissimo per gli scaligeri con 4 sconfitte nelle prime 4 giornate contro Atalanta, Juventus, Bari e Napoli, e con la prima vittoria acciuffata solamente al 14.turno, il 3 dicembre in casa del Genoa, seguita poi dall’1-0 casalingo sulla Fiorentina che riaccende qualche speranza nel popolo veronese che vede la propria squadra al penultimo posto della classifica e pesantemente indiziata per la retrocessione. Bagnoli prova a strigliare i suoi rimotivando il gruppo, ma è il primo ad apparire al capolinea della sua avventura all’ombra dell’Arena; inoltre il Verona sembra avere in rosa buoni giocatori, ma nessuno in grado di accendere una scintilla: in attacco segnano solo i centrocampisti, l’ala Davide Pellegrini, il regista svedese Prytz (che è anche rigorista), mentre le punte Gritti e Iorio combinano poco o niente. Nel girone di ritorno, la formazione di Bagnoli perde tutti i treni possibili per rientrare in corsa: i pareggi casalinghi contro Bari, Ascoli e Genoa, quello di Cremona e le sconfitte di Lecce e Firenze complicano i piani di un Verona che solo nel finale tenta disperatamente di riagganciare le posizioni che conducono alla salvezza, battendo il Bologna e pareggiando a San Siro contro l’Inter.
Il 22 aprile alla penultima giornata, al Bentegodi arriva il Milan di Sacchi che è in corsa per lo scudetto assieme al Napoli: il Verona può solo vincere per mantenere accesa la fiammella della speranza, i rossoneri devono fare altrettanto per non subire il sorpasso dei partenopei. Marco Simone porta in vantaggio il Milan nel primo tempo e tutto sembra filar liscio per i milanesi, mentre per il Verona è notte fonda. Poi sale in cattedra l’arbitro Lo Bello che trasforma una partita innocua in una pagina leggendaria per la serie A: il fischietto di Siracusa fa innervosire i milanisti non sanzionando alcuni durissimi interventi dei calciatori veronesi, poi il Verona pareggia col difensore jugoslavo Sotomayor, il Milan va in confusione, Van Basten lascia polemicamente il campo togliendosi la maglia quando Lo Bello (che lo caccia via) gli fischia fallo dopo una zuccata fra difensori scaligeri. Vengono espulsi per proteste anche Rijkaard e Costacurta, oltre ad Arrigo Sacchi, mentre Davide Pellegrini proprio al 90' in contropiede beffa Pazzagli, ribalta la situazione e regala al Verona un 2-1 che alimenta qualche speranza di salvezza. Ma è destino che resti un campionato stregato per i gialloblu che vanificano la rincorsa nell’ultimo turno a Cesena in un vero e proprio spareggio: i romagnoli, già avanti di un punto rispetto ai veneti, amministrano il vantaggio cercando di non scoprirsi, quindi a dieci minuti dalla fine segnano il gol partita con Massimo Agostini che condanna alla retrocessione in serie B il Verona dopo 8 campionati consecutivi in A.
Cesena-Verona del 29 aprile 1990 sancisce la fine di un’era, quella di Osvaldo Bagnoli al Verona, un addio sentito, triste e malinconico. Il tecnico dello scudetto sceglie il Genoa dove confezionerà un altro miracolo, col quarto posto finale nel campionato 1990-91 e la prima storica qualificazione dei liguri alle coppe europee. A Verona resta il ricordo di uno scudetto e di un decennio da grande del calcio italiano, a sgomitare con Inter, Juventus, Milan e Roma, a leggersi in prima pagina su tutti i giornali. Nel 1985 il Verona ha scritto una pagina indelebile nella stroia dello sport, raggiungendo il punto più alto della propria storia, un apice da cui è bruscamente caduto, sapendo forse fin da allora che dopo essere arrivati in cima si può solamente scendere.
di Marco Milan
FONTE: MediaPolitika.com
Campioni D'Italia
Hellas Verona Scudetto 1985,che fine hanno fatto i suoi calciatori?
di bruceprotto
19:22 10/05/2017
Oggi vi parlo dell'Hellas Verona che nel 1985 conquisto' il suo primo e unico scudetto.Sono passati 32 anni,ma i veri tifosi scaligeri e la citta' di Verona non hanno mai dimenticato quel miracolo.Ma dopo 32 anni,che fine hanno fatto quegli artefici di quel primo e unico scudetto? Andiamolo a scoprire.
In porta c'era Claudio Garella,il portere che parava meglio con i piedi che con le mani,detto anche Garellik arriva a Verona nel 1981 e ci resta fino al 1985anno dello scudetto.Dopo il ritiro dal calcio giocato,Garella e' restato nel mondo del calcio,prima come allenatore in Prima Categoria,poi come dirigente,oggi e' il dirigente del Barracuda squadra di Torino di prima categoria.
Domenico Volpati era un difensore che arrivo' al Verona dopo molta gavetta,dal campionato dilettanti con il Borgomanero,
per poi essere passato tra Serie C (Lega Pro) e Serie B con altre squadre,per poi arrivare al Verona nel 1982 per restarci fino al 1988,vinse lo scudetto all'eta' di 34 anni.Tricella suo ex compagno e capitano nel Verona disse "Volpati è stato il cervello fantasioso di quella storica squadra. Preciso, altruista, piedi buoni ma anche gran faticatore. Gli dobbiamo tutti molto».Oggi e' un dentista ed ha uno studio a Cavalese in Trentino,anche se e' anche laureato in Medicina.
Roberto Tricella Libero e Capitano,di quel Verona,ricorda cosi' quei momenti "Di quella magica squadra e del suo fantastico mister si è raccontato tutto. Perfino che appendevamo la formazione ufficiale (scritta rigorosamente a biro) con un cerotto al muro dello spogliatoio pochi minuti prima di scendere in campo: te lo immagini oggi con gli iPad e le lavagne elettroniche? Aneddoti a parte, però, vorrei ribadire che quel torneo, vinto restando in testa dall’inizio alla fine, non fu un caso fortuito. Bensì il frutto di un team che, prima e dopo lo scudetto, fece comunque bene.»Oggi e' un investitore immobiliare.
Silvano Fontolan era lo Stopper ora un centrale di difesa per intenderci,resta dal 1983 al 1988,arcigno e molto tenace.Dopo la carriera di calciatore,prosegue allenando tra B e C (Lega Pro) il Como per poi proseguire tra C e D.Ultimo incarico nel calcio nel 2013 sempre nel Como.Ha pubblicato un libro "l'Agenda annuale di allenamento".
Luciano Marangon terzino destro arriva nel 1982 e resta fino al 1985.Dopo il ritiro dal calcio giocato,intraprende la carriera di Procuratore,oltre ad essere proprietario di un beach club a Ibiza.Nel 2011 ha pubblicato l'autobiografia Luna tonda.
Pietro Fanna era un'ala sinistra,dall'ottima tecnica,velocita' e fantasia,giocatore completo gia' in tenera eta'.Gioca nel Verona dal 1982 al 1985 anno dello scudetto,poi ritorna per chiudere la carriera nel 1989 fino al ritiro nel 1993.In una intervista del 2015 "Mi prendo tutto il tempo che mi serve per godermi la vita e gestire le mie passioni. Ho fatto delle scelte e non sono più dentro al mondo del calcio anche se continuo a seguire tutto molto da vicino. Da circa 2 anni lavoro per la Radio Ufficiale dell’Hellas Verona, commento le partite e seguo sempre le vicende del gruppo di Mandorlini. Mi piace e mi diverto, è una bella esperienza».
Luciano Bruni era un centrocampista centrale,gioco' nel Verona dal 1983 al 1989,uno giocatore che nella fortuna dello scudetto ebbe anche la sfortuna di avere due infortuni in carriera che lo costrinsero ad restringere il cerchio della sua carriera prima nella stagione 1981/82 rottura dei legamenti,quando ancora giocava nella Fiorentina,mentre l'altro nel 1987 nel Verona al ginocchio che lo mise fuori per un anno intero.Dopo il ritiro dal calcio nel 1994,diventa allenatore,oggi e' il tecnico del Brescia Primavera.
Antonio Di Gennaro era un centrocampista con caratteristiche da regista arriva nel 1981 al Verona e resta fino al 1988.Dopo il ritiro,prova la carriera da Allenatore prima come vice-Terim nel 2000/01 nella Fiorentina esonerato insieme al tecnico turco.Nel 2014 diventa club manager del settore giovanile del Bari,ma poi lascia la carica per diventare opinionista di calcio in tv.Ha lavorato per Sky come commentatore televisivo e per al fianco di Maurizio Compagnoni e poi per Mediaset Premium.
Hans-Peter Briegel era un terzino sinistro,il tedesco arriva nel 1984 e resta fino al 1986.Dop essersi ritirato nel 1988 diviene allenatore,tsvaga tra le squadre di club in Germania e Turchia e nelle nazionali di Albania e Bahrein,poi lascia nel 2007 dopo aver allenato l'Ankaragücü (Turchia). Briegel è rimasto molto legato all’Italia, in particolare alla città di Verona dove si reca ogni anno per andare all’Arena per vedere l’opera.
Giuseppe Galderisi soprannominato "Nanu" per la sua altezza 168 centimetri e' un'attaccante.Agile, potente, capace di calciare indifferentemente di destro o di sinistro. Il suo tiro dai sedici metri è forte era preciso e, malgrado la statura, emergeva in elevazione grazie alla sua scelta di tempo. Il suo ruolo iniziale era quello di mezza punta, ma è diventato uomo da area a tutti gli effetti,arrivo' al Verona nel 1983 restando fino al 1985,per poi tornare nella stagione 1989/89.Dopo il ritiro ha intrapreso la carriera da allenatore,e' stato da poco esonerato dalla Lucchese.
Preben Elkjær Larsen attaccante danese,arrivo' nel 1984 e resto' fino al 1988,potente e scattante difficile da fermare nelle progressioni palla al piede in area avversaria.Ricorda di quei tempi "Non è che io all'epoca sapessi molto dell'Italia, e nemmeno di Verona. Fu mia moglie a spingere. Disse: andiamo subito. Credo che tanta convinzione avesse a che fare con Giulietta e Romeo".Le curiosita' sul danese erano che fumava le sigarette e che portava i mocassini scalzo.Oggi commenta calcio per una tv danese.
Mauro Ferroni difensore mastino del Verona,ricordato anche perche' in quel periodo era stato il marcatore di un certo Diego Armando Mardona.arrivo' nel Verona nel 1983 per restarvi fino alla conclusione della sua carriera nel 1988.Alla domanda su che fine ha fatto Mauro Ferroni lo stesso ex calciatore risponde cosi' «Sono qua, vivo a Verona, questa è diventata la mia città. Qui ci sono i miei amici, qui sento sempre un grande affetto ed è una cosa bellissima. I tifosi che mi riconoscono, che mi fermano, che ricordano. Bello. Questo vuol dire tante cose non solo lo scudetto».
Franco Turchetta detto il "Turco" diminutivo del suo cognome,era un centrocampista,che poteva anche giocare in ruoli avanzati come l'attaccante,era un ripiego,visto che il suo troppo buonismo in quel calcio,non andava a braccetto con la cattiveria che c'era nel calcio anni 80,lui ricorda "Alcuni dicono che era la mia indole a limitarmi io dico che di me, anche tornando indietro, non cambierei niente... E poi cos'è questa cattiveria tanto esaltata in certi casi?",arrivo' nel Verona nel 1984 restando fino al 1986.Oggi Franco Turchetta continua a giocare a calcio in diverse squadre a livello amatoriale.
Luigi Sacchetti centrocampista che milito' nel Verona dal 1982 al 1986 per poi tornare nel 1987 fino al 1988.Si è rivelato un giocatore prezioso per la duttilità che gli permetteva di ricoprire diversi ruoli a seconda delle esigenze tattiche, sobbarcandosi un faticoso lavoro di interdizione e raccordo a centrocampo, senza disdegnare anche pericolosi inserimenti in fase offensiva,con un potente tiro.Sacchetti dopo il ritiro e' diventato allenatore,fino al 2015 allenando come ultima squadra lo Zevio squadra di Promozione in Veneto.
Dario Dona' centrocampista gioco' soltanto una stagione nel Verona 1984/85 in tempo per vincere lo storico scudetto.Ad un giornalista dice oggi che fa il commerciante dice “Sai, una volta facevo il calciatore, ho persino vinto uno Scudetto!” il giornalista crede di essere preso in giro e gli dice “Sì certo, e come ci sei finito qui?”,l'ex calciatore gli risponde “Beh, sono sempre stato un calciatore discreto e già sapevo che il Calcio non mi avrebbe sfamato per sempre”,appena due presenze per entrare nella storia del club scaligero.
Fabio Marangon difensore fratello minore di Luciano anch'esso nel Verona,Fabio arriva nel 1984 e resta fino al 1987,per poi tornare nel 1988/89 per una stagione.Dopo il ritiro da calciatore,si ritira a vita privata.
Sergio Spuri era il secondo portiere di quel Verona,arrivato nel 1983 per restare fino al 1986,gioca solo in Coppa Italia,senza mai scendere in campo in campionato.Dopo il ritiro nel 1998,diventa allenatore tra la Promozione e l'Eccellenza, ma nel 2008 abbandona definitivamente.
FONTE: VivoPerLei.CalcioMercato.com
Calcio
Football Legend: Lo scudetto del Verona
Il Verona dei miracoli e lo scudetto dei sogni
Di Simone Balocco - 14/11/2016
Il sito web della “Treccani” alla voce “miracolo” riporta “In genere, qualsiasi fatto che susciti meraviglia, sorpresa, stupore, in quanto superi i limiti delle normali prevedibilità dell’accadere o vada oltre le possibilità dell’azione umana”. Il miracolo è sorpresa, imprevedibilità, pazzia e può essere religioso, economico e sportivo. E quando è sportivo significa che qualcuno ha fatto un qualcosa di impensabile, qualcosa di cui si direbbe “non ci avrei scommesso un centesimo”. Di miracoli sportivi è piena la storia, di qualsiasi disciplina e anche il calcio non è da meno: dalla vittoria della Premier League da parte del Leicester lo scorso anno a quelle di Lilla e Montpellier prima del dominio del Paris Saint Germain, fino alla Eredivisie olandese con le vittorie di AZ Alkmaar e Twente che, nel 2009 e nel 2010, hanno interrotto il dominio di 28 anni consecutivi di Ajax, PSV e Feyenoord.
E in Italia? I miracoli calcistici ci sono stati, ma sono molto pochi: dalle semifinali di Atalanta e Vicenza in Coppa delle Coppe nel 1988 e nel 1997 alle vittoria del Napoli targato Maradona alle storiche qualificazioni UEFA di Cesena e Chievo Verona nel 1976 e nel 2002. Per non parlare del primo Parma di Nevio Scala, del Perugia di Ilario Castagne e Walter Speggiorin o il Sassuolo di Berardi. Ma focalizziamoci su Verona.
La città di Romeo e Giulietta, dell’Arena, degli Scala e del “risi e bisi” alla parola miracoli calcistici è molto legata. Torniamo al 12 maggio 1985.
Quella domenica di 31 anni fa, il Chievo giocava nell’allora campionato di Interregionale e si classificò settimo, mentre la prima squadra della città, l’Hellas Verona, pareggiò a Bergamo contro l’Atalanta. Preben Elkjær Larsen al sesto della ripresa pareggiò la rete di Eugenio Perico. Un punto in classifica per entrambe, ma se per la Dea quello fu un punto che la cementò al centro classifica, quel punto alla compagine allenata da Osvaldo Bagnoli fu di un’importanza clamorosa perché le diede la matematica vittoria del campionato. Eh sì, il piccolo Hellas a distanza di quindici anni portava il tricolore in provincia dopo il miracolo Cagliari. Ma se i sardi rappresentano un capoluogo di provincia, per vedere un tricolore assegnato ad una squadra rappresentante nessuno capoluogo di regione c’è da tornare addirittura al campionato 1922, quando a vincerlo furono due “provincialissime”, la Pro Vercelli e la Novese. Dalla vittoria dell’Hellas Verona, nessun’altra squadra della provincia ha vinto lo scudetto.
La vittoria dei ragazzi di Osvaldo Bagnoli, chiamato il “mago della Bovisa”, racchiuse in sé un vero miracolo vista la caratura delle avversarie allora: dalla prima stagione di Maradona in Italia all’ultima di Zico, dalla Juventus di Platini che il 29 maggio successivo vinse la sua prima (e tragica) Coppa dei Campioni all’Inter di Rummenigge e Altobelli, per non parlare della Roma di Falcao e Pruzzo e la Fiorentina di Antognoni.
Il Verona fu la vera outsider del calcio italiano dopo la sua promozione in massima serie di tre anni prima. La squadra scaligera si era fatta notare fino ad allora per gli ottimi risultati: due finali consecutive di Coppa Italia (1982/1983 e 1983/1984 perse contro Juventus e Roma cui si aggiunge la prima finale, nella stagione 1975/1976, persa contro il Napoli) e una partecipazione alla Coppa UEFA nella stagione 1983/1984 (sedicesimi di finale persi contro l’Austria Vienna dopo aver eliminato la Stella Rossa al primo turno). Ma nulla poteva far presagire alla vittoria dello scudetto l’anno successivo.
In quel torneo le vittorie valevano ancora due punti, l’Hellas raccolse 43 punti (+4 sul Torino), frutto di 16 vittorie in trenta partite (Serie A a sedici squadra) di cui sei in trasferta, quindici pareggi e solo due sconfitte, rimediate contro l’Avellino all’ultima del girone di andata ed in casa contro il Torino. I gol raccolti dal mitico portiere Claudio Garella in quella pazza stagione furono solo 19 mentre i gol segnati furono quarantadue, terzo attacco del campionato.
Quello fu il primo scudetto di una squadra veneta che non arriva così in alto dai tempi del secondo posto del Lanerossi di Paolo Rossi della stagione 1977/1978 e che vinceva qualcosa dai tempi del Venezia di Valentino Mazzola ed Ezio Loik vincitore della Coppa Italia nel 1941.
L’Hellas Verona era presieduto da Celestino Guidotti che nell’estate 1984 rafforzò una squadra nel complesso buona con gli arrivi del difensore tedesco Hans Peter Briegel dal Kaiserslautern e dell’attaccante danese Preben Elkjær Larsen dai belgi del Lokeren. E proprio quest’ultimo mise a segno all'”Atleti azzurri d’Italia” di Bergamo il gol-scudetto. Lo “scudetto irripetibile” come è sempre stato definito.
Dove stava il successo del Verona scudettato? In porta c’era lo sgraziato Garella che parava con i piedi e non con le mani; in difesa capitan Tricella, Marangon e Fontolan; a centrocampo regnavano Briegel e Volpati, sulla fascia correva Pierino Fanna da Grimacco e davanti c’erano Galderisi e Elkjær Larsen con dietro di loro di Gennaro. In panchina Bagnoli poté contare sugli apporti di Turchetta, Sacchetti e Ferroni.
I punti di forza di quel Verona erano proprio i due stranieri: da una parte l’ex Kaiserslautern che da difensore Bagnoli trasformò in centrocampista e con la sua abilità riusciva ad impartire i movimenti dei compagni, dettare i tempi a tutti e nell’anno magico 1985 venne eletto miglior giocatore tedesco occidentale, dall’altra l’attaccante di Copenaghen. E su quest’ultimo ci sarebbe da scrivere una tesi laurea. Preben Elkjær Larsen a distanza di trentuno anni fa ancora impazzire i tifosi del Verona, pazzi per quel forte giocatore che era pazzo in campo e fuori. Elkjær Larsenera il terminale di quel Verona, l’ariete, il faro, quello che segnava senza una scarpa, il sindaco, l’idolo della tifoseria ed amato da una piazza che, nella nota filastrocca veneta vedeva i “veronesi tutti matti”. Arrivato dal Lokeren dove si era contraddistinto per grinta, forza, fiuto del gol e pazzia, Elkjær Larsen aveva la numero 11 e sotto l’Arena rimase quattro stagioni dove, oltre a livello di club, ottenne anche molto a livello singolo, in quanto nel 1985 arrivò secondo nella classifica del Pallone d’oro dietro ad un inarrivabile Michel Platini: per la prima volta un giocatore gialloblù non solo era candidato, ma salì sul podio del prestigiosissimo premio individuale de “L’Equipe”. L’anno prima l’attaccante classe 1957 si era classificato terzo dietro ancora a Platini e a Tigana e nel 1986 fu quarto. Elkjær Larsen era anche uno dei fari di quella che passò alla storia come la “Danish dynamite”, la “dinamite danese”, la Nazionale danese più forte di sempre, anche più di quella che vinse a sorpresa l’Europeo 1992.
La sua prima (e finora unica) esperienza in Coppa dei Campioni vide un Hellas Verona molto sfortunato, in quanto dopo l’agevole vittoria nei sedicesimi contro il PAOK Salonicco, negli ottavi i Bagnoli boys affrontarono i campionati d’Europa uscenti della Juventus in una partita fratricida che vide il Verona impattare sullo 0 a 0 al “Bentegodi” all’andata, ma cadere al ritorno in un “Comunale” deserto sotto i colpi di Platini e Serena. La partita fu contraddistinta in negativo dalla pessima conduzione di gara del francese Wurtz. Il primo derby italiano nella competizione europea più importante era stato macchiato da un arbitraggio molto discutibile.
L’anno successivo lo scudetto vide il Verona lontano dalla zone alte della classifica (decimo), per poi arrivare quarto, ancora decimo, undicesimo e, nella stagione 1990/1991, addirittura sedicesimo e retrocesso in Serie B. La stagione della retrocessione fu la fine del “miracolo Verona” e coincise con l’addio di Bagnoli passato al Genoa dove, anche li, fece un’altra sorta di miracolo con il Grifone, semifinalista di Coppa UEFA nella stagione 1991/1992, dopo aver battuto ed eliminato il Liverpool ad Anfield Road e fermato in semifinale solo dall’Ajax.
Ecco appunto Osvaldo Bagnoli, il “mago della Bovisa”, uno che andava in panchina con il suo particolare cappellino, un uomo mite ed introverso ma uno che ha scritto una pagina indelebile della storia del club scaligero nato nel 1903.
Non era un’esteta ma un “operaio del calcio”, uno che faceva le squadre con giocatori che non trovavano spazio in altre squadre o che erano troppo giovani per le grandi. Considerato “catenacciaro”, tradizionalista e tutto fuorché mediatico: spesso parlava in dialetto, non aveva il physique du rôle, non aveva mai allenato a grandi livelli, ma la golden age del suo Verona è stato il segno che anche le piccole piazze possono sognare in grande. E Bagnoli, l’anno prima dello scudetto, era stato cercato dalle grandi del calcio italiano: col senno di poi, fece bene il mister a rifiutare le allettanti offerte per rimanere a Verona e scrivere la storia di questo sport in Italia.
Anzi Bagnoli è stato uno che ha dato tanto al calcio ma che da questo ha ricevuto molto meno di quanto avrebbe dovuto, tanto che è non allena più dal febbraio 1994 quando, dopo una stagione e mezzo, venne esonerato dall’Inter. Da allora Bagnoli, per scelta propria, non ha mai più allenato e salvo qualche comparsata televisiva è praticamente uscito dal giro. Se si fermasse per strada qualsiasi adolescente, alla domanda su chi fosse Osvaldo Bagnoli nessun giovane saprebbe dire chi è, mentre nella città dell’Arena anche un poppante saprebbe dire chi era, cosa è stato e cosa ha rappresentato Osvaldo Bagnoli per un’intera città. Una città che ha toccato il cielo con un dito con un allenatore ed una squadra operaia.
Dalla vittoria di Tricella e compagni, la città più piccola ad aver vinto uno scudetto è stata Genova con la Sampdoria nel torneo 1990/1991 (un capoluogo di regione) ed ora, visti i budget differenti, è difficile che una provinciale possa ripetere i fasti del Verona. Difficile ma non impossibile, visto che in Europa notiamo che i miracoli calcistici ci sono i quasi tutti i campionati.
Il Verona ha vinto il campionato per caso? Forse sì, ma se pensiamo a cosa fece il Verona con Bagnoli in panchina in quegli anni e al bel gioco espresso, alla fine la vittoria non è stata un caso ma l’ultimo “vagone” di un treno chiamato “programmazione”. Hellas programmatore, Hellas serio, Hellas fortunato, Hellas operaio, Hellas che ha creduto al miracolo fin dal termine del girone di andata di quella incredibile stagione caratterizzata da “Verona beat”, la canzone simbolo dei veronesi “Gatti di vicolo Miracoli” (giust’appunto).
Ma il bello della favola Hellas campione d’Italia è l’aver dimostrato che anche Davide può arrivare dove è arrivato Golia, dimostrando che credendoci sempre si arriva a vincere. Per questo motivo il Verona targato Bagnoli sarà irripetibile anche perché da allora il calcio è cambiato (in meglio o in peggio, questo è da valutare).
Ma è stato bello cosi. Peccato che dall’addio di Bagnoli, il Verona negli anni ha avuto come miglior risultato in Serie A un nono posto nell’ultimo torneo del secolo scorso, ha fatto (e sta facendo) tanta B e per ben quattro stagioni consecutive ha militato in terza serie, con il rischio di retrocedere nella quarta.
Oggi Verona è una piazza che vive per il calcio nonostante la cocente retrocessione della scorsa stagione. Molto probabilmente Pazzini e compagni torneranno in Serie A a giocarsi il derby contro il Chievo che negli anni del mitico Verona di Bagnoli si barcamenava nel campionato dilettanti, ma non ci sarà più un secondo Verona 1984/1985.
La favola dell’Hellas Verona oggi è irripetibile, romantica e nostalgica, figlia di un passato ricordato dolcemente da tutti quelli che amavano il calcio degli anni ’80 e che oggi non possono non ricordare con affetto cosa fece quella squadra di provincia che mise dietro di se tutte le squadre italiane più forti.
Questo è il bello del calcio. Bello come una parata con i piedi dello sgraziato Garella o come il gol di Preben Elkjær Larsen alla Juventus sotto la Curva Sud senza una scarpa.
FONTE: SportPaper.it
12 Maggio 1985, l'Hellas Verona vince lo scudetto. Retroprospettiva fotografica di un volume dedicato ai tifosi.
Verona 19 Maggio 2016
Domenica 19 maggio 1985, Verona festeggiava allo stadio Bentegodi il suo primo (e forse no) unico scudetto. Ma c'è una data ancora più importante ed è stata quella del 12 maggio, quando il Verona in trasferta contro l'Atalanta riuscì a garantirsi con un pareggio la matematica certezza.
Per garantire un ricordo unico ai tifosi gialloblù, decisi di pubblicare un volume, dal titolo "12 maggio 1985" dove i protagonisti non erano i giocatori ma le emozioni dei tifosi.
Ripropongo alcune immagini di allora dedicandole ai tifosi gialloblu; l'amarezza oggi è grande ma si può e si deve tornare in A.
Rodolfo Giurgevich
Quel giorno pioveva, la tifoseria si divise in due gruppi. Gli irriducibili partirono per Bergamo dove lo stadio divenne improvvisamente gialloblù.
Entrata in campo, fuori le bandiere.
Chi rimase in città si radunò in Brà sotto i microfoni di Radio Adige. Dagli studi dell'emittente, questo era il colpo d'occhio.
Sotto gli ombrelli, una fede.
Ore 16,42, l'Atalanta è in vantaggio. Ma non è detta l'ultima parola, bisogna crederci, non sarà come domenega passà.
forza il Verona
Infatti alle 17,06 Galderisi filtra in area per Elkiaer che scaraventa in rete il pareggio. Bergamo diventa nuovamente gialloblù.
Spunta anche una bandiera danese. Lo scudetto è vicino.
Festa anche in Brà, nemmeno il clero si sottrae all' emozione.
Il Signore è con noi.
Manca un'etenità al 90' e finalmente alle 17,45 in punto, l'arbitro sancisce col triplice fischio la matematica certezza dello scudetto.
L'urlo liberatorio del novantesimo. E' scudetto.
Ed inizia la Grande Festa per Verona, tutti in piazza Brà, si rientra da Bergamo velocemente, appuntamento per tutti sul Liston.
Via Roma, voglia di urlare.
Ore 24,00. La Brà sembrava in fiamme, felicità e visi increduli.
Fuochi di gioia sul Liston.
Ore 01,00 il delirio continua.
Notte non finire mai
Ore 3,00. Anche i monumenti si lasciano dissacrare. Non è il caso di lamentarsi.
La mia bandiera per sempre.
Ore 4,00, Tipografia de L'Arena. Le prime copie.
La conferma del sogno.
Chi ha dormito quella notte, gialloblu non è.
FONTE: VeronaGol.it
[Storie di Calcio] Lo storico Scudetto dell’Hellas Verona
By Pasquale Maione
Updated: febbraio 17, 2016
Nella settimana del derby di Verona, oggi per la nostra rubrica “Storie di Calcio”, parleremo dello storico scudetto dell’Hellas Verona conquistato nella stagione 1984/85.
Ai nastri di partenza del campionato, partono come favorite la Juventus campione in carica e la Roma, sua antagonista in quel periodo. In seconda fila, ci sono l’Inter e il Napoli, rafforzate da acquisti calibro di Rummenigge e Maradona.
Dopo la prima giornata nessuna di queste 4 squadre è a punteggio pieno, e la giornata successiva il Verona si ritrova in testa da solo a punteggio pieno. In molti pensano che la squadra veneta sia il solito fuoco di paglia, ma considerando che la Juventus è distratta dalla Coppa dei Campioni, che la Roma con un Falcao a mezzo servizio non riesce ad esprimersi ad alti livelli e che il Napoli di Maradona si sveglia solo nel girone di ritorno, i gialloblù col passare delle giornate prendono sempre più consapevolezza dei loro mezzi anche perché quelle volte che fanno un passo falso la loro inseguitrice del momento non ne approfitta.
Infatti non c’era una vera e propria inseguitrice perché al secondo posto si alternavano Sampdoria, Inter e Torino (con i granata unica squadra del campionato a riuscire ad espugnare il “Bentegodi”). Così che il 12 maggio del 1985, dopo il pareggio per 1-1 in casa dell’Atalanta, il Verona si laurea Campione d’Italia con una giornata d’anticipo e per la prima volta nella sua storia, contro tutti i pronostici e diventando così la seconda squadra provinciale a riuscire in questa impresa dopo il Cagliari nel 1970.
Il tecnico artefice di questo capolavoro, è Osvaldo Bagnoli che soli 3 anni prima aveva riportato in A gli scaligeri. La formazione tipo di questa squadra che stupì l’Italia era questa:Garella in porta (portiere non proprio impeccabile ma capace di vincere 2 scudetti in carriera), in difesa c’erano Tricella come libero (che qualche anno dopo sarà acquistato dalla Juventus per sostituire Scirea, ma purtroppo per lui la sua esperienza in bianconero non sarà fortunata) e Silvano Fontolan stopper (che era il difensore più temuto dai centravanti avversari per la sua irruenza), i terzini erano Volpati, a destra, che agiva come marcatore e Marangon a sinistra come fluidificante; a centrocampo invece troviamo Sacchetti (che Bagnoli alternava spesso con Bruni), il “roccioso” mediano tedesco Briegel e l’interno Di Gennaro ,vero e proprio faro della mediana e considerato leader silenzioso dello spogliatoio. In attacco, troviamo le due ali: a destra Fanna e a sinistra il danese Larsen-Elkjaer (divenuto famoso per aver segnato durante il campionato un gol senza scarpa contro la Juventus) e come centravanti agiva Galderisi che a fine stagione sarà il cannoniere in campionato del Verona con 11 gol segnati.
Ecco il cammino del Verona verso lo scudetto partita per partita:
Ver-Nap 3-1: 26′ Briegel, 33’Galderisi, 58′ D.Bertoni, 75′ Di Gennaro;
Asc-Ver 1-3: 53′ Di Gennaro, 60′ Briegel, 70′ L.Elkjaer, 75′ Hernandez;
Ver-Udi 1-0: 59′ Galderisi (rig);
Int-Ver 0-0;
Ver-Juv 2-0: 62′ Galderisi, 81′ L.Elkjaer ;
Rom-Ver 0-0;
Ver-Fio 2-1: 25′ Moz (aut), 40′ Galderisi, 58′ Pecci;
Cre-Ver 0-2: 74′ Galderisi (rig), 84′ Briegel;
Ver-Sam 0-0;
Tor-Ver 1-2: 20′ Briegel, 24′ Dossena, 60′ L.Marangon;
Ver-Mil 0-0;
Laz-Ver 0-1: 60′ Podavini (aut); Com-Ver 0-0;
Ver-Ata 1-1: 35′ Bruni, 85′ Pacione;
Ave-Ver 2-1: 32′ Volpati (aut), 38′ L.Marangon, 84′ Colombo;
Nap-Ver 0-0;
Ver-Asc 2-0: 29’ Galderisi, 33’Sacchetti;
Udi-Ver 3-5: 3’ Briegel, 10’Galderisi, 20′ L.Elkjaer, 45′ Edinho, 53’Carnevale, 59’Mauro, 61′ L.Elkjaer, 63’Briegel;
Ver-Int 1-1: 39′ Altobelli, 48′ Briegel; Juv-Ver 1-1: 74′ Briaschi, 76′ Di Gennaro;
Ver-Rom 1-0: 75′ L.Elkjaer; Fio-Ver 1-3: 11′ Monelli, 57′ S.Fontolan, 70′ (rig) e 83′ Galderisi;
Ver-Cre 3-0: 49′ Di Gennaro, 61′ L.Elkjaer, 90′ Briegel;
Sam-Ver 1-1: 6′ Galderisi, 11′ Renica;
Ver-Tor 1-2: 53′ Serena, 65′ Schachner, 77′ Briegel; Mil-Ver 0-0;
Ver-Laz 1-0: 78′ Fanna;
Ver-Com 0-0;
Ata-Ver 1-1: 43′ Perico, 51′ L.Elkjaer;
Ver-Ave 4-2: 9′ Fanna, 40′ Garuti (aut), 42′ Faccini, 46′ Diaz, 61′ Galderisi (rig), 90′ L.Elkjaer.
Negli anni successivi, il Verona conquisterà qualche piazzamento UEFA, poi nel 1990 dopo soli 5 anni dallo scudetto conquistato retrocederà in Serie B.
FONTE: CalcioGazzetta.it
Il pallone racconta: lo scudetto del Verona
30 anni fa la banda Bagnoli vinceva uno storico tricolore
18/05/2015
Formidabile quello scudetto, anche perché è stato il solo nel dopoguerra vinto da un club non espressione di un capoluogo di regione.
Martedì 12 maggio sono stati 30 anni dall’unico tricolore vinto dal Verona, l’amatissimo Hellas, e il sorteggio arbitrale, come ricorda sempre Rino (Salvatore), giornalista sportivo scaligero, re delle statistiche e delle analisi applicate allo sport. Tennis, boxe, ma pure calcio.
Il campionato era a 16 squadre, c’erano i due punti per vittoria e il Verona venne arbitrato dai migliori: 4 volte da Casarin, 3 da Mattei, 2 da Agnolin (tutti poi anche designatori) e 2 da D’Elia.
L’impresa dei veronesi è paragonabile alle promozioni odierne di Carpi e Frosinone, anzi superiore, in valore assoluto, perché lo scudetto è lo scudetto. Lo score fu di 15 vittorie (9 in casa), 13 pareggi e due sconfitte (con l’Avellino e il Torino, secondo classificato, con allenatore Gigi Radice). Nell’82 tornò in Serie A, si classificò quarto, poi sesto, raggiunse due finali di Coppa Italia e azzeccò il capolavoro.
L’allenatore era Osvaldo Bagnoli, il mago della Bovisa, che ha smesso troppo presto, nel ’94, senza vincere lo scudetto con un’Inter decisamente più forte, ma che si scontrò con il Milan degli olandesi.
In rosa c’erano due stranieri, il massimo consentito dalle norme dell’epoca: il mediano Hans Peter Briegel, due volte finalista mondiale con la Germania, e Preben Larsen Elkjaer, danese.
C’erano solo 17 professionisti e vennero scelti dal ds Emiliano Mascetti, il vero architetto dell’impresa gialloblù. L’undici era declinato a memoria: Garella; Ferroni, Marangon; Volpati, Fontolan, Tricella; Fanna, Sacchetti (Bruni), Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Dunque c’erano Pierino Fanna, ala scudettata con la Juve e poi con l’Inter (e 15 anni fa vice di Prandelli) e Giuseppe Galderisi, il popolare Nanu; il regista Antonio Di Gennaro, primo commentatore per Mediaset Premium, e il portiere Claudio Garella, famoso per le parate con i piedi; il libero Roberto Tricella (ai mondiali del Messico come vice Scirea, mentre il ct Enzo Bearzot escluse Franco Baresi) e l’esterno mancino Luciano Marangon, da anni titolare di stabilimenti balneari in Spagna.
La stella però era Elkjaer, definito da Gianni Brera atleta bufalino: “Un incrociatore, sfondatore impetuoso”. In effetti, partendo dall’ala sinistra, si muoveva con la forza di un bufalo: memorabile quando segnò alla Juve nonostante la scarpa persa, nell’uno contro uno con Luciano Favero, che avrebbe chiuso la carriera ai massimi livelli proprio nel Verona.
Per chi l’ha visto e per chi non c’era, per dirla alla Ivano Fossati, ne “La mia banda suona il rock”, Elkjaer le suonava proprio agli avversari. Arrivò nell’84, dopo la semifinale degli Europei persa contro la Spagna, pur avendo dato spettacolo, e allora in quell’anno fu terzo nel Pallone d’oro, dietro ai francesi Platini (Juve, campione d’Europa) e Jean Tigana (Bordeaux, semifinalista in coppa dei Campioni) e poi secondo, alle spalle di Le roi Michel.
Giocava nel Lokeren, da quando aveva 21 anni e al massimo nel campionato belga era arrivato secondo. “Scesi a Verona a 28 anni” - ricorda – “fu mia moglie a convincermi ad accettare l’Italia. E buone referenze arrivarono anche dal compagno di nazionale Miki Laudrup, all’epoca alla Lazio”.
Elkjaer prese casa al lago di Garda e alcune volte l’anno ritorna volentieri. In fondo a Verona è trattato da eroe ma in tutti gli stadi quell’armata veneta era vista con grande simpatia, al punto che la media spettatori di quel campionato eccezionale fu superiore ai 38mila per gara.
E lo scandinavo, detto anche cavallo pazzo, mangiava cioccolato e fumava. Oggi quante sigarette? “Non ha una domanda più intelligente?”, risponde piccato.
Con Bagnoli si capiva con uno sguardo. “Era un gentiluomo esigente e onesto, chiedeva di lavorare”.
In Belgio Elkjaer era abituato a segnare e basta, fu Tricella a insegnargli l’importanza del look. “Ogni tanto mi accompagnavano a fare spese, d’estate non mettevo i calzini e anche per questo davo nell’occhio. Ma Briegel era sempre in tuta, dunque era peggio di me…”.
Dal 2002, il triangolo tricolore resta fra Juve, Milan e Inter, all’epoca del Verona ci furono altri scudetti alternativi: i due del Napoli, nel ’91 la Sampdoria, nel 2000 la Lazio, nel 2001 la Roma.
“E vent’anni prima vinse il Bologna, pure con un tedesco, Helmut Haller, e con un danese, Harald Nielsen. Oggi sono aumentati gli stranieri, i danesi sono pochi, mi aspettavo qualcosa dal lungo centravanti del Palermo Makienok, ma ha avuto poco spazio. E il difensore centrale Simon Kjaer in Sicilia aveva fatto bene”.
Come l’anno scorso, Hellas e Chievo si sono salvate in tandem e in anticipo, la squadra di Maran anche con maggiore disinvoltura rispetto all’impresa compiuta da Eugenio Corini. “La città riesce a sostenere entrambe. Ma l’Hellas non deve più retrocedere”.
Con Elkjaer, i gialloblù parteciparono alle coppe europee per 4 volte. Vinsero a Belgrado in Uefa contro la Stella Rossa, grazie ai pallonetti di Galderisi e Preben Elkjaer, ma l’avventura più importante, in Coppa dei Campioni, terminò al secondo turno contro la Juve campione in carica.
Nel quarto di finale Uefa dell’87/88 c’era ancora Osvaldo Bagnoli in panchina, mentre il centravanti era Marco Pacione, oggi team manager del Chievo. L’epopea terminò con la retrocessione del ’90, anno dei Mondiali, ospitati anche dallo stadio Bentegodi: l’ultima gara fu memorabile perché levò al Milan lo scudetto, a favore del Napoli.
Elkjaer però nell’88 era rimpatriato, al Velje, e all’epoca chiuse anche con la Nazionale. Oggi commenta il calcio per Tsv, tv danese.
“Trent’anni fa, la Serie A era il campionato più spettacolare al mondo, adesso la Juve è la squadra più forte e a me piace anche il Napoli”.
L’Italia gli ha lasciato in eredità un figlio, Max, di 28 anni, calciatore mancato perché si infortunò sciando.
Tra gli uomini forti dello spogliatoio Hellas c’era Domenico Volpati, oggi 64enne. Faceva l’interditore, il tattico. “Forse solo fra trent’anni ci renderemo conto di quello che siamo stati capaci di fare…”, disse all’epoca. E allora non a caso siamo qua a raccontare quella parabola sorprendente.
Era il dottore di quel Verona, si laureò in medicina a Pavia, e ha tre studi di odontoiatria.
“In città” - racconta Volpati – “ci sono tifosi con i capelli bianchi che ci fermano per la strada per trasmetterci il loro affetto. Ma pure i loro figli, che ci conoscono solo dai filmati su YouTube”.
All’epoca la gente aspettava i giocatori fuori dallo stadio per parlare, magari per offrire formaggio, soppressa affettata sul cofano dell’auto. Riti che adesso toccano magari il quartiere Chievo, per le salvezze dell’altra parte gialloblù.
Gli allenamenti erano sempre aperti a tutti e a Verona andavano scolaresche, i nonni con i nipoti. Volpati avrebbe dovuto essere riserva, assieme all’attaccante Franco Turchetta, oggi titolare di centri estetici, e al secondo portiere Sergio Spuri, se Mauro Ferroni non si fosse infortunato al ginocchio. Era un pupillo di Bagnoli, che l’ebbe alla Solbiatese e al Como e a 31 anni se lo portò al Verona.
“Una delle partite chiave fu il 3-1 al Bentegodi con il Napoli, in cui Briegel marcò Maradona e segnò pure un gol, di testa”.
Il tedesco è stato il ct dell’Albania e del Bahrein, ora è tornato in Germania e segue sempre il calcio. Marangon voleva andare via, la società lo rimpiazzò con Briegel ma poi restò e allora il panzer venne adattato a centrocampo e così si affermò anche in Italia.
Ferroni oggi fa l’immobiliarista, il portiere Claudio Garella aveva aperto una gioielleria. “Adesso” - dice Garellik – “faccio il dirigente di una squadra dilettantistica, il Barracuda, a Torino”.
Tricella è ingegnere, progetta le case e aggiudica appalti in edilizia. Silvano Fontolan, fratello maggiore di Davide, allena la Berretti del Como, a 60 anni.
Fanna è commentatore a Bella&Monella, la radio ufficiale dell’Hellas: all’epoca in Nazionale era chiuso da Bruno Conti e Franco Causio, debuttò senza però disputare Europei né Mondiali, aveva guizzi alla Robben, l’olandese del Bayern Monaco.
A centrocampo, accanto a Volpati c’era Luigi Sacchetti, poi allenatore del Carpi, ma in serie C2: adesso fa il broker finanziario. Si era infortunato a un ginocchio e a lungo venne sostituito da Luciano Bruni, oggi tecnico nella Primavera del Livorno, dopo una parentesi alla Lucchese. Bruni aveva guidato la Primavera di Siena e Piacenza, Juve e e Sampdoria. A Lucca, la prima squadra è affidata da Galderisi, da una vita tecnico in Lega Pro e sempre in attesa di debuttare in B.
Di Gennaro era il regista vecchia maniera. “Anche superiore ad Antognoni” - sostiene Volpati – “perché in più sapeva difendere”.
Bearzot gli affidò la Nazionale al mondiale del Messico nell’86, salvo però pentirsi nell’occasione più importante, l’ottavo di finale con la Francia, poi semifinalista, quando affidò la marcatura di Platini a Beppe Baresi.
In queste settimane sono molte le iniziative al Palazzo della Gran Guardia, in particolare martedì 19, con la partecipazione degli ex gialloblù. E’ stato realizzato un calendario a scopo benefico, sono previsti incontri con le scuole e i cittadini, per ravvivare la memoria storica: in fondo quei 16 campioni d’Italia dell’85 si ritrovano annualmente per una tavolata in osteria, a Bardolino o in Valpolicella.
L’appuntamento stavolta è in piazza Brà, con biglietto in beneficenza alla onlus sostenitrice degli ex gialloblù in difficoltà. Trent’anni fa, il Verona si cucì lo scudetto al petto a Bergamo, 1-1 contro l’Atalanta guidata a centrocampo dall’olandese Peters, mentre il 19 maggio festeggiò in piazza, l’indomani dell’1-1 al Bentegodi, contro l’Avellino. Quella sera Volpati non c’era, perché aveva organizzato il matrimonio con Daniela. “Mica potevo immaginare che avremmo vinto lo scudetto…”.
Bagnoli, dal canto suo, non era un grande oratore. Nel marzo del 1985, a un convegno dell’Aic salì sul palco e si toccò il naso, non sapendo come iniziare: “Adesso mi tocca fare la figura dello stupido” - disse per spiegare il primato del Verona – “perché non c'è niente da rivelare. Giochiamo un calcio tradizionale, che facciamo pressing lo leggo sui giornali, in campo non l'ho mai notato”.
Il segreto era semplice, ciascuno nel proprio ruolo, seguendo le sue indicazioni, in dialetto milanese mixato al veronese. Perché a Verona ha la famiglia e vive.
“Ogni 5 anni ci troviamo” - dice il mister, che a luglio compirà 80 anni. “Ogni volta che vedo tanta gente contenta mi dico che abbiamo fatto qualcosa di bello: i giocatori, il presidente Guidotti (scomparso nel ’98, ndr) e il patron Chiampan, a lungo al vertice della Canon”.
Sfogliando l’almanacco Panini, Bagnoli indicava al ds Mascetti centrocampisti da 3-4 gol a stagione. Era per un calcio operaio, del resto aveva lavorato davvero, alla Bovisa, seguendo l’esempio del padre, alla Fargas. Osvaldo giocava a pallone, scalzo e nel doposcuola faceva cinture. Poi tazze per i water, fasce elastiche in un'officina meccanica.
“Lavori che insegnano cos'è la fatica, i veri sacrifici, altro che quelli dei calciatori”.
Al Milan arrivò da giocatore, assieme all'amico Pippo Marchioro, che poi arrivò anche ad allenarlo, salvo essere esonerato per incompatibilità con i campioni come Gianni Rivera.
In fabbrica guadagnava 28mila lire al mese, in rossonero gliene offrirono 35mila. Faceva il centrocampista, alla Luciano Bruni.
La squadra si preparava sempre in Trentino, a Cavalese, in un albergo sobrio. Il signor Osvaldo sceglieva i titolari e li comunicava, alle 6 riserve restava la panchina.
Per quel suo parlare chiaro, da Gianni Brera venne ribattezzato Schopenhauer, perché gli ricordava il filosofo tedesco, pessimista. Aveva solo un vice, Antonio Lonardi, che da portiere conquistò il record di 7 promozioni: 4 in B e 3 in A. Naturalmente faceva il preparatore dei portieri, mancavano invece il preparatore atletico e l’addetto al recupero degli infortunati.
Bagnoli usava due marcatori fissi sulle punte avversarie e poi la zona mista, a centrocampo. Avrebbe voluto affidarne le chiavi a un altro Osvaldo, Ardiles, ma il Tottenham offrì di più e allora il nazionale argentino andò in Inghilterra. Giunsero allora quei gregari, scartati magari da tutte le squadre migliori: Lazio e Fiorentina, Juve, Napoli e Roma; Inter e Sampdoria.
E Volpati arrivava dal Torino, in carriera aveva fatto tutti i ruoli eccetto il portiere.
Il Verona giocava benissimo senza palla, fra contropiedi entusiasmanti e attacchi ragionati, con il lancio di Antonio Di Gennaro.
Oggi Bagnoli va ancora a vedere il Verona, grazie alla tessera omaggiata dalla società, anche alla moglie. Curioso che sia stato esonerato solo al debutto in panchina, a Solbiate Arno, provincia di Varese, nel 1973-74 (“Non potevo accettare che il presidente cambiasse posizione a Ugo Tosetto”) e nell’ultima esperienza, all’Inter. L’ex presidente Ernesto Pellegrini ammise l’errore. Lo sostituì con Giampiero “Pinna” Marini, che traghettò la squadra alla salvezza. Il signor Osvaldo aveva guidato il Verona per 9 anni, dall’81, con la promozione in A al primo tentativo. Nel ’90 passò al Genoa e autografò i migliori risultati del Grifone nel dopoguerra, con 4° posto e semifinale di Coppa Uefa, persa contro l’Ajax. Altre imprese di un calcio e di personaggi irripetibili. Come il suo Hellas.
Vanni Zagnoli
FONTE: AssoCalciatori.it
Top & Flop
Le squadre più forti di sempre in Serie A: il Verona dello Scudetto
Di Stefano Dolci 05/03/2015
[...]
La classe operaia va in Paradiso. Un detto forse abusato ma che meglio può spiegare l’incredibile exploit del Verona nella stagione 1984-85, quella in cui la formazione scaligera riuscì a vincere il suo primo e unico scudetto della sua storia al termine di un’annata semplicemente magica condotta dalla prima fino all’ultima giornata in testa. Un capolavoro frutto della maestria di una società meticolosa e dell’abilità di un tecnico tanto modesto e antipersonaggio quanto formidabile insegnante e motivatore di uomini e calciatori: Osvaldo Bagnoli, l’artefice del miracolo Hellas, capace in quattro anni di rigenerare una sfilza di giocatori reduci da delusioni o mai sbocciati e trasformarla in un’armata invincibile, capace di issarsi in vetta pur senza poter disporre dei fuoriclasse da copertina come Maradona, Rummenigge, Platini o Zico.
UN MIRACOLO A TINTE GIALLOBLU’ – Per raccontare la prodigiosa ascesa dell’Hellas fino all’olimpo della Serie A non si può non partire dall’estate 1981 quando Osvaldo Bagnoli, fresco protagonista col Cesena di una promozione dalla Serie B alla A accetta di tornare a Verona (dove aveva militato dal ’57 al ‘61 racimolando 74 presenze e 25 gol, ndr) per riportare i veneti nella massima serie. Bagnoli, che proprio a Verona 20 anni prima aveva conosciuto la moglie, riaccende subito l’entusiasmo della piazza e vince il campionato cadetto in carrozza costruendo la spina dorsale sulla quale si ergeranno i successi del quadriennio successivo (il portiere Garella, il liberoTricella e il regista Di Gennaro). Nella stagione successiva il Verona, forte di un’intelaiatura collaudata e dell’entusiasmo contagioso di una città di nuovo esaltata dal gioco della sua squadra, disputa una stagione fenomenale conquistando il quarto posto (che garantiva la qualificazione in Coppa Uefa) e mancando la Coppa Italia d'un soffio, dopo aver battuto la Juventus nella finale d'andata. Quella squadra, capace di attrarsi da subito la simpatia degli appassionati superpartes italiani, era composta da giocatori incompiuti o sottovalutati rivitalizzati dalla cura Bagnoli bravissimo a togliere il meglio da ognuno di questi elementi.
Il “Mago della Bovisa” trasformò l’ultratrentenne Volpati da carneade in uno dei migliori jolly della Serie A, Fanna da riserva della Juventus nella miglior ala del campionato e Tricella da scarto dell’Inter in uno dei liberi più eleganti e affidabili d’Europa. Nell’estate seguente Bagnoli approvò la linea del presidente Guidotti che non aveva soldi da spendere e decise di privarsi degli elementi più talentuosi rimpiazzandoli con nuovi elementi in cerca di riscatto: Dirceu fu ceduto al Napoli, Penzo alla Juventus, Oddi alla Roma e come sostituti arrivarono lo stopper Silvano Fontolan, il centrocampista Bruni dalla Fiorentina e il giovanissimo attaccante Galderisi, funambolo dell'area di rigore finito a scaldare le panchine alla Juve dopo gli exploit iniziali. Il Verona debuttò in Coppa Uefa e complice il doppio impegno chiuse con un onorevole sesto posto e un’altra sconfitta in finale di Coppa Italia. Ormai consapevole della propria forza e della propria maturità in estate bastarono due acquisti mirati per fare il definitivo salto di qualità e dare l’assalto allo scudetto. Nello stesso mese in cui il Napoli annunciò l’arrivo in Italia di Maradona, la dirigenza scaligera si portò a casa il roccioso difensore tedesco Hans-Peter Briegel e il possente attaccante danese Preben Larsen-Elkjaerreduce da uno scintillante Europeo. Briegel e Elkjaer garantirono quella fisicità e quell’imprevedibilità alla manovra della squadra di Bagnoli che, partita senza eccessivi squilli di tromba, diede subito l’impressione di poter fare grandissime cose in quella stagione. Dopo un roboante 3-1 rifilato al Napoli del Pibe de Oro alla prima giornata, gli scaligeri capirono davvero di poter ambire a diventare campioni d’Italia alla quinta giornata quando sconfissero 2-0 la Juventus al Comunale grazie ai sigilli dell’ex Galderisi e a un eurogol di Elkjaer, che riuscì a trafiggere Tacconi pur senza una scarpa persa poco prima di battere a rete. La squadra di Bagnoli, nel primo e unico campionato di Serie A col sorteggio integrale, inanellò una serie di 14 risultati consecutivi perdendo solamente l’ultima partita d’andata al Partenio 2-1 contro l’Avellino. Nel girone di ritorno i gialloblù rifilarono una cinquina all’Udinese di Zico, espugnarono l’Olimpico e il Franchi ed uscirono indenni dai confronti con Juve, Milan e Inter perdendo solamente al Bentegodi contro il Torino di Radice alla 25esima giornata. Quel blitz però non bastò ai granata per riprendere l’Hellas che alla penultima giornata a Bergamo dopo un 1-1 contro l’Atalanta festeggiò il suo primo storico scudetto.
L'assetto tipo del Verona 1984-85 quello del primo scudetto. Ovviamente Tricella giocava da libero moderno, in quello che con le definizioni attuali sarebbe un 1-3-3-1-2.
BRIEGEL MEDIANO INCURSORE E L’ARMA CONTROPIEDE – Ma com’era disposto in campo il Verona di Bagnoli? Fedele alla difesa col libero davanti a Garella a organizzare gioco era capitan Tricella che interpretava il ruolo come un vero regista arretrato della squadra e cui suoi lanci era formidabile a prendere d’infilata gli avversari avviando le ripartenze mortifere di Fanna, il migliore esterno dell’epoca nel tramutare qualunque azione in un contropiede. A centrocampo a garantire filtro, equilibrio e gol ci pensavano Volpati e Briegel, reinventato mediano davanti alla difesa proprio da Bagnoli e pericolosissimo anche in avanti con la sua capacità di inserirsi al tempo giusto e segnare gol pesanti (9 alla fine della stagione). Innescata dalla qualità di Di Gennaro la coppia Galderisi-Elkjaer era veramente tra le più assortite e letali della Serie A dell’epoca grazie all’agilità del guizzante Nanu e alla potenza da panzer del centravanti danese. I due attaccanti misero a segno 20 reti in totale mentre alla fine della stagione furono 9 gli elementi a realizzare almeno una rete. Un vero elogio di un collettivo che 30 anni fa ha scritto una delle pagine di storie più esaltanti del nostro calcio che ora oggi commuove ed emoziona.
di Stefano DOLCI (twitter @stefano_dolci)
FONTE: It.Yahoo.Sport
14.04.2010
«È ancora stupefacente parlarne»
Il libro «Verona campione!» (Edizioni dell'Aurora), dopo l'illustrazione di Carla Riolfi e la prefazione, si apre con un testo di Osvaldo Bagnoli. Lo riportiamo.
ARMONIA DI GRUPPO. «È stupefacente che dopo venticinque anni siamo ancora qui a parlare di questa squadra e che, dopo tanto tempo, ci si trovi ancora tra noi con quell'armonia e quella compattezza di gruppo che è stata alla base di quell'incredibile traguardo oltre, naturalmente, alle capacità ed alla bravura dei protagonisti del campo».
IL PRIMO RICORDO. «Il primo ricordo che mi torna alla mente è legato al dopo partita di Bergamo, quando i ragazzi dentro lo spogliatoio, pazzi di gioia, festeggivano lo scudetto e Domenico Volpati se ne uscì con una frase che molti attribuiscono al sottoscritto: "Oggi non ci rendiamo conto di quale impresa abbiamo realizzato, ma sarà il corso del tempo a farcelo capire". Ed infatti eccoci dopo, a ricordare ancora quell'impresa memorabile e l'iniziativa di dedicare questo libro a chi era dietro le quinte, è assolutamente condivisibile».
MERITO DI TUTTI. «Il fatto che in quella stagione tutto abbia funzionato a meraviglia, mai un ingranaggio fuori posto, è stato merito anche di chi aveva il più semplice degli incarichi e che tassello dopo tassello ha contribuito a rendere reale ciò che tutti consideravano un grande sogno».
FONTE: LArena.it
L'INTERVISTA
Verona, ma te lo ricordi Bagnoli? "Allo stadio volevano il documento"
Lo scudetto dei miracoli venticinque anni dopo raccontato dall'ex allenatore "Il mio erede è Prandelli, lo vedrei bene come ct"
dal nostro inviato CONCETTO VECCHIO
VIDEO - L'intervista
VERONA - "Non pensavo certo di poter riuscire come allenatore, iniziai nel '74 dalle giovanili del Como ed ero convinto che sarei rimasto sempre ad allenare i ragazzi. Poi arrivò Verona, ed era soprattutto una squadra di giovani che non avevano trovato spazio nelle grandi, come Di Gennaro chiuso da Antognoni nella Fiorentina, Fanna da Causio nella Juve, Tricella che era stato all'Inter. A Galderisi in ritiro dissi che non sarebbe stato titolare, lui telefonò a Boniperti chiedendo di poter tornare indietro, poi fece quella doppietta Belgrado con la Stella Rossa, che allora era uno squadrone, e rubò il posto a Joe Jordan. Il ciclo - due volte quarti, due finali di Coppa Italia, lo scudetto, poi ancora quarti, otto anni di serie A - fu possibile soprattutto perché tutti avevano fame e volevano dimostrare che avevano sbagliato a mandarli via".
Oggi sono 25 anni che l'Hellas Verona ha vinto lo scudetto, nel Dopoguerra unica fra le squadre non capoluogo di regione, e sedici da quando Osvaldo Bagnoli ha smesso di allenare: febbraio '94. Non è un caso che l'addio coincida con l'avvio del calcio in pay-tv. Bagnoli non è cambiato. Ha solo i capelli bianchi. A luglio compie 75 anni e nelle due ore di intervista, in un parco giochi in fiore dirimpetto la sua casa alle Torricelle, ripeterà spesso "ho avuto fortuna". Una professione di modestia che stride con il curriculum: altre due promozioni in A e poi il miracolo Genoa, a un passo dalla finale Uefa. "Lì la tifoseria chiede ai suoi giocatori di uscire sempre con la maglia sudata dal campo: ci torno spesso, a Genova".
Oggi è impegnato a dare una mano agli ex giocatori indigenti, ("Ce ne sono tanti, che smisero negli anni Sessanta, guadagnando pochissimo") e con gli Ex Gialloblù è reduce da una partita di beneficenza a Barcellona. "C'erano 90mila persone al Nou Camp contro l'ultima in classifica, tante famiglie che all'indomani ho rivisto mentre facevano la fila davanti al museo dello stadio. Io non andavo al Bentegodi da tre anni prima di domenica scorsa. In passato ho dovuto esibire pure la carta identità. Così preferisco guardare le partite in tv. Totti per anni mi ha tenuto incatenato alla poltrona. Ammiro Milito, fantastico nel costruirsi certi gol. Per quel che ho visto Balotelli è certamente un talento vero, ma non mi chieda come lo gestirei io".
Non ha molta simpatia per Mourinho, pur reputandolo molto bravo, invece stravede per Prandelli, che ritiene il suo erede e che vedrebbe bene in Nazionale. Sono fatti della stessa pasta e insieme hanno trascorso un'estate in Spagna ad allenare i ragazzini. "Quando l'Inter mi esonerò avevo 58 anni, mi sentii al capolinea. Ho detto no a tutti. Lo dovevo soprattutto a mia moglie, riconoscente per i sacrifici che aveva fatto". E cosa ha fatto in tutti questi anni? Risposta: "Ho vissuto". Due figlie, due nipoti, due alberghi con un socio.
Gianni Brera, che lo ribattezzò Schopenhauer, disse che era da Milan, ma poi tirarono fuori la storia che era comunista. "Io votavo socialista, perché così faceva mio padre: la verità è che con Berlusconi non ci fu alcun contatto. Lo vidi solo una volta, nel sottopassaggio di San Siro, prima di un derby, e fu cortese. Mi avrebbe voluto invece il Milan di Giussy Farina. Firmai anche un precontratto, oggi si può dire, ma poi Ciccio Mascetti mi convinse a rimanere al Verona. La verità è che io non ero un allenatore da grande squadra, dove bisogna essere bravi nelle pubbliche relazioni, vincere e basta, senza tenere in conto altri valori".
Quel Verona era essenziale come il suo demiurgo e arrivava con tre tocchi davanti alla porta avversaria. Domenico Volpati ha raccontato che mentre la squadra si riscaldava, l'Osvaldo si metteva in un angolo a leggere la Gazzetta. La formazione attaccata alla porta dello spogliatoio con un cerotto. Il campionato più bello del mondo. "Non è vero che quella dell'Hellas fu un'impresa irripetibile: può succedere ancora. In Germania è appena successo, con il Wolfsburg, no?" Nella Verona di oggi le suonerie dei ragazzi riecheggiano la voce di Roberto Puliero che urla incredulo "reteeee" per il gol di Elkjaer segnato senza scarpa alla Juve. Su You Tube c'è il video di Galeazzi che lo prende sottobraccio: "Non mi dire che non te lo meriti?". E Bagnoli annaspa, non esulta, non grida. Dice solo: "Ce lo siamo meritati tutti".
(12 maggio 2010)
FONTE: Repubblica.it
Inviato il: 12/5/2009, 19:10
Come 24 anni fa oggi l'HELLAS VERONA vinse con una giornata d'anticipo a Bergamo contro l'Atalanta (1-1) lo scudetto.
Il Verona campione nel 1984-85
Nell'estate del 1984 l'arrivo di due robusti giocatori stranieri di sicuro affidamento, il nazionale tedesco Hans Peter Briegel e il nazionale danese Preben Larsen-Elkjær (che scelse di farsi chiamare semplicemente Elkjær) colmarono qualche lacuna di esperienza e di potenza che aveva precluso alla squadra negli anni prededenti l'ottenimento dei risultati che, sul piano del gioco, la squadra avrebbe meritato.
La formazione-tipo che vinse il campionato fu: Garella; Ferroni I, Marangon I; Briegel, Tricella, Fontolan I; Fanna, Volpati, Di Gennaro, Galderisi, Elkjær; allenatore era Osvaldo Bagnoli. Tra le riserve, furono Luciano Bruni, Luigi Sacchetti e Fabio Turchetta a dare il contributo più importante.
I momenti - chiave di quel campionato possono essere identificati in due partite: la prima fu la vittoria interna per 3-1 sul Napoli di Maradona, appena arrivato in Italia, mentre la seconda fu sempre una vittoria interna ma contro la Juventus battuta 2-0 (14 ottobre 1984, quinta giornata), con Elkjær che segnò un goal a Tacconi senza la scarpa che aveva perso nell'azione; la seconda fu allo stadio Friuli di Udine (10 febbraio 1985, diciottesima giornata), quando i veronesi sconfissero in una rocambolesca gara l'Udinese per 5-3, risultato che fece cessare le speculazioni secondo le quali i giocatori stavano ormai perdendo energie.
Altri episodi degni di menzione furono tre vittorie consecutive (inclusa una difficile partita contro la Roma vinta 1-0) che misero in chiaro che la squadra non aveva perso smalto e lucidità durante la rimonta finale delle rivali; e un pareggio 1-1 a Bergamo contro l'Atalanta garantì la conquista del titolo con un turno di anticipo.
Il Verona finì l'anno con un tabellino di 15 vittorie, 13 pareggi, 2 sconfitte e 43 punti, 4 punti in più del Torino con Inter e Sampdoria a completare le prime quattro posizioni.
Lo scudetto assume un particolare valore tecnico non solo perché conseguito in un’epoca in cui le squadre italiane stavano iniziando a riaffermarsi a livello europeo, l’Italia stessa era campione del mondo e nel campionato italiano giocavano molti tra i migliori calciatori del mondo (a titolo esemplificativo ma non esaustivo, Platini, Zico, Maradona, Sócrates, Rummenigge).
Per la città scaligera restò legato alla canzone Verona Beat, ripresa per l'occasione da Umberto Smaila, e alle radiocronache del cronista ed attore teatrale Roberto Puliero.
Nel 1982/83, in virtù della vittoria nel campionato cadetto dell'anno precedente, l'Hellas Verona partecipò alla Coppa Mitropa, nella quale non giunse, tuttavia, a risultati di rilievo.
La stagione successiva avvenne finalmente il debutto in una competizione internazionale di grande livello ma la squadra in Coppa UEFA nel 1983-1984, dopo aver superato il primo turno con una prestigiosa vittoria sul campo della Stella Rossa di Belgrado, fu eliminata al secondo turno dagli austriaci dello Sturm Graz (2-2 a Verona, 0-0 a Graz).
La stagione 1985/86 vide la squadra in Coppa Campioni grazie allo scudetto conquistato nella stagione precedente. Nei sedicesimi l’Hellas incontrò ed eliminò il PAOK Salonicco. Negli ottavi, purtroppo, il destino volle che incrociasse in uno scontro fratricida la Juventus campione uscente e ammessa di diritto alla manifestazione. La partita di andata si giocò al Bentegodi e finì 0-0. Quella di ritorno si giocò a Torino a porte chiuse (per via della sanzione irrogata dall’UEFA alla Juventus dopo la tristemente nota finale di Bruxelles contro il Liverpool) e finì 2-0 per i bianconeri, con lamentele anche pesanti di giocatori e tecnico nei confronti dell'arbitro francese Wurtz, famosa è infatti la frase dell'allenatore Bagnoli rivolta ai carabinieri del servizio sicurezza, riferendosi ai giocatori avversari: "Se cercate i ladri sono nell'altro spogliatoio".
Nella stagione 1987/88 la squadra ottenne il suo miglior risultato internazionale raggiungendo i quarti di finale della coppa UEFA grazie a quattro vittorie e due pareggi. Dopo ever eliminato Pogon Stettino (Polonia), Sportul Bucarest (Romania) e Utrecht (Paesi Bassi), venne eliminata nei quarti dal Werder Brema (Germania) che vinse 1-0 a Verona, mentre il ritorno a Brema finì 1-1.
Nelle sue tre partecipazioni nelle principali Coppe Europee il Verona ha disputato 7 partite all'estero rimanendo sempre imbattuto.
Capocannoniere dell'Hellas Verona nelle Coppe Europee il danese Preben Elkjaer Larsen con 11 gol in 11 partite.
DA BRIVIDI:
FONTE: https://generazioneditalenti.forumfree.it
SCUDETTI LANCETTE ED ELMETTI
FATEVENE una ragione, il campionato è finito. Al Louvre, accanto alla Gioconda, hanno appeso una maglia gialloblù, a umidità e temperatura costante. Dicono gli esperti che, dopo i gol di testa di Van Gogh e la Vittoria in trasferta di Samotracia, sia quella la cosa più bella del mondo, frutto del famoso Rinascimento Straniero del XX secolo. Sotto i Medici, come Alicicco II e Andrews, stava per rigiocare anche Falcao, quello che fu colpito su un ginocchio con il martello dall' ing. Viola al grido di "Perchè non parti!?".
Leggete nei libri di storia dell' Arte quando il Ghiberti scolpì Maradona a rasoio, leggete. Ora che la classifica, dopo un estremo sussulto, ha esalato l' ultimo respiro fermandosi per sempre (ma resterà nei nostri cuori come libro d' oro), gli studiosi affollano le pallonoteche per consultare affannosamente i propri scritti e affermare: "Io l' avevo detto".
Il Verona aveva il gioco migliore o ha vinto solo perchè ha fatto più punti? Che succede mettendo di fronte un attacco inarrestabile e una difesa imbattibile? Falsa il campionato il fatto che andata e ritorno si giochino in due anni diversi? Presto chiariremo tutto.
Intanto già sappiamo chi occupa i posti Uefa: il Torino, un secondo semplice e nutriente, l' Inter (sta crescendo e avrà bisogno di scarpe nuove per l' anno prossimo) e la Samp, quella che ha cominciato senza impegno un allevamento in casa e ora vende coppie di bersellini in tutta Europa. Dura per gli altri. La Juve paga gli sforzi, ma troppo poco, e così parecchi vogliono andarsene altrove, a trascorrere una serena vecchiaia. Il Milan deve ancora decidersi se puntare sul rosso o sul nero: anche Hateley, mica esce sempre testa.
Altro discorso per quello che riguarda i giallorossi: nonostante gli sforzi di Clagluna che in panchina ha urlato per mesi in svedese con una maschera di gomma e gli occhiali, dopo qualche giornata hanno capito che qualcosa non andava. Ultima citazione per il Napoli, che ha capito troppo tardi come Maradona abbia bisogno di qualche viaggetto per distrarsi e rendere al meglio.
L' anno prossimo giocherà a Napoli e si allenerà a Sidney. Con Cremonese e Lazio, se ne va anche l' Ascoli dei marchigiani Boskov e Dirceu. Risaliranno. In B non mangiano nessuno, se non lo conoscono bene. Per chi non vuole ancora spegnere il televisore, restano le Coppe. Quella "Italia", da anni la vince una squadra nostra. Quella "Campioni", bisogna che la Juventus non si ritiri troppo, lì in Svizzera. Il Liverpool, pur essendo più debole della Lazio, è più perfido. E poi il Rinascimento va confermato. Leonardo fu chiamato da Vinci per la sua macchina da gol. Raffaello, dopo novanta minuti, era sempre affreschissimo. Noi tutti, bramanti, siamo in attesa.
di MASSIMO BUCCHI
21 maggio 1985
DA GARELLA A ELKJAER UN VOTO AI MONELLI DELLA BANDA BAGNOLI
COSI' è fatta. In alto le bandiere e i canti per il Verona campione d' Italia! Ha pareggiato sul campo dell' Atalanta a furor di logica: ha retto con ammirevole dignità gli assalti per niente labili dei suoi giovani ospiti. Chi si è illuso che lo condannasse il limpido (e fin troppo agevole) gol di Perico si è dovuto ricredere con tutti i pentimenti del caso. Non appena ha voluto, il Verona ha eguagliato l' Atalanta con una serie inciuccante di passaggi, una decisiva rifinitura di Galderisi a ritroso e un rabbioso sinistro di Elkjaer Larsen. Subito dopo, l' Atalanta si è rassegnata: il Verona le aveva lasciato intendere che avrebbe anche potuto vincere: e questo non sarebbe stato giusto per Sonetti, che con quel pareggio batteva a sua volta un record. L' Atalanta è un collettivo quasi perfetto nelle connessioni e negli equilibri: ma, certo, Sonetti non aveva altro mezzo per ovviare alla modestia della classe.
Circa il Verona neo-campione d' Italia, il discorso è quasi identico per quanto si rifà alla fusione del complesso e cambia solo, ovviamente, per quanto si rifà ai mezzi tecnici. L' Atalanta ha solo Stromberg di livello internazionale certo; il Verona ha Fanna, Galderisi, Garella, Briegel e Larsen, per tacere di Tricella e Di Gennaro, di poco sotto. Manca una giornata al completamento del calendario e quindi non è possibile procedere a considerazioni tecnico-statistiche. Fin da ora si può affermare che il Verona ha vinto con pieno merito il primo scudetto della sua storia, invero non particolarmente gloriosa. Non aver alle spalle un grande passato è elemento che ancor più valorizza l' impresa compiuta quest' anno: ma certo la conquista di uno scudetto non è mai il prodotto del caso: in effetti il Verona veleggiava da quattro anni verso traguardi del tutto inconsueti. La sua ascesa, graduale e costante, si spiega con l' oculata misura dei dirigenti amministrativi (Guidotti e Chiampan), con l' intelligenza dei dirigenti tecnici (Mascetti e Bagnoli).
Senza misura amministrativa è inutile l' intelligenza tecnica e senza intelligenza tecnica è inutile qualsiasi sforzo amministrativo, anche folle. Il calcio italiano è sciaguratamente avviato a una colossale bancarotta per incoscienza di molti presidenti di società e per palese insufficienza di norme giuridico-fiscali. Ora, fra gli incoscienti non rientrano certamente i veronesi e non per altro ho parlato di oculata misura. Ma la legge ferrea del calcio internazionale condanna a priori una squadra fondata sui miracoli del risparmio. La constatazione è fastidiosa e anticipa dispiaceri evitabili solo con la meditata perdita della misura di cui sopra. In momenti di così sfrenata gioia, non è neppure di buon gusto richiamare alle immancabili disillusioni di domani: però il discorso mi viene imposto dalla stessa gratitudine e dall' ammirazione che nutro per Bagnoli e Mascetti. Bagnoli è tecnico di mirabile pragmatismo: le doti umane in lui poco palesi per la sua naturale introversione, risaltano sul piano pedagogico e persino sul piano etico.
I suoi allievi lo sanno bene e per questo gli sono affezionati: li considera uomini, non solo macchine da gioco, suscettibili di fusioni e connessioni magicamente articolate negli schemi. Personalmente ho provato grande soddisfazione quando un uomo serio e preparato come Bearzot ha pubblicamente affermato che il modulo della sua nazionale si riconosce in quello che Bagnoli ha allestito per il Verona. Era e rimane un riconoscimento di grande valore morale che fa onore a Bagnoli ma anche a Bearzot che lo ha espresso. Bagnoli ha ricevuto pressanti sollecitazioni a lasciare il Verona quando ancora la conquista dello scudetto era possibile, non certa. So di due grandi società che non nomino per non venir meno ai miei impegni deontologici. Bagnoli ha deciso di rimanere a Verona quasi per un desiderio di ascesi professionale, un rendimento di grazie al destino che l' ha tanto premiato quest' anno e che potrebbe non ripetere i suoi doni l' anno prossimo. Bagnoli aveva già lasciato una squadra dopo aver vinto e non voleva si rafforzasse una fama immeritata. Sapeva, sa anche lui perfettamente che il Verona non sarà più questo complesso di sobria magia: se ne va Fanna, se ne va Garella, se ne va Marangon.
La perdita più grave è quella di Fanna, sicuramente insostituibile. Con lui incomincio a tratteggiare il profilo tecnico-stilistico dei neo-campioni.
Fanna: è il tipico emigrante furlano. Ne ha scritte sul volto le profonde angosce e gli sforzi virili per superarle. Ha lasciato la famiglia a quattordici anni, come un singolare garzone di pedata. Ha imparato a Bergamo, non è riuscito a progredire in Juventus ed è stato dimesso perchè troppo emotivo e negato a goleare. Bagnoli l' ha reinventato jolly prodigioso: corre da una linea di fondo all' altra, batte con i due piedi: difende, imposta e rifinisce, raramente conclude. L' Inter lo vuole per sostenere il settimino Brady e crossare per Altobelli e Rummenigge. Bearzot lo vuole per la nazionale campione del mondo.
Garella: volto intelligente e matto del cascatore specialista: stile inventato ogni volta, secondo coordinazione sbirolenta. Bagnoli dice: "Non credo alle rigenerazioni: se non era mica buono non usciva (dalla mediocrità)". Quest' anno avrà parato cinquanta tiri-gol. Un miracolo che tenterà di rinnovare al Napoli. Un portiere non può farti vincere il campionato; però può fartelo perdere. Senza Garella, il Verona poteva finir male. Ferroni: molta sfortuna dopo un ottimo inizio. Visto poco o forse troppo (per esempio con il Torino in casa, quando fu pescato da dribbling risolutivi).
Marangon I: tipo estremamente simpatico, pronto a chiedere l' apertura verso il suo out, che è il sinistro: l' Inter lo vuole per non rivedere le sue finte ali sinistre, arrivare all' estrema, fermarsi e poi voltarsi in dribbling per battere il cross con l' unico piede, il destro. Partite memorabili, non recenti. Piuttosto incolore nel finale.
Tricella: della prodigiosa tribù cernuschina, madre di Scirea e Galbiati. Pronto a lanciarsi per dettare il disimpegno e costruire lungo: forse migliore in lui il costruttore che non il difensore. Possibilità di migliorare molto. Fontolan: recupero clamoroso di Bagnoli: acrobata insigne negli stacchi; lento nei gesti minimi; buon battitore. Tutti lo danno per milanese: è comasco di Garbagnate Rota.
Volpati: si è sposato ieri (auguri) e si laureerà domani (maana) in Medicina: intanto gioca con spietato pragmatismo annichilendo l' avversario marcato da lui e valorizzando il gioco di Di Gennaro, cui si offre per il passaggio sicuro (in quanto è bene smarcato). Secondo Bagnoli durerà ancora due anni. Ne ha trentaquattro.
Di Gennaro: emulo di De Sisti ma con lancio lungo più forte e pulito. Bagnoli gli insegna i segreti del centrocampo, fondati sulla misura dinamica, cioè sul risparmio e sulla arcigna riconquista della palla.
Sacchetti: cursore come Bruni, abile conduttore in TV: l' ho visto poco: difende bene e questo importa a Bagnoli.
Briegel: è un armadio che i tedeschi facevano giocare terzino d' ala: Bagnoli lo inventa centrocampista: la sua resa è fenomenale: prepotenza atletica: ipertrofia crurale che rende sgraziato il suo correre e il suo tocco: sporca la palla ma con il sinistro cannoneggiata fortissimo e in acrobazia la fa da match-winner. Che più?
Galderisi: l' è terron de caratter, dice Bagnoli, e persino menestrello: però si batte con un coraggio da leone: difende la palla come pochi: a me ricorda el Guarnieri de l' Ortiga, centravanti dell' Inter 1940: un nano prodigioso. Larsen: danesone estroverso, matt come on cavall (dice Bagnoli): falcata distesa da duecentista: tiro forte, specie con il destro. Lungo periodo di assenza per malanni contratti in nazionale. Diventerà anche acrobata, se si applica. Questo doveroso omaggio ai neo-campioni mi brucia lo spazio per il resto. La gnagnera ha preso quasi tutti, alle spalle del Verona, e il Como deve ancora sperare di salvarsi, il che significa che l' Ascoli non è ancora condannato secondo aritmetica. Chiedo scusa per la fretta. Chiudo.
di GIANNI BRERA
14 maggio 1985
IL VERONA ALLA SCOPERTA DELL' AMERI
LODE al Verona che ha vinto. Diceva piangendo Ameri, dopo le considerazioni sulla cabina da cui parlava, che questa è la più bella storia veronese dopo quella di Romeo e Giulietta. Ricordate? Gli undici Capuleti e gli undici Montecchi si scontrarono in notturna: uno a uno, con reti di Tibaldo, Mercuzio e Pruzio. D' altronde era ora che il campionato finisse, già da quattro o cinque domeniche si trascinava stancamente, appoggiandosi al Totocalcio (anche lui agonizzante), e non era un bello spettacolo per nessuno. Che sia così, lo dimostra l' atmosfera da tempi supplementari che domenica ci ha avvolto. Sapete, quando con i giocatori a pezzi saltano tutte le marcature, tutti gli schemi, e si fanno valanghe di gol. Maradona, dopo la partita con Paraguay, è sceso a Udine stanchissimo sottobraccio alla mezz' ala dell' aereo: eppure ha segnato. La Juve gioca una decina di volte tutti i giorni, in formazioni sempre diverse, la finale di Bruxelles.
L' Inter non ha ancora capito che la partita col Real è finita, e ha perso anche con la Roma nonostante che i giallorossi, tutte le sere all' Olimpico (in notturna) accendano la pila elettrica per trovare il punto esatto in cui hanno perso il Verona. Non ingannino i ventiquattro gol. I giocatori soffrono il caldo, per via di quelle sei o sette maglie che hanno addosso. Alzi un lembo della casacca bianconera e vedi viola o nerazzurro, anche se c' è sempre un rettangolino bianco per le girate. E non parliamo dei calzettoni, dove al posto dei parastinchi ci sono libretti di assegni. Se poi, lì per lì, uno ha bisogno di un allenatore, c' è sempre il Bancomat. Meglio cominciare al più presto i festeggiamenti, e andarsene in ferie. Resta il dubbio dei posti Uefa, che sono tre.
Quando diventeranno undici, l' Italia disporrà di una squadra intera da inviare in Europa. Questione di tempo. Già si pensa al torneo che verrà. Molti hanno paura di infilarsi in uno svincolo cieco, ma la Corte Costituzionale, seguendo la normativa della Cee, ha già contattato le principali squadre straniere. Con un miliardo, cifra che ormai da noi non basta nemmeno per un brocco, si possono comprare due o trecento minatori belgi, che entrano in area in profondità come nessuno. O trenta pescatori portoghesi, insostituibili per far abboccare i terzini. E l' ordine ai reparti che sono capaci di dare i ragionieri tedeschi? Ma intanto lode al Verona. Se perderà Fanna, arriverà Shakespeare. Chiampan è già a Stratford on Avon per contattarlo. Con Bagnoli che fa l' Amleto, con Elkjaer che s' è accorto di qualcosa di marcio nel regno di Danimarca, c' è il caso che l' anno prossimo arrivi anche "King" Lear, anziano, ma roba da trenta gol a campionato. Così è, se vi pare.
di MASSIMO BUCCHI
14 maggio 1985
L' ITALIA IN PROVINCIA DI VERONA
TRE SCUDETTI PER IL VENETO TRE scudetti in un giorno per il Veneto. Oltre al Verona, successi del Petrarca Padova nel rugby (18-6 al Benetton Treviso nell' ultimo incontro della poule finale) e della Fiorella Vicenza nel basket femminile (58-54 alla Bata Viterbo nel ritorno dei play-off).
dal nostro inviato GIUSEPPE SMORTO
14 maggio 1985
UN CAMPIONATO TUTTO DA RIFARE
EPICI scrittori poveri di sintassi e di humour, seguiamo questa saga che il puntiglio del Como e dell' Atalanta ritardano nella conclusione. I veronesi rientrano modicamente scornati per il rinvio. Non v' è uno di loro che dubiti, ormai. Ma qualche moralista ritiene che l' attesa renda più intensa la gioia. Ciascuno la vede a suo modo. I temi della vigilia si inviliscono nella delusione. Il buon telecronista di Napoli è costretto ad ammettere che il commercio dei biglietti ha toccato punte eccessive. La perifrasi evita l' argomento più brutale, che si rifà alla svogliatezza dei pedatori di ventura. Sono echi di un' ode petrarchesca iniziata con un risaputo: "Italia mia - benchè ' l parlar sia indarno...". Quanti miliardi erano ripiegati nei parastinchi di quei campioni? Torno torno alla lizza, con il mento sulle transenne, noi non chiedevamo che di applaudire al foresto valore. Pensa la mesta grullaggine!
Come la rilevo in "Domenica sportiva", il fintamente candido Allodi mi domanda con insistenza se certi investimenti sono siano giustificati dall' entità della resa. Allodi è il diplomatico più birba del nostro calcio, così contagiato dai pedatori di ventura. Andrà al Napoli e si troverà al cospetto d' un mostruoso violino solista: intorno a quello dovrà costruire squadra: un portiere, un libero, un centrocampista, almeno un centravanti di sfondamento. Provveda l' ingegner Ferlaino, dopo aver dissolto i fumi dei mostri locali. Il violino solista e il violoncello-dalla-voce-umana, con l' erre moscia ereditata in Francia, si producono in alcune sonatine senza effetto. Il Trapattoni conviene che il risultato sia utile, beato lui. I cronisti mentono quasi tutti. La mente è vòlta alla finale brussellese, che Dio ci assista. Poi vedremo. Rino Marchesi guarda con occhi mesti un paesaggio votato alle sirene.
L' hanno sostituito quando il Napoli andava male: per l' anno prossimo, si capisce. E lui si era già accordato - sulla parola - a Firenze. Poi qualcuno dei suoi antichi eversori interisti è passato dai Pontello e ha deposto l' uovo della malevolenza in quel nido capace e accogliente. Un poema grottesco andrebbe scritto sulle avventure del nostro calcio avventurato. Glissons. La partita più rilevante - per somma di punti - era Sampdoria-Inter. Ha vinto l' Inter, secondo i facili, per la rabbia che le veniva dall' insulto della biglia. Quante amene invenzioni per dar becchime ai polli, desiderosi solo di quello! Alle corte, questo si deve dire: l' Inter non era già ridondante di rabbia ma di vergogna. Il presidente Ernest, persona ammodo (l' ha conosciuto Lerici, ammirandolo molto), ha parlato con singolare freddezza di pedate lecite e no. La Sampdoria ha ritenuto di poter sventare la botta pur essendo priva di Souness, Mannini e Vialli. Si è malamente illusa. Il carisma di Marassi non essendo da poco, ne viene molta gloria all' Inter che l' ha espugnato. Due rigori, un gol propiziato dal sempiterno Marini con un cross da sinistra invitantissimo: contro la norma vibra il sinistro lo sciamannato Altobelli e ne cava un gioiello balistico da abbacinare Bordon. Amen. Parliamo tanto di Uefa, adesso, guardando in basso dal secondo posto.
Qui stava già, gloriosissimo, il Torino. L' Atalanta gli ha procurato uno sgarbo. La cosa più pregevole della partita, un tackle aereo da tergo di Junior ai danni di non so quale prode allievo di Sonetti: ripresa del pallonetto in dribbling aereo: battuta con lo stesso piede sinistro a cercare da fuori la porta di Piotti. Il resto, una serqua di errori tecnici. Il pubblico torinista portato alla rabbia al calor bianco. Incidenti che mi rifiuto di rilevare appartenendo essi alla cronaca nera. Fuggevole visione di due assatanati muniti di bastoni per la scherma giapponese. E gloria sia alla nobile Atalanta, che non si è accontentata di essere salva. Il Verona lascia al Como la più agevole palla-gol: vi si butta Todesco a corna troppo basse e con la volta cranica alza goffamente quel dono di Mueller in cross. Meglio non fare ipotesi su quel che non è avvenuto. Gli storici aborrono da questo vezzo puerile. Però a 22' dalla fine avrebbe sicuramente riparato il Verona. Sentite poi da Briegel oneste sciocchezze sulla stanchezza psicologica. Noeh, caro monumentale Tognino!
La stanchezza è una sola e si denuncia traverso inevitabili torpori del muscolo e del pensiero. Si raggiunge la stanchezza quando si esaurisce l' energia, riposta unicamente nei muscoli: se pensi, ti stanchi da non poter agire secondo vigor muscolare; se compi gesti muscolari, ti stanchi da non poter connettere con il pensiero. Diciamo allora che il Verona è stanco e che ne ha tutto il diritto. Ha giocato sempre ai limiti delle proprie possibilità. Nessuno gli ha mai reso le cose facili se non sottovalutandolo fuori casa: ma proprio il contrare in ampi spazi affatica: e alla fine ci si ritrova, come volgarmente si dice, spompati, cioè vuoti: si è cavato tutto fuori dal deposito della birra, e poco ne rimane per chiudere in decenza. Che il Verona dovesse finire sull' inerzia era quasi scontato. Il vantaggio acquisito era troppo consistente per non costare anche ruggini grevi. Ma proprio ora, che quelle ruggini imperversano, torna utile aver dato tanta ampiezza alla fuga: corrano pure gli inseguitori: non vi sarà più modo di togliere al Verona la meritata vittoria.
E per ironia del destino verrà celebrata anzitempo a Bergamo (così dice la Pizia), dove Bagnoli si produrrà in un poderoso ma lecito catenaccio. Tognino Briegel campeggerà barrendo alle soglie dell' area. Le equidistanze fra i reparti si manterranno cortissime. E occhio a Larsen, paesani, che non abbia a evadere per completare la beffa. Ho assistito a Milan-Ascoli stupendo di sentire che il disarmonico Milan non ha ancor perso la speranza di conquistarsi un posticino in Uefa. Ho sofferto per l' Ascoli, trafitto dopo 25" (diconsi 25" secondo cipollone paterno) da un ampio e avvilente triangolo fra Battistini e Di Bartolomei: ispirazione immediata in Battistini di godere i pochi minuti di autonomia schizzando a smarcarsi in area. Quei tangheri di Costantino Rozzi ancora intenti a prender posto secondo logica di marcature: Battistini solo in area con il tempo di controllare e aggiustar palla sul destro giustiziere.
L' autonomia di Battistini non è ampia (va indubbiamente rigenerato), Wilkins non ha voglia di correre ma è pur sempre il solo a far correre palla. Virdis a segatura travestito da Hateley. Viene steso Hernandez e concesso il rigore dell' 1-1. Poi segna Incocciati di pura forza gluteare schiacciando troppo - di corna - un traversone da destra: la palla rimbalza con violenza e s' infila alta nel sette uccellando amaramente Corti (gran portiere al cospetto di dio). Qui m' illudo che l' Ascoli agguanti ancora il pareggio ma Hernandez, osceno, si trova sulla palla-regalo di Baresi II e la ritarda e sporca ignobilmente. Abbandono con il conturbante ricordo di Rozzi e della sua onesta faccia mentre dalla panchina risponde alle ovazioni degli ascolani. Il calcio veduto e sofferto è da nausea del pedatare: quella che un vecchio e caro tecnico magiaro misurava disseminando di palloni il sentiero dello spogliatoio: se il calciatore resisteva - dopo l' allenamento - alla tentazione di mollare ancora qualche calcio a quei palloni, segno che era stanco fino al disgusto per il gioco: se invece vinceva la tentazione, il delirio giovanile si confermava integro: il giocatore poteva essere più a lungo spremuto...
Ora per l' Ascoli sembra fatta. Salvo l' Avellino, eversore della Lazio, salvo probabilmente il Como quando visiterà l' Avellino. Ma è discorso penoso che tralascio. Maramaldeggia la Roma a Cremona facendo goleada classica (il 5-0). Si spalanca l' Udinese, tanto fiduciosa, sul campo d' una Fiorentina superiore alla sua fama recente. Socrates in tribuna ridà fantasia a Piedon Pecci, che infila Brini da fuori. Tutte le ho ricordate, le partite belle e brutte della XXVIII. Resta da scuotere il capo alle grottesche notizie degli involi perpetrati con astuzia dai massimi campioni della lizza. Maradona vuol bene al Napoli y a su pays: così giocherà giovedì in amichevole e tornerà la sera stessa ad occupare un posto Alitalia. Non lo perderanno a Udine, pensa la fortuna. Passarella, più cinico, spera in una squalifica: va pure isso a Baires ma se la squalifica viene comminata lui non torna. Per il momento i più nostalgici sembrano gli argentini. I brasiliani aspettano giorni migliori. E noi con loro. Che dio li conservi ai nostri sbellicanti deliri.
di GIANNI BRERA
07 maggio 1985
UN ALTRO ESAME PER L' INTER VERONA FARA' FESTA
CLASSIFICA
QUESTA la classifica della serie A a tre giornate dal termine del campionato:
Verona 39
Torino 35
Sampdoria 34
Inter 34
Juventus 33
Milan 31
Roma 30
Napoli 29
Fiorentina 26
Atalanta 26
Udinese 24
Como 22
Avellino 22
Ascoli 20
Lazio 14
Cremonese 13
PROSSIMO TURNO - Ascoli-Cremonese, Atalanta-Verona, Avellino-Como, Fiorentina-Torino, Juventus-Sampdoria, Milan-Lazio, Roma-Inter, Udinese-Napoli.
di GIANNI BRERA
05 maggio 1985
IL VERONA E' NUDO MA GIA' ALLA META IL RESTO E' SAMP
IL VERONA è passato indenne a San Siro, dove l' ha virilmente aggredito il Milan. Ha trascorso alcuni minuti in preda a legittima confusione: giuste erano infatti le marcature prescritte da Bagnoli ma troppo grande divario correva fra gli stacchi di Hateley e quelli più moderati dei difensori di Garella. Volpati perdeva il confronto e stentava a trovare le misure. Poi ha rimediato in virtù della sua bravura, che consta di intelligenza e coraggio. Volpati sta allo scudetto del Verona ' 85 come Pinna d' oro Marini allo scudetto dell' Inter ' 80.
E' uno di cui si sarebbe dovuto accorgere Bearzot a dispetto degli anni. Hateley ha sgomentato tutti all' avvio ma poi Volpati e Garella si sono mirabilmente accordati sui tempi: quando il lancio milanista cercava in aria l' impetuoso giovinotto inglese, Volpati dava il via all' uscita: Garella, che non è un mostro di stile, ma sì d' intuito, usciva a smanacciare palla e lo stacco di Hateley veniva perpetrato invano. Ho letto accuse al Milan e a Lidas per la monotonia d' uno schema ripetuto fino al dispetto: il lancio a spiovere o il lancio teso (effettuato due volte). E
che altro avrebbe potuto il Milan? Ci ha quel ragazzo acrobata e Virdis, che è pure bravo in alto ma soprattutto colpisce bene la palla se può muoversi al suo ritmo, che è molto blando. I due soli lanci tesi effettuati per Hateley hanno portato a gran rischio la porta del Verona: sul primo, una punizione diagonale di Wilkins da destra, lo stacco dell' inglese ha mortificato Volpati ed ha rischiato di far fesso Garella: il portierone si è messo in volo al suo modo sbirolento e ha schiaffeggiato palla fino a deviarla sul secondo palo (rispetto ad Hateley). Intanto è ricaduto e, mentre bocconi mordeva la terra, si è accorto che il palo gli aveva graziosamente restituito il passaggio.
Questo episodio ha avuto luogo al 3' ed ha indotto i veronesi ad affrettare i tempi per le giuste contrarie. Il Milan ha seguitato a dar di capa nella difesa avversaria e non ha mai tentato conclusioni con palla a terra. Il Verona reggeva a stento. Gli mancava Briegel; gli mancava Fontolan, che è il solo reputato acrobata davanti a Garella. L' assenza di Briegel era crudele. Fanna ovviava all' inconveniente prodigandosi in progressivi stordenti. Era magnifico a vedersi, l' azzurro, nei recuperi e negli spunti veloci. Poi s' è stancato e alla ripresa ha meritato la comprensione dei giusti. Non ha brillato nemmeno Di Gennaro, al quale mancavano Briegel e Volpati sui fianchi.
Il suo merito grande è non voler strafare. Per solito i registi deputati si ritengono in dovere di mostrarsi tali assumendo iniziative non indispensabili e sempre pericolose. Benchè io tema di sfiorare l' eufemismo, ripeto che il merito principale di Di Gennaro è questa sua perfetta coscienza di essere modesto. Sopraffatto in centro campo, il Verona non è mai riuscito a smarcare con decenza le sue punte, fra le quali nessuno ha brillato ma molto meno Larsen di Galderisi. Quando il Milan ha un poco mollato i pappafichi, si è avuta l' impressione che il calcio "italiano" del Verona dovesse ricevere un premio superiore alle sue stesse speranze. Purtroppo era scaduto Fanna sul piano dinamico e tonico; Larsen è stato arronzato duramente da Tassotti, Galderisi è rimasto solo a battersi e dibattersi davanti a Terraneo: il colpo a sorpresa non ha avuto luogo. E' bastato al Verona partirsene indenne da San Siro e come sempre Bagnoli è stato scaltro e saggio nel commentare l' indubbia prodezza dei suoi: "Come non mi sono atterrito domenica scorsa con il Torino, che ci ha battuti, così non mi esalto adesso che il Milan non è riuscito a fare altrettanto". Si è poi abbandonato Bagnoli a un patetico rimpianto: di non riuscire mai a spuntarla sotto gli spalti della sua città. Ma era piuttosto un messaggio d' amore per Milano e tutti se ne sono accorti.
Con la squadra che si ritrovava, Bagnoli avrebbe fatto carte false per un pareggio: ha fatto quello, molto meritorio, e non le carte false. Dire che il Verona appare stanco significa portare i sempiterni vasi a Samo e le sempiterne civette ad Atene. Non è una scoperta conturbante: è solo una constatazione ovvia. Il Verona è in testa dal via: ha provato a staccare le grandi tradizionali di ben sei punti: segno che ha sempre tirato con molta gagliardia, pagando il giusto. Il solo rischio è ora che si rilassi un tantino troppo. Per sua fortuna riceverà la Lazio, che può battere di goleada. Briegel ruggirà davanti al portiere laziale, che appartiene soltanto agli orsi. Briegel sa essere leone e rinoceronte. Il riposo l' avrà sicuramente ritemprato: e in casa riprenderà spirito maramaldo anche Larsen, che balla un tantino nel manico rispetto agli europei dell' estate scorsa. Da come finirà il Verona si potranno indurre i comportamenti futuri: uno scudetto costa sempre molto: nè il Verona è tale complesso da sovrastare le avversarie di troppi palmi. L' anno che segue risulta sempre critico. "Pepper preppresunzione", insinuava Gipo Viani.
Per logico logorio psicofisico, dico io in tutta modestia. Ora stiamo a vedere come conclude Bagnoli, nella sua mirabile compostezza. Alle sue spalle corrono a falcate più o meno distese la Sampdoria e il Torino. Dicono le cronache torinesi che i granata non hanno proprio incantato con l' Avellino, privo di Barbadillo, suo più alto ingegno. Però sono tornati a segnare Serena e Schachner, e già la fantasia dei tifosi rispolvera il vezzo epico di chiamarli "gemelli del gol". All' Olimpico è stata mattata la Lazio da una Sampdoria agile e fortunata: due gol di Scanziani (uno reso un po' tanto fasullo dalla schiena di Salsano in fuori gioco) e un gol podistico di Vierchovod, che ha concluso una lunga agevole fuga con un destraccio beffardamente preciso a fil di palo. Ho visto la faccia del farmacista Scanziani, mio paìs di Brianza: ansimava per il gran correre: la fatica gli aveva deformato i lineamenti. Mi sono ricordato del nostro pazzo clima, del sole di primavera, delle sciroccate primaverili che in Liguria guastano il vino nuovo e il sangue degli uomini. Ho concluso che la bravura di Bersellini debba considerarsi esemplare.
La Juventus ha giocato una mezz' ora sotto gli occhi distaccati e alteri di Michel Platini: Tardelli ha fatto centro da fuori battendo un tocco di punizione. Poi ci ha dato dentro l' Ascoli e Costantino Rozzi ha potuto concludere alla fine che l' Ascoli si salverà. Il riposo ascolano gioverà anche alla Juventus, tenuta alla lunga trasferta di Bordeaux. Pretendere che si sfiancasse per maltrattare l' Ascoli era ingenuo più ancora che malignazzo. Ricorderà il lettore che quest' accademia era prevista per la Juventus e che per il Napoli era addirittura preventivato un momento epico. In effetti l' Inter ha lottato fino al momento in cui l' arbitro le ha annullato un gol buono di Cucchi. L' arbitro guardava allo stesso out dal quale un segnalinee aveva salvato il Verona fermando Caffarelli. Maradona ha dato spettacolo e Bertoni ha segnato la metà di quanto avrebbe dovuto (sissignori). Vistosi parare da Zenga un diabolico tiro, Maradona ha applaudito e poi fatto capovolta infantile, bellissima: quella che chiamavo capriola prima di passare per la scuola paracadutisti.
Bene. Ho ancora poco da dire e molto in fretta perchè sto per correre all' aeroporto e involarmi con l' Inter per Madrid. Ho visto Righetti entrare su Zico e sono anch' io del parere che Casarin avrebbe dovuto espellerlo. Dice Edinho che Casarin, bonario socialista, gli avrebbe confidato di non poter espellere uno al primo fallo: ma se quello è voluto, e appare per giunta delinquenziale, non si vede perchè un arbitro non dovrebbe procedere all' immediata espulsione! Perso Zico, l' Udinese ha perso anche la bussola ed ha ceduto malamente a gloria della Roma. Casarin è candidato al Consiglio Comunale nelle liste socialiste di Milano. Poichè lo conosco galantuomo, gli farò onesta propaganda.
di GIANNI BRERA
23 aprile 1985 sez.
MA QUANTO VALGONO QUATTRO PUNTI DI SOLITUDINE?
IN REALTA' AD INSEGUIRE SONO SOLO DUE DA PIU' sei a più quattro, cinque giornate alla fine, quattro squadre alle spalle. Sono tutti i numeri del Verona. Una sconfitta, la seconda di tutto il campionato, non basta per considerarlo in crisi ma può servire per compilar tabelle e non chiudere il campionato con un mese di anticipo. Lo scudetto, dice la matematica, è a quota 43. Per arrivarci, il Verona deve fare sette punti, che non son pochi. Milan e Atalanta fuori, Lazio, Avellino e Como in casa.
Al Bentegodi, il Verona ha perso sei punti: due col Torino, uno con Milan, Sampdoria, Inter ed Atalanta. Quindi, tolte le prime sei, con le altre solo una volta ha fallito il colpo, complice anche una "papera" di Garella, una delle poche. Bagnoli ha detto che gli basta un punto a Milano per considerarsi al sicuro. Si può prevedere la sua tabella, se ne ha una: pareggio a S. Siro, due punti con la Lazio, quattro nelle ultime tre partite (l' Atalanta alla penultima giornata e l' Avellino all' ultima, oltretutto, potrebbe essere già al sicuro). Tutto questo, comunque, si basa su un' ipotesi: che una delle inseguitrici faccia dieci punti.
Cinque vittorie su cinque, non è impossibile. Ma gli scontri diretti escludono, comunque, che a 42 arrivino tutte e quattro. Il Torino (che sta anche meglio di tutti negli scontri diretti; ma questi valgono per i posti-Uefa, non per lo scudetto) ha un calendario "libero"; Inter e Juve devono affrontare la Samp, la prima fuori, la seconda in casa. Quindi, almeno una fra Inter, Juve e Samp non potrà comunque arrivare a 42. E basta un solo pareggio per eliminarne due.
Il Torino, inoltre, deve giocare tre incontri in casa, uno in più di Juve, Inter e Samp. Un solo piccolo svantaggio: mentre le altre tre affronteranno una delle squadre già retrocesse (Lazio e Cremonese), il Torino troverà Avellino, Como ed Atalanta, prima di trovare nelle ultime due giornate Fiorentina e Roma, che al campionato non hanno più nulla da chiedere.
Tre trasferte sul cammino della Juve (Ascoli, Napoli, Lazio), dell' Inter (Napoli, Sampdoria, Roma) e della Sampdoria (Lazio, Avellino, Juventus) possono invece incidere su cammini, tabelle e quote presunte. In pratica lo scudetto si potrebbe vincere anche con 41 punti: all' Inter bastarono nel 1979-80 (la quota più bassa del dopoguerra), saranno sufficienti anche per il Verona?
16 aprile 1985
'UNA SOLA CERTEZZA: NON SONO UN BLUFF'
TUTTO IL VERONA VOTO PER VOTO QUESTA la media rendimento dei giocatori del Verona utilizzati quest' anno in campionato da Bagnoli: Garella 6,8 Volpati 6,5 Marangon 6,3 Tricella 6,6 Ferroni 6,3 Briegel 6,6 Fanna 6,5 Bruni 6,2 Galderisi 6,3 Di Gennaro 6,5 Elkjaer 6,2 Fontolan 6,3 Turchetta 6,0 Sacchetti 6,3 Donà 5,5 Marangon II 6,0
Tutti i giocatori hanno un rendimento superiore alla sufficienza, tranne Donà che comunque ha disputato una sola partita da titolare. Migliore di tutti Claudio Garella; subito dietro di lui Tricella e Briegel. Il portiere ed il libero della squadra gialloblu, insieme a Volpati, hanno giocato tutte le partite di campionato.
dal nostro inviato GIANNI MURA
26 marzo 1985
VERONA INCANTA MILANO SVENTOLA BANDIERA BIANCA
"IO TRIUMPHE!", caro vecchio Verona; "Io triumphe!", compaesano Bagnoli della Bovisa. Questo modo di inneggiare al trionfo, sicuramente falsato sul piano grafico, deve rifarsi allo "iii-uffuh!" dei coscritti padani e slavi. Da parecchio andavamo preparando la laringe a questo sforzo di tutta gola: se non si è gridato prima, si è per onorare scaramanzia: pensa te la scalogna, se troppo presto e invano inneggi a uno che non ha vinto ancora! Dunque adesso vociamo tranquilli. Il Verona ha 5 di vantaggio anche in classifica, non solo in media inglese. Tutto questo a sette giornate dalla fine. Per male che gli vada, finirà sull' inerzia, o forza di proiezione: e le avversarie gli ringhieranno nel coppino, come cani vanamente lanciati all' inseguimento. Nelle storie della pedata italica si scriverà che questo è stato l' anno del Verona. A parte l' orgoglio di averlo previsto tecnomanticamente, c' è anche la soddisfazione di veder premiati i migliori, che non è poco per un vecchio onesto diacono di questa chiesa.
Le laudi del Verona sono state spese finora con molta e circospetta parsimonia. Quello che rimane è tutto raccolto nella cronistoria del campionato: a tempo debito verranno lanciati gli squilli, e forse non terranno conto dei doni che di volta in volta sono stati prodigati dagli avversari. Domenica, celebrandosi la XXIII, il dono della Juventus e dell' Inter è stato definitivo. Questo e non altro esigeva la dialettica del campionato, ma per onestà critica va sottolineato l' atteggiamento ingenuo dell' Inter, che dopo il miracolo di Colonia ne avrebbe preteso un altro a Torino. Infatti, ha cercato di vincere e, segnato un bel gol di fortuna (tre juventini uccellati da un inaspettato e incongruo sinistro di Altobelli), ha insistito per farne altri, concedendo il contropiede agli ospiti avvelenati. Non sembra credibile: eppure è vero.
Il fortunato episodio di Colonia (determinato da Ferri e da Castagner, che tolse fuori Causio dando subito un senso alla difesa con Bini) deve avere illuso qualcuno. I canoni del calcio all' italiana sono stati malamente ribaltati: perfino Platini, che ha assistito con occhio lucido alla vicenda, ha intuito criticamente che l' Inter è andata contro logica fino al dispetto. I sentimentali possono pure piangere sullo schioccante palo di Marini (non adjuvante fortuna come a Colonia): la realtà è che Boniek è giunto tutto solo a uccellare Zenga: e che tre scambi in spazi larghissimi sono stati effettuati per liberare Briaschi al terzo gol.
Si dice pure che la Juventus ha vendicato il 4-0 dell' andata e questo è bene. I campioni rientravano da Praga, dove non erano andati oltre il normale lavoro di contenimento; i nerazzurri avevano acquisito gloria in Renania: secondo l' antica rivalità era giusto prodigarsi: ma il sospetto è che abbia fatto tutto l' Inter, compreso il vezzoso harahiri finale. Ora il malrisultato gioverà a Castagner, purchè abbia a meditare sul grossolano errore commesso per presunzione. La Juventus andava invitata a rovesciare il modulo di Praga: invece le si è dato modo di rinnovarlo, con il comodo in sovrappiù d' un terreno favorevole, e sgombro, in casa sua. Naturalmente, bisognerà guardarsi adesso dal ricevere abbagli: che non s' illuda anche la Juventus per aver mortificato l' Inter: a pensarci, non è stata una battaglia difficile: davanti al Trap si è sbudellato con molto candore Castagner. Più che la Juve, il Verona deve ringraziare l' Inter. E che poi debba è anche abbastanza dubbio.
A pensarci, il Verona non deve ringraziare che i suoi, dai dirigenti (bravi e per niente sbruffoni a dispetto dei miliardi) al pubblico, dai tecnici ai giocatori. Personalmente sono rimasto a San Siro per godermi il Milan (ehm ehm) e il Torino. La partita è andata come previsto su queste colonne. Il Milan ha tentato di sfondare nel primo tempo ma l' ha fatto con singolare lentezza, applicando schemi di accorante monotonia. Nei primi istanti Hateley è stato accreditato d' un fallo sul suo marcatore (gomito alto nello stacco a rifinire): Virdis ha sparato una botta destra terrificante, che Martina ha respinto a pugni uniti: quando Virdis ha ripreso con l' altro piede, il sinistro, Lo Bello jr. aveva già fischiato. I fratelli cacciaviti hanno fatto un chiasso che per eufemismo definirò appassionato, parlando di annullamento in realtà non perpetrato affatto. L' azione era stata arrestata prima. Su questo schema (diagonale o cross da un' estrema a spiovere in area) si è ripetuto fino alla noia il gioco milanista. Compare Lidas ha parlato di terreno impossibile, di una vendetta del gelo ancor operante in profondità; altri divertenti amici, di pallone leggero, come se per l' occasione si fosse comprato in un negozio di giocattoli mal rifornito. Penso che abbiano mentito tutti.
La verità è che il Milan non ha mai costruito un' azione profonda a ritmo almeno decente: che tutti i suoi schemi si sono svolti con lente aperture laterali verso gli outs, con eventuali triangoli supplementari e, alla fine, con il noioso risaputissimo cross, o diagonale o lancio a spiovere. E mentre all' inizio Hateley aveva potuto rifinire per Virdis, poi non ce l' ha più fatta. Il Torino ha tenuto botta e, alla ripresa, ha atteso di vibrare la zampata in contropiede. Ho contato tre palle gol dalle parti di Terraneo, senza quelle che sono venute meno per un niente (un appoggio sbagliato di Dossena, un triangolo troppo astuto di Junior). Schachner ha sbagliato il primo invito al gol ma non il secondo: e l' ha molto facilitato non avere addosso un guardiano stabile (ah, la zona!). La differenza fra Milan e Torino è apparsa abissale per gli stessi motivi tattici di Juventus-Inter. Il contropiede ha premiato più logicamente il Torino, che ha saputo bloccarsi a difesa avendo in Junior il proprio deus ex-machina. Junior verticalizzava ogni tema; Wilkins ragionava in termini contrari: e apriva sull' out. Avrò contato una dozzina di suoi passaggi a Tassotti, che poi - telefonando - scalciava a spiovere sull' area. Dall' altra parte, a sinistra, idem con Evani, se non altro più efficace perchè più teso nei lanci. Il Torino ha avuto occasioni anche nel primo tempo, tuttavia più labili, perchè fondate sull' incerto e lento evoluire di Serena. Il migliore dei torinisti è stato Junior, grande regista secondo i canoni del W o metodo, quando il perno della squadra era il centromediano. Grandi prestazioni hanno fornito Martina e Galbiati. Un po' avvilito dalla condizione Dossena, il quale tuttavia si muove sempre nel segno dell' intelligenza.
Nel Milan, secondo Farina, avrebbero battuto la fiacca gli inglesi, impegnati mercoledì con la propria nazionale. Penosa impressione hanno destato anche Battistini e Di Bartolomei. Un po' troppo sulle sue è stato Baresi II. Poco servito Virdis. Hateley ha avuto uno spunto notevole nel secondo tempo, allorchè si è lanciato fra due, eludendone il tackle, ed ha battuto il destro con molto vigore: Martina a pugni uniti ha sventato la folgore. Poi, un paletto basso di Di Bartolomei su punizione dal limite: la palla è rimbalzata come un cippirimerlo fra le mani dell' esterrefatto Martina. A cagione di questo palo ho sentito e letto che il Milan avrebbe meritato il pari. Ma quanto aveva sprecato il Torino prima di mandare Schachner in gol? Adesso il Torino è pari con l' Inter a 5 punti 5 dal Verona, al quale il Torino deve render visita. Molto semplicisticamente, gli ottimisti per adore sostengono che il Verona potrebbe lasciarci le cuoia a Marassi e poi ancora con il superlativo Torino, rimettendo un po' tutti in corsa. La teoria aritmetica incoraggia quegli ottimisti.
Nel calcio, l' aritmetica è un' opinione. Quando toccasse alla Samp e al Torino di fare quanto ha voluto l' Inter con la Juve e ha dovuto il Milan a San Siro, forse che il Verona rinuncerebbe alle invitanti lusinghe del contropiede? E non sarebbero Larsen e Nanu Galderisi anche un po' più bravi di Schachner e Serena, non sarebbe Osvaldo Bagnoli - a Marassi e Verona - un po' più realista di Ilario Castaner a Torino? Ho speso tutto lo spazio per le partite considerate più importanti secondo classifica. Adesso avrei tanta voglia di rimandar il lettore alle ovvie considerazioni sulle quote del Totocalcio. Sono impennate di colpo e la spiegazione è piuttosto facile. L' Udinese vittoriosa a Bergamo fa scandalo per il modo, non per la sostanza: il modo si rifà alla incredibile papera di Piotti su punizione viziosa di Edinho. Il Napoli vittorioso ad Avellino fa tristezza per gli amici di Angelillo (quorum ego): però che bello se tutti i cacaminuzzoli un tempo avversi a Rino Marchesi ricordassero adesso di dovergli giustizia. Il Napoli è nell' ottetto degli aristocratici: e rimarrà solo ottavo per poco. Le geremiadi gemute sulla Fiorentina erano dettate sabato da un' intima voce, fastidiosa fin che si vuole, però ispirata alla realtà. Ora l' Ascoli sembra lanciato a un fervido serrate. In difficoltà il Como, l' Avellino l' Atalanta, l' Udinese, la stessa Fiorentina, se ha un senso il sarcasmo criollo di Passarella. Resta la chiusa per una grande che a Como ha fatto come e forse meglio di tante altre, la simpaticissima Samp. I soliti micchi l' hanno deplorata per la sterilità dell' attacco. Nessuno che abbia sentito la necessità di lodare la difesa del Como.
di GIANNI BRERA
26 marzo 1985
E LA COPPA LASCIA UNA ROMA A PEZZI 'SIAMO FUORI FASE'
MA ANCHE LA JUVE HA TREMATO CON IL CAMPOBASSO BARI - La Fiorentina ha vinto a Bari con un gol segnato al 39 di testa da Pellegrini su cross di Massaro. Partita abbastanza equilibrata e tutto sommato non bella. Nella Fiorentina mancavano, tra gli altri, Passarella e Socrates. Al 65' il Bari ha preso un palo su tiro di Galluzzo, ed il centravanti Roselli ha sbagliato numerose occasioni che avrebbero potuto portare i pugliesi in vantaggio. CAGLIARI - Uno 0-0 è stato sufficiente al Torino (privo di molti titolari, tra cui Junior e Schachner) per eliminare il Cagliari dalla Coppa Italia. La squadra di Ulivieri ha sfiorato il gol nei primi minuti colpendo un palo con De Rosa. Nel Torino Pileggi e Serena hanno fallito molte occasioni da gol. All' 82' Sclosa si è visto rinviare sulla linea da Lamagni un pallone praticamente già in rete.
MILANO - Solo un gol dell' Inter contro l' Empoli. La squadra di Castagner ha stentato molto contro i toscani. Zenga è stato il migliore in campo: i tiri di Calonaci e Salvadori lo hanno impegnato in più di una occasione. Al 45' il gol di Altobelli, dopo un' azione avviata da Brady e cross di Causio dalla destra. Deludente la prestazione di Rummenigge che ha sbagliato molte azioni davanti alla porta avversaria.
TORINO - Dopo la paura, quattro gol della Juve al Campobasso. La squadra molisana era passata addirittura in vantaggio al 15' con Perrone. Ottima la prestazione di Platini, che ha segnato al 22' dopo uno scambio con Rossi. Il francese ha anche favorito al 35' il gol di Brio con cui la Juve è passata in vantaggio. Le altre due reti di Briaschi (55' ) e di Vignola (71' ). All' 86' Tacchi ha sbagliato un rigore.
NAPOLI - Il Milan ha eliminato il Napoli. La squadra di Liedholm ha passato il turno in virtù del pareggio ottenuto al San Paolo (1-1) e della vittoria per 2-1 ottenuta all' andata. Il gioco di Maradona ha un po' deluso, il Milan si è comportato molto bene in difesa e a centrocampo. Il Milan è passato in vantaggio al 46' con Battistini; il Napoli ha pareggiato al 78' con Caffarelli. Proteste per un fallo di mani in area di Galli (57' ).
ROMA - Il Parma passa il turno a sorpresa: con un pareggio all' Olimpico (1-1) ha eliminato la Roma priva di Tancredi, Nela, Righetti, Buriani, Giannini, Pruzzo e Falcao. La squadra di Eriksson e Clagluna è andata in vantaggio al 28' con Iorio. Il Parma ha pareggiato al 58' con Marocchi. Solo settemila spettatori: alla fine fischi ed insulti per la squadra giallorossa.
GENOVA - Una Sampdoria tutta italiana (Francis e Souness erano convocati nelle rispettive nazionali) non ha avuto problemi contro un Pisa nettamente sottotono (2-0). La squadra di Bersellini ha schiacciato i nerazzurri in area. Al 23' Pari, liberato in area da un assist di Salsano, ha portato la Samp in vantaggio. Il secondo gol è stato segnato da Beccalossi (61' ) dopo un contropiede di Renica.
VERONA - Due gol di Di Gennaro portano il Verona nei quarti di finale di Coppa Italia. Una partita molto interessante, tirata dal punto di vista agonistico. Al 70' Di Gennaro ha segnato il primo gol riprendendo con un forte rasoterra una respinta della difesa genoana. Sette minuti dopo il raddoppio su passaggio di Terracciano. Al 32' il genoano Mileti è stato espulso per fallo su Fanna.
di MASSIMO LO JACONO
01 marzo 1985
SE IL VERONA FACESSE TANTO RUMORE PER TUTTO?
VERONA - Per capire il rapporto città-squadra, può bastare un dettaglio. Dopo l' esaltante (ma, come vedremo, molto ridimensionata dai vincitori) cinquina di Udine, a vedere l' allenamento del lunedì ci sono sei tifosi e otto giornalisti. Che Bagnoli, silenzioso a Udine, intrattiene con garbo e voglia di parlare. "Sul 3-3 ho pensato che potevamo anche perdere. Sapete, io in panchina parlo molto con Ciccio Mascetti, il nostro ds. Lui è stato centrocampista come me, il che significa che noi vediamo il calcio da centrocampisti. E vedendo i nostri andare avanti in sei o sette, sul 3-0 per noi, ci guardavamo un po' perplessi. Si vede che han voglia di giocare, dicevamo, ma si potrebbe anche stare più abbottonati.
No, non sto dando la colpa alla difesa, due gol dell' Udinese sono venuti da calci di punizione. E' che siamo una squadra così, che non riesce ad amministrare il risultato ma deve imporlo". E adesso c' è la caccia al biglietto per la partita dell' anno, gli dicono. E lui: "Ma quale partita dell' anno, se pareggiamo con l' Inter diventa partita dell' anno quella di Torino... Sapete qual è il bello della classifica? Che possiamo fare a meno, noi, di guardare la classifica. E che andiamo avanti con le partite del giorno, o della settimana, fate voi. Allora, parlo di Verona-Inter, è chiaro che se vinciamo noi è meglio, ma se anche perdiamo, pace, continuiamo ad avere miglior calendario rispetto all' Inter".
Lo trovo in ottima forma, il Bagnoli della Bovisa. E gli dico che, nove volte su dieci, se un tecnico della Bovisa ne incontra uno brasiliano, vince. Alludo alla disposizione tattica (suicida, al di là dei meriti veronesi) dell' Udinese. Ma Bagnoli non raccoglie, sta ancora parlando dell' Inter. "Bella difesa, era già la migliore l' anno scorso, e due punte eccellenti. Forse noi siamo più squadra, ma questo non significa un bel cavolo. Infatti l' Italia ha vinto il mundial, dove la squadra migliore era il Brasile".
Elkjaer torna con due gol, Briegel ne segna due: quanto ha inciso, in punti persi, l' assenza del danese? "Zero, è un discorso che non posso accettare, senza Preben abbiamo vinto a Torino e a Roma, abbiamo pareggiato a Como, dove nessuno ha vinto, quindi vuol dire che abbiamo saputo cavarcela anche senza di lui. Se c' è, è meglio, per come si integra con Galderisi. Quanto a Briegel, è da settembre che dico che non è solo un decathleta, è un signor giocatore che, se ti fai vedere, ti dà la palla a 40 metri". Non sarebbe suggestivo fargli marcare Rummenigge? "Suggestivo per voi, magari, mica per me. A me Briegel serve in un' altra zona del campo. Sulle punte interiste giocheranno Volpati e Fontolan, non ho fretta di decidere gli accoppiamenti". C
oppa Italia, Genoa-Verona: è un fastidio, una formalità o che? "E' una partita che giocheremo con la squadra migliore, ovviamente senza Fanna e Ferroni. Penso che darò un po' di passerella a Spuri, il nostro "12". Ci casca bene, Genova, perchè fino a giovedì non penseremo all' Inter. Unica preoccupazione, poichè si gioca in notturna, quando gli infortuni sono più frequenti, è che qualcuno si faccia male, ma è un discorso che vale per tutti". Bagnoli resterà al Verona: non c' è ancora il nero su bianco con Chiampan, ma un accordo di massima. E il Verona è forte e calmo. Sul piano della manovra, su un campo decente, è tornato a giocare a memoria, sul piano nervoso i tre punti di vantaggio sull' Inter, in media inglese, sono come valeriana.
Ridacchia Volpati: "Venite a chiedere a noi se siamo tesi? Ma piuttosto io chiedo a voi se avete visto Bergomi in tv: se noi siamo tesi, loro cosa sono?". Eh già. Mi apparto con Tricella, il giovin signore che fa il capitano, libero con un gran senso del tempo e forse uomo-guida di una squadra che è difficile spiegare a chi non la vede sul campo. Dico forse perchè il Verona è una squadra senza dipendenze interne, una squadra-squadra in cui si fabbrica gioco grazie al movimento collettivo e non all' estro di un singolo.
Chiedo a Tricella com' è il polso della squadra. "Temperatura normale, anche perchè avete visto com' è normale intorno a noi. L' unica volta che abbiamo trovato un po' di gente ad aspettarci per strada, è stato dopo Belgrado. Ci rendiamo conto di essere primi in classifica la domenica, con 40 mila persone allo stadio per partite che, in altre condizioni, ne vedrebbero 10 mila al massimo. Se c' è una cosa che può limare i nervi, è la paura di non farcela, e noi non l' abbiamo. Per molti di noi, è un' occasione più unica che rara. Abbiamo più esperienza, diciamo che siamo maturati grazie anche a qualche fregatura, a qualche cedimento. Abbiamo coscienza che vincere o perdere lo scudetto dipende quasi esclusivamente da noi, ed è una cosa importante questa. Se si continua a giocare come abbiamo dimostrato di saper fare, lo scudetto è nostro".
Non c' è una mentalità troppo aperta, in campo? "Non ho difficoltà ad ammetterlo, è la verità. A Udine, sul 3-0, sono andato a fare il quarto gol, poi annullato dall' arbitro. E al 44' Elkjaer, palla nostra in attacco, ha cercato il gol, ha perso palla, contro piede loro, Zico atterrato, punizione di Edinho, gol. Sono dettagli, ma certo dobbiamo starci più attenti e magari non arrossire se c' è da sbattere il pallone in tribuna. E' strano, perchè se usciamo sempre in disimpegno manovrato significa che sappiamo toccar palla, ma siamo negati alla melina, alla difesa a oltranza, al rifiuto del gioco. E' un limite o un pregio? Non so, so che una squadra nasce dalle idee del suo allenatore e la nostra è tutta costruita in funzione del centrocampo. Dove abbiamo la fortuna di aver ritrovato Sacchetti e di avere un ragazzo, Bruni, di cui si parla poco, ma bravissimo". La chiusura a Volpati, uno che, oltre a leggere i giornali, sa come leggerli: "Quanto chiasso per questo 5-3! In campo avrò toccato cinque palloni, mi sembrava d' essere alla tv a vedere una partita del campionato tedesco. A San Siro avevamo giocato meglio, ma era finita 0-0 e così nessuno se n' era accorto...".
dal nostro inviato GIANNI MURA
12 febbraio 1985
LA NOTTE DEL SOR LORENZO
FOLLE BANDERUOLA, il campionato è tornato a frequentare la media inglese. E il Verona è rimasto solo un' altra volta. Tutti a dire: "E' finito, è finito", e invece gli scaligeri s' inguattano i pezzi sotto il bancone per tirarli fuori al momento opportuno. Gli altri, dignitosi comprimari, inseguono. Ad Ascoli, anime candide, contavano sulla Lazio. Al quarto gol hanno smesso di contare anche loro, visto che quello che succedeva al Bentegodi li stava riguardando solo fino a un certo punto. La partita è stata correttissima, a parte i calci che dava Bagnoli a Garella ogni volta che si azzardava a toccare palla. Ma questa ormai è semplice routine.
L' Inter si è trovata in difficoltà ad Avellino. Prima non è ben riuscita a individuare i guadi che portavano nella metà campo avversaria, poi è stata turbata dall' arrivo dei lupi famelici scesi a valle dalla caserma dei carabinieri, dove risiedono di solito. Infine l' imbarazzante presenza della squadra avversaria, che ha perfino cercato di fermare Rummenigge: se succederà sempre così, lo scudetto è in dubbio. Ma gli arbitri, non hanno nulla da dire? Toro-Cremonese e Samp-Napoli sono state partite classiche, quelle cioè nelle quali le squadre si vedono. Non così Atalanta-Juventus, della quale, come della battaglia di Stalingrado, non esistono che due o tre sequenze filmate.
Per il resto ci si deve affidare alla tradizione orale, alla memoria dei protagonisti. L' arbitro Casarin, nella nebbia con la maglia rossa per facilitare i soccorritori, ha poi dovuto indossare un caschetto con luci intermittenti. La partita è stata comunque ricca di emozioni. Boniek ha segnato due reti che sono state annullate perchè le aveva fatte dal retro. Platini ha suscitato entusiasmo in tribuna, quelle tre o quattro volte che ne ha salito i gradini, palla al piede, perchè credeva di sentire la voce di Briaschi.
Tamponamenti in serie tra la folla. Coi lariani la Roma ha dimostrato il suo carattere, e soprattutto la sua adattabilità a un gioco che col calcio non aveva nulla a che vedere, ma che ci piacerebbe veder importato in Italia. Eriksson ha finalmente capito com' è fatto il nodoso ramo del lago di Como. Capìta invece da Valcareggi l' importanza degli inglesi, dopo il gol di Hateley. L' anno prossimo pare che Socrates verrà scambiato con David Copperfield, quello che fa buone azioni nel Chelsea.
Sul fronte salvezza (si fa per dire) abbiamo già accennato alla Lazio, reduce da un mese di ferie B con cinque sconfitte consecutive, battuta da una squadra in cui negli anni ' 30 giocava anche Zico. Peccato per Lorenzo, profondo conoscitore del gioco danubiano, e per Chinaglia, profondo conoscitore di Lorenzo. Siamo nel cosmos più completo. Ora c' è la sosta. Poi, chissà, la cunetta o l' attraversamento di animali con la maglia numero nove. Certo è che, alla ripresa, molte panchine avranno accanto la colonnina di soccorso.
di MASSIMO BUCCHI
29 gennaio 1985
BAGNOLI, SOCRATES E TROPPE PAROLE
LA PRIMA giornata di ritorno suggerisce alcuni spunti di riflessione:
1) C' è una gran voglia di Restaurazione. Bagnoli accusa chiaramente i disagi di chi non è abituato ad essere ogni giorno un uomo da prima pagina. Sorride meno, s' arrabbia di più, soprattutto prende tutto sul serio e per provocatorio. Il suo duetto di domenica alla radio con Ameri è stato molto indicativo. Per difendere il Verona ha soffocato Garella, "portiere che non tiene una palla". Nel suo piccolo bagno di vittimismo Bagnoli ha detto però una cosa profondamente giusta. "Ora l' Italia almeno sarà contenta". Di sicuro c' era una gran voglia di vedere il Verona in difficoltà. Una specie si ansia perversa che confortasse i milioni di sussurri secondo cui da sempre un giorno o l' altro doveva accadere. Il Verona che in qualche modo cade dà di colpo ragione a tutto un popolo di commissari tecnici domenicali e soprattutto regala al campionato le sicurezze perdute.
Torna l' Inter, torna la Roma, capisaldi storici, radici fedeli lontano dal cui solco tutto è solo avventura. E' tanta l' ansia di restaurazione che si vuole ad ogni costo vedere di nuovo in corsa anche la Juventus. Si dice che in fondo può essere solo a 4 punti, che i gironi di ritorno sprint sono la sua specialità, che la stoffa è quella di sempre, cioè di enorme garanzia. Se però andate a guardare le cifre scoprirete che nelle ultime cinque domeniche la Juve ha fatto sette punti pur giocando tre volte in casa contro squadre di bassa classifica. Cioè addirittura un punto sotto media. Per contro il Verona (complimenti al computer) ha giocato cinque volte su sette in trasferta realizzando complessivamente otto punti, cioè sempre (e appena) un punto sotto media. Il vero punto perso dal Verona in questo suo tunnel apparente è quello interno con l' Atalanta, partita che a quattro minuti dal termine aveva vinto. E punto che comunque anche Roma e Inter domenica scorsa avevano "teoricamente" perduto.
2) Facciamo pure salva la buona fede di tutti, certo è che è stata una domenica disastrosa per gli arbitri. Proprio a Napoli gol regolare negato a Caffarelli; poi un rigore netto non dato al Verona (fallo di Marino su Galderisi). A Torino altro rigore ancora più clamoroso negato al Como (difficile sostenere che Mattei non ha visto niente dal momento che quello di Favero su Muller seguiva da vicino un fallo di Brio su Corneliusson); a Roma due rigori abbastanza dubbi, a San Siro gol di Sabato in fuorigioco. E' vero che gli errori sono spesso ben distribuiti, ma forse cominciano ad essere troppi.
3) Il Totocalcio acuisce la propria crisi. E' ormai drammatica la sproporzione fra montepremi (tra l' altro in costante discesa) e vincita. In questo modo si ottiene soltanto di portare sempre più il gioco in mano ai clandestini (che pagano somme superiori per appena tre risultati azzeccati).
4) Una stranezza, un paradosso, o forse soltanto un dato. Socrates, giustamente contestato ed in procinto di tornare in Brasile, ha segnato il suo quarto gol. Come Rummenigge, più di Maradona senza rigori. Per non parlare di Boniek, Rossi e Giordano. E comunque sempre per parlare di Socrates.
di MARIO SCONCERTI
22 gennaio 1985
L' ULTIMO STRANIERO
UN GIORNALISTA di penna fina ha scritto che Zmuda, quando avanza, sembra la migrazione di un popolo. Da dopo il Mundial, più di due anni, poche avanzate, poche migrazioni. Zmuda poteva solo resistere controvento, con una civile ostinazione. Due gravi infortuni, il sospetto d' un intervento chirurgico non esemplare, una lunga coda in attesa d' un posto in squadra che non gli è toccato. Certo, il Verona lo pagava, ma chi conosce i calciatori sa che i soldi anche per loro non sono tutto, se la domenica non si gioca. E che il pane altrui sa molto di sale, come diceva uno, emigrato per motivi di politica e non di pallone.
Bagnoli non riteneva di cambiare uno dei suoi difensori centrali, Tricella e Fontolan, e Zmuda non è un jolly, Zmuda stava fuori. Però, mai una polemica, una frase cattiva, un calo d' impegno, un lasciarsi andare. Zmuda è capitano della nazionale polacca, la terza alla borsa valori dell' ultimo mundial. Ne ha già disputati tre, in Messico, se i polacchi ci arrivano, sarà il quarto. Somiglia un po' a Facchetti, nei tratti del viso e nella statura. Da domani, è lo straniero in più del nostro campionato, vien voglia di dire che sarà una scoperta, che nessuno lo conosce, lo ha visto, lo ha giudicato, buono mediocre e brocco non importa, è triste non poter nemmeno essere giudicati. Non è un super, i super giocano in altri ruoli e hanno altri numeri per incantare gli spettatori. E' un professionista serio, però, e un uomo vero.
A Udine, Mondonico aveva deplorato non la sconfitta (una più, una meno...) ma certi atteggiamenti dei suoi giocatori. Da domani, un uomo in più, come tasso morale, non solo come numero nella rosa, ce l' ha di sicuro. Non so quanto Zmuda potrà contribuire all' operazione salvezza, che appare assai difficile, ma so che farà la sua parte, come tutta la Cremonese. S' è risolto bene, alla fine, il caso Zmuda, un' arroganza regolamentare scaduta ai limiti della farsa o della persecuzione, poi camuffata da storia di Natale con sconfinamenti nello strappacore. Quando qualcuno, nel mondo del calcio, parla di questioni di principio, si può star sicuri che a rimetterci sarà un pesce piccolo.
A un certo punto, pareva che la Cremonese stesse per ingaggiare Scifo o Rush, tanto era il clamore attorno a Zmuda: ignorato finchè non giocava, importantissimo appena poteva tornare a giocare. Ora che la regolarità del campionato è salva e che il buonsenso ha prevalso, benvenuto, Zmuda, e buona fortuna. Finora del campionato più bello del mondo ha visto, senza colpe, solo i lati meno belli. Come Eloi, sistematosi al Botafogo, che non era ritenuto degno di panchina nemmeno in serie B. Come Uribe. Come lo stesso Socrates, in fondo.
Nel calcio gli ultimi non saranno i primi, ma mi sembra di dover dire che, in fatto di dignità, Zmuda e la Cremonese, l' ultimo arrivato e l' ultima in classifica, non sono secondi a nessuno. CHI E' ZMUDA - Wladyslaw Zmuda è nato a Lublino in Polonia il 6 giugno 1954. Prima di essere ingaggiato dal Verona nella stagione 82-83 ha giocato nel Motor Lublin, nel Gwardia, nello Slask e nel Widzew Lodz. Nella prima stagione con il Verona ha giocato complessivamente appena 22 minuti; lo scorso anno Bagnoli lo ha utilizzato 5 volte come riserva. Zmuda ha giocato 87 volte nella nazionale polacca.
di GIANNI MURA
19 gennaio 1985
IL MILAN NON BASTERA' A SPAVENTARE IL VERONA
IL CAMPIONATO inizia oggi il secondo terzo del suo cammino: celebra infatti la undicesima giornata, in cima alla cui piramide è Verona-Milan (17+11=28). La seconda partita in gerarchia è Avellino-Torino (10+14=24); seguono alla pari Inter-Napoli (13+9=22) e Sampdoria-Lazio (14+8=22); e ancora Como-Atalanta (9+10=19), Roma-Udinese (10+7=17), Juventus-Ascoli (10+5=15) e Cremonese-Fiorentina (3+10=13) che chiude l' elenco. Ultimo rilievo storico-statistico: fra le otto partite, non figura nemmeno una classica. Come era da prevedere, lo strano atteggiamento polemico assunto dal clan del Verona subito dopo la vittoria di Torino è apparso scandaloso: lagnandosi di non avere alcuna protezione in excelsis, praticamente i veronesi denunciavano che altri erano sospettati di averne; ma l' offesa maggiore veniva inferta al buon senso, perchè non si è mai sentito un clan vincente soffrire tanta mania di persecuzione.
O volevano semplicemente mettere il piedino avanti? Io non so come abbia reagito Bagnoli al deferimento. Penso abbia ammesso che per tenere certe posizioni bisogna essere preparati anche sotto l' aspetto politico-sportivo, e da uomo onesto non meno che astuto ne approfitterà per predicare ancora e sempre modestia. Sta comunque di fatto che aver preso diciassette dei venti punti in palio può riuscire sgomentevole, al punto da desiderare subito qualche battuta a vuoto per non passare più a lungo da esagerosi. A Verona si sposta il Milan, che mancherà ancora di Hateley e di Verza. Per mettersi la coscienza in pace, anche di fronte alla effettiva scalogna degli avversari, Bagnoli annuncia la formazione di domenica scorsa, che non contemplava nè Larsen nè Ferroni. Ma Larsen aveva una semplice contrattura dove la coscia si insinua sotto il pannello del gluteo: scendesse in campo, penserebbero tutti a birbona pretattica di Bagnoli.
Il saggio Lidas non si è unito alle geremie per l' assenza di Hateley, che per altro avrebbe voluto giocare (!): si è lagnato invece di non poter fruire della fantasia di Verza. Poichè i pronostici sono fatti per venire sbagliati, è appena ovvio dire che il magnifico Verona passa per favorito d' obbligo. La partita può riuscire bella e buona: ciò è piacevole sotto l' aspetto tecnico e sotto l' aspetto agonistico. "Abbiamo tanto fieno in cascina - dirà Bagnoli - che possiamo anche stare tranquilli, giocare in scioltezza e rifiutarci di dannare l' anima. Se il Milan vuole il risultato impari a correre i rischi del contropiede passivo. In tre sole battute il fulmineo Verona è sovente capace di arrivar a concludere in gol". L' onorevole Ciriaco De Mita ha cenato ieri sera a Milano in un famoso ristorante da pesce che i membri del mio club chiamano per snob l' osteria. Prima di andarsene - l' ora del rosario era passata da un pezzo - ha stretto la mano al cronista ammonendolo a ricordare che "l' Avellino è una vera squadra". "Lo so bene, l' ho visto", lo ha rassicurato il cronista: e ora non credo che il segretario dc intendesse polemizzare sugli avellinesi truccati da juventini.
L' Avellino è tale squadra da poter assurgere ad arbitro dello scudetto: e già oggi può offrirci uno scampolo della prorpia eloquente posizione. Per sua fortuna, Angelillo ritrova lo scanzonato rifinitore che i peruani chiamano Varvadigio. Onestamente, non potrà rallegrarsene Luis Radice. Il suo Torino è chiamato comunque a confermare il fondamento dell' ottimismo manifestato proprio dopo l' amara sconfitta subita in casa con il Verona. Buono o cattivo tempo, San Siro ospiterà la folla che si conviene a Inter-Napoli. Castagner segnala l' assenza di Collovati per attacco influenzale e di Bini per dolori inguinali. Quest' ultima giustificazione è soprattutto astuta. Vedremo Ferri su Bertoni e Baresi su Maradona, con due laterali mobili come Pasinato e Mandorlini. In centro campo, Marini, Sabato e Brady, al quale Castagner ha dovuto qualche spiegazione richiesta dall' orgoglio.
E' vero però che vedendo scaldarsi Pasinato, l' altra sera, ad Amburgo, ho pensato anch' io che dovesse entrare a sostituire lo svagato Brady. L' Ernest Pellegrini ha argutamente osservato, dopo l' inopinata sconfitta di Amburgo, che Rummenigge e Altobelli avevano salvato l' incasso di San Siro. Avrebbe dovuto aggiungere che, visti sciupare tre gol sull' 1-1, aspettarsi qualche brutto tiro dalla nemesi era il meno che si potesse. Il Napoli si farà rispettare a San Siro quale che sia il tempo atmosferico. Nemmeno la grande Inter sapeva nascondere l' impaccio dopo i turni feriali di Coppa. La Sampdoria consola i genovesi migliori, che sono quelli non meschinamente legati alla parte. Gioca un calcio non meno bello che efficace e Bersellini può tranquillamente incominciare a far riprendere fiato a chi ne ha più bisogno. In centrocampo rivedremo l' esperto Casagrande, capace di dettare appoggi anche sotto misura e in attacco rientrerà Mancini accanto a Francis: ma Vialli aspetterà paziente in panchina. Ha davanti cent' anni: non avrà smanie inopportune e importune. La Lazio minaccia barricate come consigliano la classifica e il cinismo di Lorenzo: se la Samp vuol passare, deve tentare verosimilmente bordate da fuori o inserimenti inattesi di centrocampisti. Due lombarde verdi, Como e Atalanta, si giocano un derby a livello notevole, se è vero che la loro partita viene quinta.
Il Como è ancora senza stranieri e Sonetti ne ha uno così importante, Stromberg, da volerlo impiegare di punta. Juventus e Roma ricevono pericolanti quali Ascoli e Udinese. Praticamente si scambiano gli avversari della domenica scorsa, riuscita più sfavorevole e mortificante per i friulani. Trapattoni ritrova Brio, elemento molto importante per l' economia della sua difesa. Rossi ha qualche muscolo malandato: se il Trap lo risparmia, non può che favorirne la guarigione. Gli ascolani non sono rassegnati e si batteranno con l' orgoglio che comporta un confronto con la squadra campione: però non sembrano esser loro i pirati della domenica: dunque anche Vignola, che vibra un manierato sinistro, potrebbe benissimo affiancarsi a monsieur Platini nel rifinire in pro di Boniek e Briaschi. La perentoria apparizione di Udine ha messo a tacere le chiacchiere sullo stato di Madama. Qualcuno incominciava a prender gusto nel brandire i due corni del dilemma: Coppa Campioni sola oppure Coppa e Campionato, per vincere l' una e l' altro? Perfino Marion Soldati che sta per finire un romanzo importante, ha voluto unire il suo grido - fra il triste e l' irritato - a quello di molti amanti per dritto e per rovescio.
Lasciateci stare!, ha ingiunto el Marion con sublime disdegno, e sembrava intendesse aggiungere: "Con il nostro dolore". Altri hanno ravanato nei buchi dei dietrologi per stabilire se l' attuale condizione sia da addebitare agli errori di Boniperti, che si è trovato addosso uno stock di avellinesi, oppure agli sdegni dell' avvocato Giovanni, che ha negato a Boniperti i capitali per comprare Giordano e Manfredonia. Trionfare a Udine ha significato sospendere i processi o, che è meglio dire, sospendere i processi alla Juventus e aprirne uno contro Zico, candido accusatore di mestatori (?) loschissimi. Quanto a noi, ci si limita a ricordare che sette punti di svantaggio non sono sempre bastati a perdere lo scudetto. Nessun dubbio, quindi, che la Juventus possa ancora vincere tutto quel che vuole in patria, ma saprebbe anche vincere la Coppa Campioni? Lo sforzo per riparare alla perdita di metà dei punti in palio (dieci su venti in dieci giornate) le sarebbe sicuramente fatale: nessun dubbio su ciò: ne prenda nota il mio caro grande Marion, amico per la vita e per la morte (ipse dixit).
L' Udinese incontra a Roma all' Olimpico ritrovando il magnifico Edinho, non Zico, purtroppo, che Vinicio non vuol rischiare in una partita così difficile e ambigua. Vinicio tira a salvarsi e non vorrebbe sprecare nulla nel fatuo intento di divertire il prossimo. La Roma ritrova a propria volta Falcao, abituale deus ex machina delle sue imprese. La partita può riuscire interessante: con Bruno Conti in forma, tutto è possibile, dalla metà campo in su! "Record" ha dedicato a Cremona pagine molto affettuose, delle quali io sono in parte colpevole. Viene perfino citato Virgilio frequentatore della prima o seconda scoletta. Il campione mondiale dello stylism, che a nome Ottavio Missoni, ha schizzato e dedicato ai cremonesi la divisa ideale per agio ed eleganza. Di Juary si sapeva, non ancora di Zmuda, che potrà giocare solo se lo vorranno le consorelle della Cremonese. Quando si hanno tre miserabili punti su venti possibili, non v' è purtroppo da temere alcuna invidia da parte delle altre di serie A. Oggi esordisce a tempo pieno Juary e la mia curiosità sarebbe di vedere quel bravo giovine passare nei pressi di Passarella, ineffabile grinta siculo-criolla. Ora che Lele Oriali ha espresso il suo "j' accuse" nei confronti di Pecci, il conte Pontello dovrebbe munire Pecci e Socrates di un contapassi. Alla fine, si farebbe la somma e magari con quella, giustizia.
di GIANNI BRERA
02 dicembre 1984
QUESTO VERONA NON FA MIRACOLI
"SIAMO SOLO ENTRATI NEL CLIMA" VERONA - "E' appena la seconda giornata di campionato. E' vero, non siamo mai stati da soli in testa alla classifica, ma azzardare un Verona già in corsa per lo scudetto mi sembra francamente esagerato. Il tricolore resta roba per altre, in futuro, potremmo forse farci un pensierino. Ma, procediamo domenica per domenica: adesso c' è l' Udinese, la squadra di Zico, che se non sbaglio ha rifilato cinque reti alla Lazio. E poi, in successione, una dopo l' altra, Inter, Juve, Roma e Fiorentina. Soltanto alla settima, per favore potremo riparlare di questo Verona e delle sue ambizioni". Il giorno dopo la vittoria di Ascoli, un tre a uno che si ripete sette giorni dopo il Napoli di Maradona, Osvaldo Bagnoli non muta d' una virgola il suo classico spartito: il tecnico del Verona, umile e modesto, come la sua squadra, che anche nelle Marche ha imposto i diritti della sua maggior classe, preferisce stare con i piedi per terra. "Posso soltanto compiacermi, dopo questi quattro punti racimolati nelle due partite iniziali, di aver già una squadra immedesimata nel clima del campionato: ad Ascoli, come al Bentegodi con il Napoli, il Verona non ha perso mai la testa, ha aspettato l' avversario, ne ha controllato il prepotente ritorno, ma si è imposto grazie alla sua lucidità e ai perfetti schemi che parecchi dei miei giocatori hanno mandato giù a memoria. Però, insisto, non dobbiamo esaltarci più di tanto: ci aspetta un ciclo di partiti terribili. E, memore anche delle precedenti esperienze, non me la sento di azzardare nulla".
DA PENZO A ELKJAER 4 ANNI DA RICORDARE L' ULTIMO VERONA, queLlo delle due finali di Coppa Italia, di una qualificazione in Coppa Uefa, del quarto posto in serie A (82-83) è nato con Bagnoli nella stagione 81-82. Fino a quell' anno i gialloblù avevano oscillato tra A e B senza grandi risultati. Al primo anno Bagnoli ha subito ottenuto la promozione: 48 punti primo posto in serie B: 15 reti per Penzo e 13 per Gibellini. In porta c' era Garella, Tricella era il libero e Di Gennaro era il jolly della squadra (spesso riserva). L' anno successivo molti volti nuovi: più presenze per Oddi, Marangon e Spinosi vanno a rinforzare la difesa. A centrocampo Volpati (dal Brescia), insieme a Fanna (Juve) e Sacchetti (Fiorentina). Viene acquistato anche lo straniero: Dirceu dall' Atletico Mineiro. Per il Verona è il quarto posto in campionato. L' anno successivo via Oddi (alla Roma), Spinosi e Dirceu (Napoli). Arrivano Ferroni, Iorio, Storgato, e due nuovi stranieri, Jordan e Zmuda che però giocano pochissimo. In campionato il Verona è arrivato sesto. Infine il Verona di oggi, senza Iorio, ma con Briegel ed Elkjaer.
di GIANNI MURA
25 settembre 1984
E' UN CALCIO DI LATTA CHE COMINCIA A DIRE PRIME PICCOLE VERITA'
ECCO LE MEDIE-RENDIMENTO Nel grafico la media-rendimento delle squadre di serie A. Per alcune, il terzo turno di Coppa non è stato molto propizio. Hanno un po' deluso la Juventus (1-0 con il Taranto), il Napoli (0-0 a Perugia), la Fiorentina (1-1 con la Casertana), il Torino (0-0 a Vicenza). Delle grosse squadre solo Sampdoria (8 gol alla Cavese), Verona (5-0 al Casarano) e Inter (3-1 alla Carrarese) hanno vinto facilmente. La Roma è apparsa migliorata pur non andando oltre lo 0-0.
BRIASCHI E FRANCIS A 4 RETI 4 reti: Francis (Sampdoria), Briaschi (Juventus) 3 reti: Elkjaer (Verona), Giordano (Lazio - 2 rig.), Passarella (Fiorentina - 1 rig.), Tacchi (Campobasso)
GIRONE 1 Milan 5, Triestina 4, Parma 3, Como Carrarese e Brescia 2. Domenica 2: Milan-Como; Parma-Triestina; Carrarese-Brescia. Domenica 9: Triestina-Milan; Brescia-Como; Parma-Carrarese.
GIRONE 2 Inter 5, Pisa 4, Avellino 3, Bologna 2, Francavilla e Spal 1. Domenica 2: Bologna-Inter; Avellino-Pisa; Spal-Francavilla. Domenica 9: Inter-Avellino; Spal-Pisa; Francavilla-Bologna.
GIRONE 3 Lazio 5, Roma e Genoa 4, Varese 3, Padova e Pistoiese 1. Domenica 2: Roma-Genoa; Varese-Lazio; Padova-Pistoiese. Domenica 9: Roma-Lazio; Padova-Varese; Genoa-Pistoiese.
GIRONE 4 Empoli 6, Torino 4, Cesena e Vicenza 3, Monza e Cremonese 1. Domenica 2: Torino-Monza; Cremonese-Empoli; Vicenza-Cesena. Domenica 9: Empoli-Torino; Cesena-Cremonese; Monza-Vicenza.
GIRONE 5 Verona e Ascoli 5, Campobasso 4, Benevento 3, Casarano 1, Catania 0. Domenica 2: Catania-Verona; Ascoli-Benevento; Casarano-Campobasso. Domenica 9: Verona-Ascoli; Catania-Casarano; Campobasso-Benevento.
GIRONE 6 Sampdoria e Bari 5, Udinese 4, Catanzaro 3, Lecce 1, Cavese 0. Domenica 2: Sampdoria-Bari; Catanzaro-Udinese; Lecce-Cavese. Domenica 9: Udinese-Sampdoria; Bari-Cavese; Lecce-Catanzaro.
GIRONE 7 Juventus 6, Atalanta 4, Taranto 3, Cagliari e Palermo 2, Sambendettese 1. Domenica 2: Atalanta-Juventus; Sambenedettese-Taranto; Cagliari-Palermo (a Siracusa). Domenica 9: Juventus-Sambenedettese; Palermo-Atalanta; Taranto-Cagliari.
GIRONE 8 Fiorentina e Napoli 5, Arezzo 3, Casertana e Pescara 2, Perugia 1. Domenica 2: Pescara-Napoli; Fiorentina-Arezzo; Casertana-Perugia. Domenica 9: Napoli-Fiorentina; Arezzo-Casertana; Perugia-Pescara.
31 agosto 1984
ATTENTI ALL' UOMO VENUTO DAL NORD
VERONA - Lo chiamano Vichingo. Elkjaer è la sorpresa delle aree di rigore, il piccolo re delle notti d' estate. La curva sud, quella di procalamata e folcloristica fede gialloblù, sta già studiando il modo di accompagnarne le prodezze in campo con uno striscione gigantesco su cui far campeggiare il motto che lo aveva reso celebre in Belgio, al Lokeren, società dal quale il Verona lo ha prelevato pagando meno di quanto la Roma ha speso per riscattare Jorio: "Elkjaer = Gol...kjaer".
Faccia rubiconda e sorriso aperto su un fisico da spaccalegna delle langhe nord-europee, occhi furbi e vivacissimi, Preben Larsen Elkjaer ha giocato d' anticipo sulla roulette del campionato, presentando un significativo biglietto da visita: un ottimo campionato europeo, 12 gol sinora tra amichevoli e primo turno di Coppa Italia, tre dei quali realizzati proprio nella gara d' esordio di mercoledì scorso. E' , con Briaschi, il cannoniere della manifestazione, anche se lui stesso per primo ammette che in questo calcio d' agosto, tanto bello quanto foriero spesso di illusioni, "bisogna prendere le cose per quello che realmente sono".
Preben Elkjaer ("meglio se mi chiamate così - spiega - perchè il nome di mio padre, Larsen, è talmente diffuso da noi che mi sembrava di essere un signor Rossi qualsiasi") ha sposato prudenza ed equilibrio al primo contatto con la sua nuova squadra: doti che gli ha iniettato Bagnoli, l' uomo che più degli altri ne ha voluto l' ingaggio in gialloblù. Se è vero che sul piano tecnico il panzer danese assomma qualità di prim' ordine (opportunismo, destrezza sotto la porta avversaria, intelligenza nello smarcamento), unite a grinta e agonismo talvolta eccessivi ma mai "cattivi", è altrettanto vero che l' uomo Elkjaer è un impasto di allegria e spensieratezza, guasconeria e simpatia.
Ieri mattina, mentre la comitiva gialloblu si radunava allo stadio per partire alla volta di Campobasso, dove l' attende la seconda uscita ufficiale di Coppa, "Gol...kjaer" confidava al suo manager, che è poi lo stesso dell' altro straniero scaligero, Briegel: "Mi sono dato dei pizzicotti in questi giorni perchè credevo di vivere un sogno: non pensavo davvero di cominciare così bene la mia avventura italiana, anche se ho paura che la mia bizzarria mi giochi adesso qualche brutto scherzo...". Alludeva al fatto che, in campo, quando è marcato stretto dagli avversari, spesso si lascia cogliere dal nervosismo o, forse, come suggerisce malignamente qualcuno, perchè la prima cosa che ha imparato dell' italiano sono le parolacce.
Il danese, comunque, nonostante le stranezze del suo carattere, si è già conquistato un posto fisso nelle simpatie di Bagnoli: magari al tecnico del Verona non va giù il fatto che il suo centravanti, come Briegel, venga avanti e indietro dal lago di Garda (i due hanno preso dimora in due villette sulle colline sopra Bardolino), che faccia il bagno in piscina anche d' inverno ("In Danimarca si usa così..."), che abbia la passione dei cavalli (possiede due splendidi stalloni Belgio), che ami correre in macchina (gli piacciono talmente le auto che il presidente Guidotti gli ha promesso una Masearti se arriverà a 15 reti).
Ma di fronte alla forza e al talento che prorompono sul terreno di gioco si può chiudere un occhio. Tra l' altro, c' è da mettere sul piatto della bilancia che i due stranieri non figurano neppure in cima alla testa dei "superpagati" della squadra; con la firma posta sul contratto venerdì sera, al termine di una lunga ed estenuante trattativa, Fanna e Tricella, i due olimpionici, sono diventati i primi del gruppo. Lira più lira meno, guadagneranno sui 250 milioni netti all' anno. Elkjaer e Briegel si sono accontentati di un po' di meno.
di STEFANO EDEL
26 agosto 1984
NELLA NOTTE DEI CINQUANTADUE GOL LA ROMA E' RIMASTA UN PO' INDIETRO
LA COPPA ITALIA ha regalato una notte da cinquantadue gol, più di due per ogni partita. Le sedici squadre di serie A hanno potuto mettere alla prova seriamente formazioni, schemi, stranieri. Ovunque molto pubblico, pronto ad applaudire, talvolta a fischiare. La prima giornata del torneo è stata caratterizzata dai sei gol della Juventus al Palermo, il risultato che si nota di più. Nel complesso però le altre squadre di serie A sono andate abbastanza bene. Dieci vittorie (Milan, Inter, Lazio, Roma, Verona, Ascoli, Udinese, Juventus, Fiorentina e Napoli), quattro pareggi (Avellino, Torino, Sampdoria e Atalanta), e due sconfitte (Como e Cremonese).
Trentatrè gol segnati. Un numero ragguardevole, ma non sufficiente per formulare verità. Le formazioni di A avevano diritto ad una partenza facile: Palermo, Spal, Benevento, Cavese, Perugia, Arezzo hanno dovuto recitare obbligatoriamente il ruolo di "sparring partner". Hanno destato comunque ottima impressione la Juventus, l' Inter, il Napoli e la Fiorentina: vittorie facili. La Juve ha scoperto un Briaschi già in ottima forma, mentre nell' Inter e nel Napoli hanno brillato molto gli stranieri. Brady, Rummenigge, Maradona e Bertoni hanno segnato gol belli ed importanti. Brady e Maradona hanno entrambi sbloccato il risultato.
In fatto di gol si è fatto vedere anche Elkjaer che ne ha segnati tre.
Sui loro soliti livelli, ottimi, Zico e Platini. Ci sono stati, comunque anche gli stranieri che sono andati male: hanno fatto poco Junior con il Torino, Corneliusson con il Como, Souness con la Samp. Scarsi i risultati delle loro squadre: Torino e Sampdoria non sono andate oltre il pareggio, rispettivamente con Cesena e Catanzaro, il Como ha perduto. Hanno deluso le tre neopromosse: due sconfitte, un pareggio. Ha preso due gol il Como a Carrara, mostrando forti lacune in ogni settore del campo, ha fatto altrettanto la Cremonese a Vicenza. Due formazioni di serie A bloccate da due di serie C. L' Atalanta addirittura si è fatta rimontare due volte. Domenica il secondo turno, altre ventiquattro partite. Ancora nessuna gara tra formazioni di serie A, se si eccettua Torino-Cremonese del girone 4. Molti match importanti però: Pisa-Inter, Genoa-Lazio, Catania-Ascoli, (le tre retrocesse incontrano squadre di A) e poi Bari-Udinese, Cagliari-Juventus, Pescara-Fiorentina. Probabilmente altro spettacolo, altri gol. Il gioco arriverà...
24 agosto 1984
FONTE: Repubblica.it