12 Maggio 1985... + - =
L'incredibile impresa della banda BAGNOLI è realtà!
L'HELLAS VERONA ha vinto il campionato più bello del mondo in cui si sfidano i calciatori più forti al mondo.
Nel trentennale dello scudetto, dopo il boato della Curva Sud al 51esimo minuto del derby a ricordare il gol di ELKJAER che sancì la conquista matematica del tricolore, riviviamo quel momento scorrendo l'ampia lista di articoli che i media dedicano all'unica squadra di città non capoluogo di regione ad avere realizzato un miracolo sportivo!
Hellas Verona scudetto 1984-85: Tutti i gol | Al termine di Atalanta 1-1 Verona la festa-scudetto gialloblù | 12 Maggio '85: Atalanta-Verona radiocronaca di Enrico Ameri |
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Preben ELKJAER «Giornata molto particolare per Verona, per noi calciatori, per l'allenatore... Quello di trent'anni fa è stato un traguardo per cui abbiamo lavorato molto duro. Abbiamo anche avuto molta paura che alla fine qualcuno ci avesse potuto strappato tutto. Però è andata bene ed è sempre una grandissima gioia ricordarlo. Segreto di cui non ha mai parlato? No, ho sempre raccontato tutto a chi me lo ha chiesto. Non c'erano segreti, è tutto alla luce del sole: abbiamo vinto insieme, come squadra, come società, come città. Abbiamo vinto perché eravamo i migliori... Perché quell'anno lì eravamo i migliori!» GianlucaDiMarzio.com
Silvano FONTOLAN 'Nessuno pensava al trionfo finale' «Iniziammo bene, facemmo un grande girone d'andata ma nessuno pensava di vincere il campionato. Col passare delle giornate però prendevamo convinzione, poi a Firenze, alla settima di ritorno, sul 3-1 nell'abbracciarci dicemmo che il campionato non poteva più togliercelo nessuno. Non ci rendevamo conto di quello che stiamo facendo, poi dopo ci siamo accorti dell'impresa e ancora oggi ne parliamo» TuttoMercatoWeb.com
Tutte le emozioni di #UnoStoricoScudetto |
DI GENNARO 'Successo costruito dalla B' «Lo scudetto del Verona ha fatto piacere a tutta Italia. Quello scudetto fu solo l'apoteosi di un periodo bellissimo a Verona, una squadra che aveva un gruppo storico partito dalla Serie B e che già al primo anni in A fece un ottimo calcio. Ricordo che eravamo arrivati a 17 risultati utili consecutivi, poi finimmo quarti. Nel 1984 arrivarono poi due stranieri, Briegel ed Elkjaer, che diedero esperienza, qualità, professionalità a un gruppo già affiatato. Eravamo partiti come ogni anno con la quota salvezza e conseguente premio fissato, ma dopo 10 giornate capimmo che potevamo fare qualcosa di più, che c'era la possibilità di entrare nella storia. Mi ricordo che anni fa un dirigente a Firenze mi disse: avete vinto perché c'era il sorteggio integrale. Lì per lì la cosa mi dette fastidio, perché ritengo che lo scudetto fu vinto perché la nostra squadra era forte. Certo che dopo i fatti del 2006 un po' ho avuto da riflettere...» TuttoMercatoWeb.com
Luciano BRUNI sul VERONA tricolore e su questo «Iniziammo bene, facemmo un grande girone d'andata ma nessuno pensava di vincere il campionato. Col passare delle giornate però prendevamo convinzione, poi a Firenze, alla settima di ritorno, sul 3-1 nell'abbracciarci dicemmo che il campionato non poteva più togliercelo nessuno. Non ci rendevamo conto di quello che stiamo facendo, poi dopo ci siamo accorti dell'impresa e ancora oggi ne parliamo» TuttoMercatoWeb.com
RASSEGNA STAMPA + - =
Zara: "Vi racconto lo scudetto di una brillante anomalia chiamata Verona"
Il giornalista del CorSport racconta i retroscena della favola gialloblù del 1984-85: "Elkjær e Briegel? Li prese Mascetti, Bagnoli forse li aveva visti due volte in tv"
Redazione Tiscali
Garella, Ferroni, Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Volpati, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. A Verona questo 11 gialloblù viene recitato a memoria dal 1985 così come un rosario. Tutti poi aggiungono un'altra doverosa lode a Osvaldo Bagnoli. Sono passati trent’anni dal primo e unico scudetto dell’Hellas Verona, ma il ricordo di quella squadra fantastica e degli uomini che fecero l’impresa è ancora vivo all’ombra dell’Arena o del Bentegodi. E più passa il tempo e muta il calcio, più quello scudetto assume i contorni dell’impresa irripetibile. Una provinciale costruita con gli scarti delle grandi squadre e che era tornata in serie A solo qualche anno prima (nella stagione 1981-82), sbaraglia la concorrenza e spezza un dominio juventino che, con qualche interruzione, va avanti da dieci anni. E mentre Panini pubblica una raccolta speciale con le immagini delle partite salienti della trionfale cavalcata gialloblù (Hellas Verona 30 – Gialloblù Superstar), il giornalista Furio Zara ricostruisce dettagliatamente lo scudetto impossibile dell’Hellas con aneddoti, segreti e retroscena nel libro Ma è successo davvero? (Ultra Sport edizioni, 2015). Ma l’impresa della squadra gialloblù è per il giornalista del Corriere dello Sport anche l’occasione per raccontare un calcio d’altri tempi dove le squadre erano composte da sedici giocatori e le maglie andavano dall’1 all’11 per i titolari e dal 12 al 16 per le riserve. Dove la vittoria valeva due punti ed i pareggi non erano merce da buttare. Dove si potevano tesserare solo due stranieri per squadra, "la panchina lunga" non esisteva e il turn over nemmeno. Un altro calcio o meglio un altro mondo del calcio. Zara lo paragona ad "Hollywood" come sinonimo di "campionato più bello del mondo".video correlato Il gol senza scarpa di Elkjaer Ma la serie A nella metà degli anni Ottanta brilla di luce propria grazie soprattutto al denaro che gira. "Ho analizzato il contesto generale all’interno del quale è nata la favola dell’Hellas e mi sono reso conto che realmente quello era il campionato più bello del mondo - spiega Zara a Tiscali Sport -. Eravamo i migliori. I più invidiati. La nostra serie A era il sogno di qualsiasi giocatore. Nelle due stagioni della libidine, dal 1983 al 1985, i campi italiani erano calpestati dai piedi d’oro di Maradona, Zico, Platini, Falcao, Rummenigge, Sócrates, Junior, Boniek, Passarella, Elkjær. Tutti insieme, appassionatamente e contemporaneamente. Poi dopo sono arrivati i Gullit e i Van Basten". Senza dimenticare gli azzurri che hanno vinto i Mondiali in Spagna nel 1982.
Zara, la schiera di campioni in campo nel torneo del 1984-85 accresce il valore dell’impresa del Verona?
"Tutti i campioni erano in Italia e quindi giocare in un campionato di altissimo livello e vincere lo scudetto per una squadra provinciale con tante anime differenti che Osvaldo Bagnoli era riuscito ad amalgamare con grande saggezza, non fa che amplificare la portata di quella che ancora oggi resta una delle pagine più belle del calcio italiano".
Lei definisce quella gialloblù una "brillante anomalia che va a colmare un momentaneo vuoto di potere bianconero".
"Non possiamo descrivere un evento storico, e il calcio non si distacca da questa regola, senza aver cercato di comprendere come si è arrivati a quel determinato momento. La Juve con Trapattoni in panchina dominava il campionato di serie A dalla metà degli anni Settanta. Nei dieci anni del Trap vinse sei volte lo scudetto. Una eccezione l’ha fatta la Roma. Dino Viola con Nils Liedholm in panchina e Falcao, Pruzzo, Conti e Di Bartolomei trasformò la Rometta degli anni Settanta in una squadra in grado di dare del filo da torcere ai bianconeri fino alla vittoria del campionato l’anno dopo i Mondiali dell’82. Un’altra è stata l’Inter di Eugenio Bersellini che conquistò l’ultimo scudetto tutto made in Italy prima delle riapertura delle frontiere".
E l’Hellas?
"Il Verona è stata una brillante anomalia perché all’inizio della stagione 1984-85, la squadra di Bagnoli sembrava schiacciata dalla potenza di Juve, Roma e Inter ma non solo. C’erano altre candidate per il titolo come il Torino che non poi arriverà secondo alle spalle dei gialloblù. Quindi è stata una mosca bianca che si inserì a sorpresa tra diverse squadre che legittimamente aspiravano a conquistare lo scudetto".
Arriviamo al grande artefice di questo miracolo: Osvaldo Bagnoli.
"Senza ombra di dubbio è stato Bagnoli la chiave del successo di quel Verona. Riuscì a trasformare un manipolo di giocatori scartati da altri club in una compagine fortissima. Una squadra che però era nata molto prima, quando proprio con il tecnico milanese in panchina conquistò la serie A. Poi negli anni arrivarono i cosiddetti scarti che in realtà erano buoni giocatori che non trovavano spazio nelle squadre d’origine. Fanna e Galderisi venivano dalla Juve, Tricella era cresciuto nell’Inter, Marangon aveva giocato con Napoli e Roma e poi da una buona Fiorentina erano arrivati Sacchetti, Di Gennaro e Bruni. Bagnoli riuscì a trasformare buoni giocatori in ottimi giocatori. Senza dimenticare la scelta perfetta dei due stranieri Elkjær e Briegel".
Come mai questi due giocatori non finirono in squadre di serie A più ricche o blasonate?
"Giocavano entrambi nelle rispettive nazionali: Elkjær con la Danimarca e Briegel con la Germania. Ma allora non c’erano tutte le informazioni che ci sono oggi. Bagnoli convocò Mascetti e chiese due giocatori con caratteristiche precise: un attaccante di peso dal punta di vista fisico e bravo nel contropiede ed un terzino sinistro come alternativa a Marangon dato per partente. Bagnoli prima dell’arrivo dei due a Verona, li aveva visti giocare al massimo due volte e in tv".
Elkjær era chiamato "Cavallo Pazzo" o "Cenerentolo". Perché questi due soprannomi?
"Il primo era stato messo al danese dai suoi compagni. Cenerentolo è dovuto al fatto che in una celebre partita contro la Juve al Bentegodi, giocata il 14 ottobre 1984, s’involò palla al piede dalla sua metà campo, saltò due difensori bianconeri e al momento di calciare perse la scarpa, ma tirò lo stesso la palla che s’infilò in rete. Da quel momento, in un attimo e per sempre, Preben divenne Cenerentolo".
Potrebbe ripetersi oggi un miracolo come quello del Verona?
"Sì, potrebbe ripetersi ma non nell’immediato. Oggi il calcio è dominato da club ricchi con rose immense, ma in Italia stiamo toccando il fondo sia a livello dirigenziale e di federazione che di qualità tecnica espressa. Ormai siamo dietro alla Liga, alla Premier e alla Bundesliga e forse siamo a livello della Ligue 1 francese. Ma prevedo una sorta di inversione a U con i valori tecnici e ambientali che avranno la meglio sui soldi. Non è un caso che mentre gli investimenti iniziano a mancare, emergono casi come la promozione in serie A di Carpi e Frosinone. A parte la favola dei due club, questo significa che i grandi club non riescono più a vincere così facilmente. Il Verona che conquistò lo scudetto, tre anni prima militava in serie B e chi dice che tra dieci anni non si possa ripetere un caso simile?".26 maggio 2015
FONTE: Sport.Tiscali.it
Calcio
Era il 12 maggio 1985 quando gli scaligeri, con un pareggio a Bergamo, si laurearono campioni d'Italia. Da allora nessuna compagine che non fosse espressione di un capoluogo di regione è riuscita nell'impresa. Il ricordo del trionfo nelle parole dell'allenatore di allora e del capitano Roberto Tricella
di Dario Falcini | 20 maggio 2015
Più informazioni su: Calcio, heysel, Scudetto, Serie A, Verona
Al tempo delle notizie nate sui social media è diventato virale il tatuaggio che, dopo la sbronza dell’ingresso in finale di Champions, un tifoso juventino ha voluto dedicare al brutto anatroccolo tra i suoi beniamini, Simone Padoin. Fossero oggi trenta anni fa, una intera foto di gruppo inchiostrerebbe gli avambracci di decine, centinaia di fanatici, perché la classe operaia veronese nel Paradiso del pallone si presentò a ranghi completi. Era il 12 maggio del 1985 e un pareggio a Bergamo contro l’Atalanta rendeva ancora una volta la matematica scienza esatta: a tre anni dal ritorno in A il Verona era campione d’Italia. Mai, dagli anni Venti, una città non capoluogo di regione era arrivata davanti a tutti, mai più sarebbe accaduto in futuro.
“Sono passati trenta anni, ma la memoria di quei giorni è viva più che mai” dice Osvaldo Bagnoli, l’allenatore di quella squadra. Il mago della Bovisa allora aveva mezzo secolo, l’età adatta per trasformare gli sguardi perplessi in entusiasmo. Era giunto in Veneto nel 1981 con gli scaligeri in B e aveva sorpreso sin dal primo anno nella massima serie, giocato alla pari con tutti. L’undici era composto, in buona parte, dagli scarti delle grandi: c’erano “il più forte portiere del mondo senza mani” Claudio Garella, il friulano Pietro Fanna, Nanu Galderisi e Antonio Di Gennaro. Il capitano veniva da Cernusco sul Naviglio come Gaetano Scirea. Roberto Tricella avrebbe preso il posto del suo concittadino al centro della difesa della Juventus, non prima di aver alzato al cielo il più improbabile degli scudetti.
“Allora il campionato italiano era il più ambito, qui approdavano i più forti giocatori al mondo – racconta Tricella, che oggi è tornato in provincia di Milano e ha abbandonato il mondo del pallone – C’erano Platini e Boniek, il primo Maradona, Zico, Rumenigge e Socrates: pochi in ogni squadra, ma fenomenali. Eravamo un ottimo collettivo: più volte nel corso degli anni Ottanta ci piazzammo nelle zone alte della classifica, nonostante ogni estate fossimo costretti a vendere due o tre pezzi pregiati per esigenze di bilancio. Tra la B e la A diversi giocatori avevano vissuto il loro percorso di maturazione e arrivarono alla stagione 1984-85 nel momento migliore della loro carriera. Il salto di qualità avvenne con il tesseramento di due stranieri eccezionali: Briegel e Elkjaer”. Il primo era un gigante tedesco che arava avanti e indietro tutta la fascia sinistra, il secondo era altrettanto prepotente e veniva dalla Danimarca. Di Cavallo Pazzo Elkjaer si ricordano soprattutto il gol senza una scarpa contro la Juventus, il whisky e le sigarette ai cancelli del Bentegodi, bene sarebbe menzionare il secondo e terzo posto alle spalle di Platini a due edizioni consecutive del Pallone d’oro. “Il materiale umano c’era – prosegue Tricella – Inoltre quello fu l’ultimo anno del sorteggio integrale degli arbitri e noi fummo fortunati a pescare sempre i fischietti migliori”.
Mai si potrà dire che fu il caso, la buona sorte a spedire Verona nell’albo d’oro: quel campionato fu dominato sin dalle prime giornate dai gialloblu, che misero in fila Torino, Inter, Samp, Milan e la Juventus, che poche settimane dopo sarebbe tornata sul tetto d’Europa nella tremenda notte dell’Heysel. “Meritammo quel trionfo, vincemmo grazie alla qualità del nostro calcio – afferma Osvaldo Bagnoli – Il nostro segreto? Un gruppo spettacolare, che crebbe in convinzione senza mai montarsi la testa. Ricordo che a Capodanno, passato tra noi della squadra, Fanna brindò a una possibile grande vittoria. Eppure durante le interviste nessuno andava oltre l’obiettivo salvezza. Io, Pietro, Luigi Sacchetti e il direttore sportivo Mascetti siamo rimasti qui a vivere dopo quella esperienza: a 30 anni distanza l’amicizia non si è estinta”.
Chi lungo l’Adige è nato, chi non se ne è più andato, chi ha preso una strada che ha sempre un ritorno. In queste settimane, tra musica e cene, sono stati tanti gli eventi in città per celebrare quell’epopea. Quasi come allora. “La sera del tricolore andammo ospiti alla Domenica Sportiva – racconta capitan Tricella – Tornammo molto tardi e la gente era ancora in piazza: fu una festa straordinaria. Solo anni dopo ho realizzato che grande impresa fummo capaci di realizzare”.
FONTE: IlFattoQuotidiano.it
MAG 12
Hellas Verona, i trent’anni di uno scudetto irripetibile
Domenica 12 maggio 1985: l’Hellas Verona si laurea Campione d’Italia per la prima e unica volta della sua storia. Un risultato incredibile che a trent’anni di distanza fa ancora clamore. Dopo quell’incredibile successo, lo scudetto non è più andato in nessun’altra città che non fosse neppure capoluogo di regione.Promossi in Serie A nel 1982, gli scaligeri di Bagnoli – tecnico approdato al Verona nel 1981, con un palmarès che si limitava a una C2 vinta col Fano – non hanno accusato il salto nella massima serie e nelle prime due stagioni, dove era naturale attendersi un assestamento, si sono piazzati subito in alta classifica, lanciando la sfida alle grandi e arrivando quarti nel 1982-83 e sesti nel 1983-84. Ma è nell’estate del 1984 che il tecnico milanese si prepara a far saltare il banco. Nel calciomercato estivo, i veneti acquistano dal Kaiserslautern Hans Peter Briegel, terzino in cerca di rilancio dopo le delusioni di Euro ‘84, rassegna con più ombre che luci per la Germania Ovest, e dal Lokeren Preben Elkjaer Larsen, punta della sorpredente Danimarca agli stessi Europei, dove segnò anche due reti, prima si sbagliare il calcio di rigore che costò l’eliminazione agli scandinavi all’altezza delle semifinali.
Un mercato certamente interessante, ma forse non tale da poter pensare così in grande, anche guardando come si è rafforzata la concorrenza. L’Inter ha appena preso Rummenigge, la Fiorentina Socrates, la Sampdoria Souness, ma meglio di tutti ha fatto il Napoli, su cui tutti puntano i riflettori, per l’acquisto di Diego Armando Maradona. I nuovi volti del calcio italiano rendono giustizia al soprannome di “campionato più bello del mondo”, che da tutte le parti del pianeta è approvato all’unanimità.E proprio contro Maradona, inizia la fantastica stagione dell’Hellas. Il 16 settembre 1984, il Verona sconfigge i campani per 3-1, macchiando l’esordio in Serie A del giocatore più forte del pianeta. È proprio del nuovo acquisto Briegel il primo gol stagionale. Al resto, penseranno Galderisi e Di Gennaro.
Battuto il Napoli, ecco un altro 3-1, questa volta in trasferta, contro l’Ascoli: al Del Duca arriva il primo gol italiano di Elkjaer Larsen. E poi, un 1-0 all’Udinese per una partenza che vede gli scaligeri andare subito in fuga. Le tre sfide seguenti, tutte con le grandi, sono le ideali per vedere se quello del Verona è il solito fuoco delle piccole, che di tanto in tanto partono a spron battuto per mettere subito in cascina punti preziosi.
I due 0-0 ottenuti in casa dell’Inter e della Roma, intervallati dalla grande vittoria per 2-0 contro la Juve Campione d’Italia fanno impennare le quotazioni dei veneti, che fanno capire di non aver voglia di scherzare. Fino all’inverno inoltrato, l’Hellas non sbaglia un colpo: 2-1 alla Fiorentina, 2-0 alla Cremonese, 0-0 con la Samp, 2-1 al Torino di Dossena, altra grande sorpresa stagionale, 0-0 col Milan, 1-0 in casa della Lazio. Il filotto di risultati mantiene stabilmente in vetta i gialloblù. Poi, un improvviso, ma anche giustificabile, appannamento: i pareggi con Como e Atalanta, e la prima sconfitta, ad Avellino all’ultima d’andata, in un Partenio innevato. Al giro di boa, il Verona arriva comunque con ventidue punti: un bottino sufficiente per essere Campione d’inverno.
Il girone di ritorno comincia al San Paolo di Napoli, e l’undici di Bagnoli esce indenne da questa insidiosa trasferta, impattando 0-0. Un risultato che, per quanto positivo, costa l’aggancio da parte dell’Inter, brava ad approfittare di questi quattro turni senza vittorie dei rivali. A fine gennaio ricomincia la marcia veronese: Bagnoli mette in riga Ascoli e Udinese, andando a vincere al Friuli con un pirotecnico 5-3, nel quale i suoi dilapidano un vantaggio di tre reti, per poi rimettere il naso avanti una volta incassato il 3-3. Lo stop dell’Inter con un Avellino ancora in versione guastafeste rimanda in vetta il Verona, che da lì in poi non la lascerà più.
L’accoppiata Inter-Juventus viene superata questa volta con due pareggi, salutati entrambi con piacere perché giunti in rimonta. Poi arrivano i successi di lusso con Roma e Fiorentina. I quattro punti presi in queste due gare fanno capire che il sogno può davvero diventare realtà. Il successo con la Cremonese alla ventitreesima giornata consolida il primato, lasciando un solco di cinque punti tra Verona e Inter. E il pareggio di Genova contro la Sampdoria permette di guadagnare altro terreno, visto il contemporaneo k.o. dell’Inter con l’Udinese. Sei punti di vantaggio con sei giornate da giocare. È l’allungo definitivo. La sconfitta interna col Torino e il pareggio col Milan fanno perdere un po’ di terreno, ma è ormai solo una dolce attesa verso il tricolore. L’1-0 con la Lazio e lo 0-0 con il Como anticipano la partita del 12 maggio con l’Atalanta, penultima giornata.Al Comunale di Bergamo, i padroni di casa segnano con Perico dopo un quarto d’ora, ma la voglia di scrivere la storia da parte dei ragazzi di Bagnoli è più forte della pur buona volontà dei bergamaschi, ormai salvi e privi di grandi motivazioni. Nella ripresa giunge il gol che vale il titolo da parte di Elkjaer Larsen, il giocatore più internazionale di una squadra che sta preparando i passaporti per la sua prima avventura in Coppa dei Campioni. La domenica dopo, in casa contro l’Avellino, il Bentegodi festeggia i suoi eroi. Un 4-2 che completa una stagione irripetibile, forse non solo per Verona, ma per il calcio di provincia in generale.
Detto del percorso, non possiamo non citare i protagonisti: la rosa del Verona ‘84-85 è abbastanza ridotta (appena 17 giocatori utilizzati su una rosa complessiva di 18) e l’undici di partenza assume poche variazioni da giornata a giornata. In porta Claudio Garella, autore di una stagione perfetta, che lo porterà a chiudere imbattuto in ben sedici partite. Davanti a lui, la miglior difesa del campionato, con appena 19 gol subiti, composta da Mauro Ferroni e Silvano Fontolan in marcatura, il capitano Roberto Tricella come libero, Luciano Marangon come terzino. Il centrocampo è formato dal tuttofare Briegel (nove gol alla prima stagione di A: non male per uno che in Germania veniva visto come difensore puro), dal regista Antonio Di Gennaro, dal portatore d’acqua Domenico Volpati (spesso usato al posto di Ferroni, con Luciano Bruni posizionato allora a metà campo) e dall’estrosa ala Pietro Fanna, 27enne in stato di grazia e ai picchi massima della sua carriera. Una combinazione perfetta di ruoli e caratteri, perfettamente amalgamata da Bagnoli e concretizzata dal reparto d’attacco, dove la potenza di Elkjaer Larsen e l’agilità sgusciante di Galderisi hanno fatto la differenza (8 reti il primo, 11 il secondo). Pronti a subentrare Franco Turchetta, Luigi Sacchetti, Dario Donà, Fabio Marangon, Sergio Spuri e il mai utilizzato Antonio Terraciano. Era giusto citarli tutti, in quella che è una delle più belle storie espresse dal nostro pallone, e non in anni di magra dove magari ci si sarebbe potuti inserire in un vuoto di potere, ma durante il suo periodo d’oro.
Giovanni Del Bianco
FONTE: Blog.GuerinSportivo.it
La festa scudetto del Verona '84/'85
"Sfilata" davanti al Comune e poi una serata di beneficenza
Trent'anni fa, nel campionato 1984/'85, il Verona di Osvaldo Bagnoli conquistò il suo primo e finora ultimo scudetto.
La società ha quindi organizzato una serata di gala nel cuore della città: domani sera, al Palazzo della Gran Guardia, gli eroi dello scudetto, l'associazione Ex calciatori Hellas Verona e i gialloblù di oggi si troveranno assieme per una serata il cui ricavato sarà devoluto in beneficenza.
Prima dell'evento, i campioni dell''84/'85 "sfileranno" in piazza Bra, davanti al Comune.
FONTE: RaiSport.Rai.it
Galderisi a ‘Zona Calcio': “Che impresa lo scudetto del Verona...”
maggio 12, 2015
Giuseppe Galderisi ha parlato in diretta alle frequenze di Radio Stereo 5 all’interno della trasmissione “Zona Calcio”. Tanti gli argomenti toccati da “Nanu”.
IL TRICOLORE DEL VERONA – Galderisi ha esordito ricordando lo storico scudetto del Verona: “Rivivere quel 12 maggio 1985 è sempre una grande emozione, allora si disse che ci saremmo resi conto dell’impresa di quel Verona trent’anni dopo, cioè oggi, ed è una favola che molti vorrebbero rivedere, quella di assistere al trionfo di una provinciale. Il grande Osvaldo Bagnoli disse che il primo a pronunciare la parola scudetto nello spogliatoio fu Pietro Fanna a Capodanno. Ricordo che andammo a Cavalese per due giorni liberi delle festività, e Fanna che era uno timido di carattere brindò al tricolore dicendo con convinzione che il Verona avrebbe vinto. Non era facile e specialmente a metà stagione sapevamo che sarebbe stato difficile, ma partita dopo partita ci rendemmo conto che l’impresa era davvero possibile”.
FU UN’IMPRESA PERCHE’ … – Galedirisi aggiunge: “Rispetto ad allora sono cambiate tante cose. Penso sia difficile fare un paragone tra il ieri e l’oggi: anche la vita è cambiata, prima il calcio era un qualcosa che il tifoso viveva in maniera diversa, ed anche l’ambiente. Era un calcio a uomo, le rose erano ristrette, i format dei campionati diversi, anche per questo il miracolo fu possibile. I migliori calciatori al mondo erano tutti in Serie A: Maradona, Passarella, Rummenigge, Socrates…quel Verona partì con l’obiettivo di salvarsi e la consapevolezza è giunta passo dopo passo. Sono orgoglioso per il successo sportivo e soprattutto per le facce felici dei miei compagni e dei tifosi di una piazza passionale come Verona”.
[...]
FONTE: MaiDireCalcio.com
[SPECIALE HELLAS] Come batte un cuore gialloblù: oggi come 30 anni fa.
Un ricordo, una leggenda, una storia.. ecco cosa c’è nel cuore di un tifoso dell’Hellas Verona.
By Armando Mantovanelli maggio 12, 2015
Non riporteremo nulla che riguardi le solite storie scritte dalle altre testate giornalistiche per celbrare i 30 anni dallo storico scudetto, ma semplicemente uno scritto di un tifoso che spiega cosa significa per i tifosi appartenere all’Hellas Verona.
- “Quelli come me da ragazzini, soprattutto d’estate, aspettavano la fine dell’ora del silenzio, quello condominiale, che era sempre alle sedici, per correre in cortile col pallone in mano per dare vita a partite infinite, quelle che si arrivava fino a dieci, nove pari ai rigori. Che poi diventavano sempre a venti perché a qualcuno non andava mai di perdere, e alla fine quando si faceva buio, mamme e nonne chiamavano dalle finestre si concludevano col più classico dei “chi segna vince” anche se c’erano dodici gol di distacco.
Quelli come me, ovviamente, erano quelli che non ci stavano a perdere, e quando subivano il decimo gol, che a onor del vero avrebbe sancito la fine delle ostilità in campo, sfidavano gli avversari al grido di “se avete coraggio continuiamo”. E se si perdeva anche a venti, e non ci veniva concessa la rivincita, giù a prendersela con compagni e avversari, col campo in leggera pendenza che ci aveva sfavorito e il favore del vento, quello era fallo laterale per noi e quell’altro rigore netto, e poi la porta nostra era più grande. Sì perché quelli come me, hanno giocato con le porte fatte un po’ così: una dall’albero al cespuglio e l’altra dalla panchina al mucchio di zainetti. Delle traverse nemmeno l’ombra, si faceva un po’ a occhio, se il portiere saltava e distendeva il braccio e non ci arrivava lo stesso, allora era alto, se era accovacciato o buttato in terra allora era gol. E le linee laterali erano improvvisate, dal marciapiede da un lato, alla fine dell’erba dall’altro. Per quanto riguarda l’arbitraggio era lasciato al buon senso di noi ragazzini in campo, una sorta di autodisciplina, sempre a favore dei più prepotenti. E quelli come me, lo erano.
Quelli come me, negli anni ottanta, viste le possibilità economiche e la reperibilità dei prodotti, la maglietta della squadra del cuore se la facevano da soli, in casa. Così avevo preso una “fruit” gialla e col pennarello blu avevo messo nome e sponsor. Anche se la mescola dei colori diventava di un verde inquietante, il numero undici e la scritta “Elkjaer” campeggiavano dietro alle mie spalle un po’ come si sarebbe usato molti anni dopo e l’anacronistico sponsor “tortellini Rana” lo esponevo fiero sul davanti, insieme al simbolo dei due mastini di allora. Anche se ai tempi di quello sponsor, Elkjaer non c’era più già da un po’, a me piaceva così, sponsor attuale e nome di un eroe storico del recente passato. Andavo fiero di quella maglietta, e ci abbinavo sempre pantaloncini corti blu, così mi sentivo con la divisa completa. Certo avrei preferito di gran lunga la prima maglia, quella blu, ma come scriverci con il pennarello giallo sopra?
Quelli come me, hanno avuto la fortuna sia nel gruppo dei vicini di casa, sia tra fratelli e cugini di essere il più grande o comunque tra i più grandi, così potevo tirare calci a tutto spiano senza che nessuno reagisse, potevo correre di più rispetto ai piccolini e farli volare via con delle spallate al limite del regolamento. Ma sempre col solo scopo di onorare la maglia che indossavo, quella della mia squadra, quella che alla Domenica con “Tutto il calcio minuto per minuto” prima e “90° minuto” poi, mi faceva gioire e soprattutto soffrire: l’Hellas Verona. Dire cosa rappresentava per me indossare quella casacca, quei colori, anche se solo nel cortile sotto casa, è difficile, era un misto di orgoglio e presunzione, di gioia, dolore e sacrificio. Con la mia maglia gialloblù ci mangiavo e ci dormivo pure. In seguito arrivò un campione argentino, erano i primi anni novanta, si chiamava Caniggia, e così come la sua, anche la mia chioma divenne lunga e decolorata bionda, e inseguendo quel maledetto pallone anch’io mi sentivo il “figlio del vento” proprio come lui.
Infatti, quelli come me, si sono identificati nei campioni che negli anni si susseguivano nella propria squadra del cuore, quando ancora credevamo che i calciatori non erano quei mercenari che sono oggi, e ognuno che andava via d’estate per me era un pianto, se c’ero affezionato, ma seguito subito dopo da una gioia, per un nuovo arrivato, se era uno che mi faceva sognare. Così con quella maglia, ritoccata ogni tanto per ravvivare i colori, sono stato prima Elkjaer, poi Caniggia, infine Stojkovic, quando giocavo in attacco, Cervone poi Gregori quando stavo in porta.
Quelli come me, su quei campetti improvvisati e polverosi di periferia, si giocavano le loro partite all’ultimo sangue e a nulla valevano le raccomandazioni dei nostri padri di non sudare. Al contrario ci siamo sudati fino all’ultima goccia, abbiamo sputato l’anima, ci siamo sbucciati gomiti e ginocchi, perché per noi la partita era vivere o morire, ogni maledetta volta, perché se indossi una maglia allora fai parte di qualcosa, e la devi onorare, e le finestre dei palazzi tutti intorno diventavano gli spalti, diventavano tanti occhi che ti guardavano e anche se affacciati c’erano appena quattro vecchietti a fumare, nella nostra mente c’era l’eurovisione collegata, e nelle orecchie di ognuno di noi le telecronache personali delle azioni. Qualcuno se la commentava pure da solo, ad alta voce.
Quelli come me, non le facevano le cose banali in campo, perché ce l’avevano nel DNA la giocata, lo spettacolo, il tentare sempre il numero, il dribbling di troppo, il tunnel, la rovesciata, e alla fine si dovevano scavalcare reti e recinzioni per recuperare il pallone, perché in fondo, chi ci tira ci va. Ma alla fine ci andavamo volentieri perché almeno avevamo provato a farla, l’acrobazia.
Quelli come me poi sono cresciuti, la scuola è finita e abbiamo cominciato a lavorare, così con i primi soldi ecco la maglietta, quella originale, che per l’epoca era un vero e proprio sogno. Sulla mia il numero era sempre l’undici, il nome quello di Vincenzo Italiano, e finalmente potevo indossare la prima maglia, quella blu. L’altra finisce nel cassetto. Grazie per le mille battaglie, le poche vinte, le tante perse. Il campetto di polvere sotto le finestre di casa è sostituito da quella splendida invenzione che sono i campi di calcetto, un surrogato del calcio vero e proprio, col quale non sono mai andato d’accordo. Sì perché quelli come me si erano segnati alle scuole calcio, però non erano inclini alle regole, perché sul terreno di gioco ci mettono la fantasia, giocano a tutto campo, non hanno ruoli, vogliono solo buttare la palla alle spalle di quel maledetto, messo a guardia della porta avversaria. Io, per esempio, mi appostavo sui calci d’angolo contro di noi, poco fuori dalla nostra area di rigore così se qualche mio compagno la rinviava fuori, potevo scatenarmi in un contropiede micidiale, perché se posso correre in campo aperto allora si che faccio male. Sui nostri invece, di calci d’angolo, mi mettevo al limite dell’area, lontano dalla mischia, perché se fortunatamente mi arrivava la palla sui piedi, allora potevo tirare una bomba, un missile terra-aria verso la porta avversaria, altra cosa che credevo fosse una mia specialità. Però, quelli come me, non sono utili alla causa comune del risultato e del gioco di squadra. Così finivo puntualmente in panchina a masticare amaro, a sentirmi un fuoriclasse incompreso. E dopo che una volta che ci mancava il portiere, fui messo a fare quel ruolo solo perché ero alto e ne prendemmo undici tutti insieme, ho deciso di smettere col calcio giocato. Ma il calcetto no, quello mi dava quell’ebbrezza, quelle possibilità che sul campo grande non avevo. Li potevo sfruttare scatto, velocità, tiro potente, dribblare e calciare punizioni a giro con l’esterno del piede, sì perché quelli come me si sentono un po’ brasiliani, allora tirano così, con le tre dita più piccole mirando all’incrocio dei pali.
Quelli come me non hanno mai sbagliato un rigore, perché tirarlo è concentrazione, è un rituale, è tecnica, forza e classe. E’ essere un eroe oppure un coglione, ed io no, con indosso la maglia dell’Hellas, un coglione no, non potevo proprio esserlo. Così avevo studiato un piano, minacciavo il portiere: “ti tiro così forte che se non ti levi e ti prendo in pieno ti ammazzo”, e lo dicevo anche se si trattava di mio fratello. Lo dicevo con una tale cattiveria che poi tiravo una puntata che puntualmente finiva in fondo al sacco, vuoi per bravura o per la soggezione che avevo messo addosso al portiere, ma ottenevo sempre il risultato sperato.
Quelli come me si preparavano psicologicamente alla partita di calcetto già dall’ora di pranzo, e quando era ora di andare al campo l’ansia ci montava dentro. Perché una partita non è mai banale, ci sarà gente a vederci, e allora lo spogliatoio diventava quel luogo sacro, dove organizzare la squadra, darsi dei ruoli che nessuno rispettava, agitarsi, immaginare di essere calciatori di serie A, che stanno per giocare un derby. E poco importava se la partita finiva alle ventitre, poi il tempo della doccia, tornare a casa e dopo quattro ore la sveglia, e dopo cinque stai su un maledetto muletto nel magazzino dove lavori a ripensare a quella palla li, che se te la passavano meglio allora facevi gol e intanto l’acido lattico ti rende le gambe due colonne di marmo.
Quelli come me, in campo non si sono risparmiati mai, perché quello li era il nostro sogno, immaginavamo di giocare a calcio nella squadra per cui tifavamo, e quindi fino all’ultimo respiro e all’ultima palla giocata, fino a che il guardiano ci cacciava perché il turno dell’ora successiva era pronto ad entrare in campo, credevamo che quell’ultima azione era quella decisiva per segnare ancora e portare a casa il risultato.
Quelli come me, in campo, hanno rischiato tibie, caviglie, clavicole, e poco importava che non ci pagasse nessuno, anzi pagavamo noi per giocare, e non ci importava se qualcuno il giorno dopo avrebbe perso il lavoro, perché ingessato non poteva andare, e verrà licenziato. Sarà stato per una buona causa. Eravamo pure quelli che ci rimanevano male se perdevano, che ci ripensavano ore e ore, che non ci dormivano la notte, che in macchina, al ritorno facevano il pagellone di compagni e avversari, e si sa, a noi stessi andava sempre il voto del migliore in campo, perché non c’eravamo risparmiati, no quello proprio no. E abbiamo giocato davanti a qualche fidanzata, pochi genitori, e gruppetti di cani randagi, ma per noi eravamo in uno stadio, gremito in ogni ordine di posti, e sentivamo la folla gridare, cantare, chiamarci per nome, e se la vittoria portava solo al campo pagato, per noi era il trionfo in Champions League. E poi fare bella figura davanti alle ragazze degli altri ha sempre il suo fascino. Quando azzeccavi un dribbling o un doppio passo, o ti riusciva il goal da fenomeno le sentivi dire “carino, ma chi è quello con la maglietta del Verona”? Sì la maglietta del Verona, quante volte l’avrò lavata, e levata dopo i goal, perché quelli come me quando segnavano esultavano come in una finale scudetto, con maglie levate, baci mandati al cielo, braccia alzate all’insù, mani battute ai compagni e abbracci di gruppo. E poi urla, strilli, bestemmie, trance agonistica, sete tossica, caldo, freddo, pioggia, botte, calci, cazzotti, spinte, risse, correre, correre e poi correre, fino a vedere nero tutto intorno, fino a sentire il cuore in gola, fino a rischiare la propria vita per la vittoria, per la maglia che portavamo. Ed è stato così fino ad arrivare a quasi quarant’anni, quando ti rendi conto che siccome la maglia dell’Hellas non la puoi più onorare, perché prima eri il più grande, ma ora sei diventato solo il più vecchio, allora capisci che è meglio smettere.
Però quelli come me, il sogno l’hanno inseguito, sfiorato con la mente, hanno giocato dal campetto sterrato sotto casa, al campo di calcio, da quello di calcetto, a quello improvvisato su prati e spiagge, hanno giocato in cinque, in undici, col portiere volante e con quello fisso, a risultato da raggiungere, a tempo cronometrato, a tedesca, all’italiano, ai rigori, l’importante era solo che ci fosse un qualcosa di rotondo da prendere a calci.
Quelli come me, anche se sapevano i loro limiti, erano consapevoli però, che quando hanno giocato, hanno dato tutto, come guerrieri in battaglia, e gli è rimasta quella nostalgia, quella voglia dentro, quell’ardore, e quando vedono ragazzi più giovani fare una “mischietta” in spiaggia, con le porte fatte con le ciabatte da mare si alzerebbero dalla sdraia per dire “ragazzi posso fare due tiri?”. Poi invidiano chi ha ancora l’età per correre a perdifiato dietro al pallone e non hanno rinunciato ancora a prendere a calci qualsiasi cosa capiti a tiro, magari una bottiglietta per strada, e se dobbiamo buttare un cartoccio di carta nel cestino della spazzatura lo facciamo col tiro al volo perché ce l’abbiamo nel sangue, e non rinunciamo mai a palleggiare con qualsiasi cosa che capiti tra i piedi, fosse anche un arancia del magazzino ortofrutticolo in cui lavoriamo. E poi, quelli come me, anche se ormai giocano solo con la palletta piccola, quella coi cartoni animati disegnati, nel giardino di casa con la figlia di sei anni, a cui hanno comprato la maglietta piccola del Verona col nome di Luca Toni, il numero lo provano lo stesso: un tiro al volo, una rovesciata, un pallonetto. E come tanti anni prima, invece di scavalcare, devono andare a citofonare ai vicini per recuperare la palla.
Quelli come voi sono quelli come noi che però ce l’hanno fatta. Vuoi per più bravura, più dedizione, più fortuna, più raccomandazione, ora indossate la maglia che quelli come noi sognavano. Avete l’adrenalina della folla, quella vera, che v’inneggia dagli spalti……. Allora vi esorto a pensare a quelli che, come noi, cercano di fare un gol sotto al sette del cancello di casa a una bambina, a quelli che si sono arresi all’età e in cuor loro sognano ancora, a quelli che si sono mantenuti in forma e vanno a giocare alla sera dopo il lavoro, ai ragazzi più giovani, che come facevamo noi anni fa, comprano le vostre magliette, ai bambini impolverati che vi attaccano sulle figurine del loro album e non sanno neanche perché hanno scelto di tifare per voi, invece che qualche squadrone vincente con le maglie a strisce verticali. Quelli come voi devono dare l’anima per chi verrà a tifarvi allo stadio, per chi non si staccherà un attimo dalla televisione, per chi terrà l’orecchio attaccato alla radio, per chi vi seguirà su uno streaming di un computer, ma soprattutto per ognuno di quelli che darebbero tutto quello che hanno per essere al vostro posto, per avere la possibilità di abbattere il nemico, perché lo sognano da quando sono piccoli. Fatelo per chi è andato a dormire col pallone sotto il braccio, per chi il primo pensiero da ragazzi era radunare un gruppo di amici per fare una partita, per chi non si è tirato mai indietro, per chi da voi si aspetta tanto, per chi mette nelle vostre mani il proprio sogno, per chi attraverso voi s’identifica e va avanti nella vita, per chi vincere domani significa vivere e perdere morire, per chi piange disperato quando perdiamo, e di gioia quando vinciamo, per quelli che in campo e fuori, e sono tanti, sono morti inseguendo questo sogno rotolante………… avete forse scelto di fare danza classica? No, allora perché ballare intorno agli avversari senza mollare calcioni, palla o gamba, come facevamo noi sui campi sterrati? Avete forse scelto di fare i centometristi? No, allora perché correre senza una meta, senza inseguire l’avversario che porta la palla? Avete forse scelto di giocare a calcetto? No, allora perché non dare qualche spallata più energica, fare qualche scivolata e far sentire la gamba all’avversario? Avete forse scelto di fare le ballerine col tutù? No, allora perché saltellare di qua e di là senza prendere la palla di testa per liberare l’area nostra o cercare di segnare nell’area loro? La verità è che avete scelto di essere calciatori, avete realizzato il sogno, e allora dov’è quel fuoco sacro che dovrebbe incendiarvi il sangue nelle vene, dov’è quella voglia di annichilire l’avversario e buttare giù la porta come quando eravate ragazzini? In campo dovreste divertirvi e farci divertire, metterci tutti voi stessi, poi se sarà sconfitta sarete applauditi, ma solo se l’avversario sarà stato più forte e voi avrete dato tutto. Ma guai a non provarci e a togliere la gamba. Allora vi chiedo solo un’ultima cosa, tirate fuori dal cassetto quella maglietta, si proprio quella che vi siete disegnati da bambini, perché sono sicuro che ce l’avete ancora, mettetevela sotto la casacca del nostro glorioso Hellas Verona e ritrovate la voglia e l’entusiasmo di quando eravate bambini e scendete in campo. Solo così, sono sicuro che non si potrà proprio perdere“.
FONTE: CalcioGazzetta.it
Verona festeggia i trent’anni dall’impresa, quello che fu lo scudetto degli ‘umili’
Francesco Balducci 12 maggio 2015, 15:57
Sono passati trent'anni da quel lontano 12 Maggio 1985, data dell'ultimo scudetto vinto da una piccola provinciale: il grande Hellas Verona di Osvaldo Bagnoli
12 Maggio 1985. Sono passati trent’anni, dal primo e unico successo dell’Hellas Verona in campionato. Chi scrive non era nemmeno nato, ma il calcio, si sa, è anche uno sport di ricordi, di gesta tramandate, di immagini trasmesse e storie raccontate.
Però quella della compagine veronese, è una di quelle vicende che se non fosse stata documentata, assumerebbe la caratteristiche della tipica leggenda metropolitana, per l’assurda incongruenza di fattori, vincenti, che accomunano le grandi squadre del nostro millennio.
Ci vollero soltanto quattro personalità dirigenziali per amministrare questa storica macchina di successi, capeggiata dal Presidente Guidotti, l’Amministratore Delegato Vicentini, e il responsabile dell’area tecnica Di Lupo, che di comune accordo affidarono la squadra ad Osvaldo Bagnoli. Quella del tecnico lombardo fu una scelta di cuore, che alla Serie A immediata con il Cesena, preferì la serie cadetta solo per poter far stabilire la sua famiglia a Verona, città dove trascorrerà il resto della sua vita.
Al fianco dell’allenatore, a fare da trade union, con la Società fu scelto Emiliano Mascetti. Quest’accoppiata, in soli tre anni, passando dalla promozione in A, costruì una squadra, o meglio, un gruppo straordinario: la linea adottata in sede di mercato fu quella di acquistare giovani di grande talento oppressi nelle società blasonate della massima serie. Fanna (il più grande investimento di quella gestione, costato 1 miliardo di lire) e Galderisi vennero strappati alla Juventus, Di Gennaro dalla Fiorentina, Garella dalla Lazio e Volpati dal Torino.
Dopo due stagioni, contraddistinte da un quarto e un sesto posto, il terreno era spianato, anche se alla viglia di Verona-Napoli, prima di campionato della stagione 1984-85, la formazione veneta aveva come obiettivo primario la salvezza.
La gara contro i partenopei era sotto i riflettori per essere l’esordio di Diego Armando Maradona in Serie A. Nessuno, però, diede importanza ai due stranieri gialloblu, Briegel e Elkjær, che si riveleranno veri protagonisti della stagione.
Il primo, infatti, verrà ricordato per le 9 reti in 27 partire, pur essendo un difensore, mentre il secondo resterà per sempre nei cuori dei tifosi per un gol siglato senza lo scarpino, il 14 ottobre 1984, in un 2-0 contro la Juventus.
Le vittorie continueranno ad arrivare, per un totale di quindici, alternate a tredici pareggi e sole due sconfitte, contro Avellino e Torino.
Non si parlò di scudetto, però, fino alla notte di San Silvestro, perché si narra di un emblematico brindisi di Piero Fanna, inneggiante alla vittoria finale del campionato, sfatando l'impronunciabile tabù. Fu proprio l’ex ala bianconera a segnare un gol di vitale importanza, contro una modestissima Lazio allo scadere, il 28 Aprile 1985, che pose fine a un breve periodo di crisi, e lanciò l’Hellas verso il successo finale, concretizzato proprio il 12 Maggio di trent’anni fa, con un pareggio a Bergamo contro l’Atalanta che valse la matematica certezza, a una giornata dalla fine del torneo.
Questo ‘undici’ resterà per sempre nella storia del calcio nostrano, come icona del trionfo corale, del gruppo glorioso portato alla vittoria non dal solito trascinatore talentuoso, ma dall’ensemble di forze modeste, ma indistruttibili.
Merito di quel successo furono, anche, le idee di mister Bagnoli. Chiamato il ‘condottiero umile’, credeva nel principio della sberla: convinto che nel calcio bisogna darla, qualunque avversario ci fosse di fronte, bisognava provare a passare in vantaggio, prima che fossero gli altri a farlo. Predicava, inoltre, un calcio fatto di pochi tocchi, spesso impostato dal grande libero Tricella, finalizzato poi dalla strana coppia d’attacco, formata dal gigante Elkjæer e il piccolo ma rapido Galderisi, rivoluzionaria per l’epoca, di ordinaria amministrazione oggi (basta guardare Tevez e Morata).
Quello del Verona è stato l’ultimo scudetto vinto da una piccola provinciale, prima che l’egemonia Roma-Torino-Milano lasciasse le briciole alle avversarie. Casi isolati quelli di Napoli e Sampdoria, grandissimi esempi di corazzate inaffondabili.
Adesso il Bentegodi, sponda Scaligera, esulta alle prodezze di Luca Toni, che a 37 anni ha siglato 39 gol in due stagioni. Chissà che questa non sia la prima pietra per il ritorno di un grande Verona.
FONTE: SportNotizie24.it
Scudetto Hellas, il ricordo di Elkjær: “Eravamo i migliori, una data importante. Toni…”
Gianluca Di Marzio 12-05-2015 20:19
Nel dolce (-issimo) ricordo di quello scudetto indimenticabile, dipinto di gialloblù. Hellas Verona che ripercorre qugli attimi, con i campioni che furono. Uno di loro, Preben Elkjær Larsen, che è intervenuto ai microfoni di Radio Bellla & Monella, official radio dell'Hellas Verona.
Preben questa sera commenterà Bayern Monaco-Barcellona, match di Champions League, ma qualcosa ci dice che racconterà anche qualche aneddoto di trent'anni fa... Decisamente, è una data troppo importante. Cosa ho pensato quando mi sono svegliato stamattina? 'Ma piove ancora in Danimarca?' (ride, ndr). In realtà è una giornata molto particolare per Verona, per noi calciatori, per l'allenatore... quello di trent'anni fa è stato un traguardo per cui abbiamo lavorato molto duro. Abbiamo anche avuto molta paura che alla fine qualcuno ci avesse potuto strappato tutto. Però è andata bene ed è sempre una grandissima gioia ricordarlo.
Si è scritto e detto tutto dello Scudetto. C'è qualche segreto di cui non ha mai parlato? No, ho sempre raccontato tutto a chi me lo ha chiesto. Non c'erano segreti, è tutto alla luce del sole: abbiamo vinto insieme, come squadra, come società, come città. Abbiamo vinto perché eravamo i migliori... perché quell'anno lì eravamo i miglior!
Un'ultima cosa: il Sindaco a Verona è uno e non ce ne potranno essere altri. Ma Luca Toni potrebbe essere un buon vice-sindaco?
Sì, certo, va benissimo, così lui può lavorare e io mi posso riposare (ride, ndr).
FONTE: GianlucaDimarzio.com
30 anni fa la favola Hellas, ultima poesia di un calcio scomparso
Esattamente 30 anni fa l’Hellas Verona si laureava campione d’Italia al termine della stagione ’84/85, abbiamo voluto ricordare questa bella pagina di sport
Siamo quasi certi che non potrà succedere più, purtroppo, ma almeno siamo felici che sia successo.
Oggi, trent’anni fa. Hellas Verona campione d’Italia il 12 maggio 1985 a Bergamo: 1-1 con l’Atalanta e fu quello l’ultimo capitolo di una cavalcata straordinaria. Per renderci conto della reale entità dell’impresa, bisogna contestualizzare bene il periodo storico. La nostra serie A era Hollywood, c’erano i migliori. Tutti i migliori. Facevano la fila per venire a giocare nel nostro campionato. Avevamo i soldi e tanto fascino. Eravamo una calamita per i fuoriclasse di tutto il mondo: Diego Armando Maradona, Michel Platini, Karl-Heinz Rummenigge, Paulo Roberto Falcao, Zibì Boniek, Liam Brady, Socrates, Junior, Daniel Passarella solo per citarne alcuni. Ogni club poteva tesserare due stranieri.
L’Hellas prese il tedesco Hans-Peter Briegel ed il danese Preben Elkjaer, ribattezzato Cenerentolo perché segnò un gol senza scarpa alla Juventus. Furono due innesti fondamentali in una squadra che già aveva fior di giocatori: Claudio Garella, portiere che parava con tutto fuorché con le mani, Luciano Marangon, il terzino-playboy, Pietro Fanna, l’ala estrosa che in nazionale era il vice di Bruno Conti, Roberto Tricella, il capitano, Antonio Di Gennaro, il regista cui Bearzot affidò l’Italia del dopo-Antognoni, Giuseppe Galderisi detto Nanu, centravanti dai guizzi definitivi. L’allenatore di quella squadra era Osvaldo Bagnoli, saggio, concreto ed intelligente nel consegnare ai suoi interpreti uno spartito perfetto. Trent’anni dopo, quei cavalieri che fecero l’impresa, hanno percorso sentieri alternativi, in tanti si sono allontanati dal calcio ma si ritrovano un paio di volte all’anno, così, anche solo per avere la conferma che tutto questo è successo davvero. Hellas Verona campione d’Italia, succedeva trent’anni fa. L’ultima favola di un calcio romantico che non esiste più.
12 mag 2015
FONTE: SoccerMagazine.it
Trent’anni fa il Verona diventava Campione d’Italia (video)
Garella, Marangon, Tricella, Ferroni, Briegel; Fanna, Fontolan (Volpati), Di Gennaro; Galderisi, Elkjaer. Allenatore Osvaldo Bagnoli. Questa la formazione che nel 1985 conquistò lo storico tricolore contro ogni pronostico, riuscendo a ridimensionare anche l'arrivo di Diego Armando Maradona al debutto in Serie A
11 MAGGIO 2015 15:36 di Alessio Pediglieri
Al minuto 51′ di Chievo-Verona è arrivato un boato dal Bentegodi, curva dell'Hellas Verona. Nessun gol in campo, almeno non in quel momento. I tifosi gialloblù hanno voluto così omaggiare il 30° dello storico scudetto vinto il 12 maggio proprio al minuto 51′, nel quale Preben Larsen-Elkjaer segnò lo storico 1-1 all'Atalanta che sancì il tricolore scaligero. Per questo, i tifosi gialloblù hanno fatto partire un boato, per poi alzare tutti al cielo la sciarpa dell'Hellas approfittando della cornice del derby. In quella stagione il Verona di Bagnoli riportò lo scudetto in provincia a oltre sessant'anni dalle vittorie della Pro Vercelli, richiamando un altro storico successo, quello del Cagliari targato 1969-70.
La squadra rivelazione arrivata da lontano
Dopotutto l'evento è storico e – ad oggi – non ripetuto e irripetibile. Quel Verona dei primi anni '80 ha fatto storia, è diventato leggenda, ha insegnato molto: un Carneade assunto a padrone del mondo, Davide trasformatosi in Golia, figlio di una progettualità e da una lungimiranza della dirigenza d'allora grazie alle scelte di Guidotti e Chiampan e alla sagacia tecnica di Mascetti e Bagnoli. Perché chi pensa che quel Verona vincente fosse stata una semplice meteora sbaglia, o non ricorda: fu l'acme di un ciclo costruito sulla volontà degli uomini e dei professionisti di arrivare all'obiettivo, con perseveranza e dedizione e – soprattutto – rispedendo al mittente le avance di mercato che ne avrebbero potuto minare le basi.
Dalla B alla vetta nel segno di Bagnoli
Tutto inizia da lontano, dalla stagione 1982-83, quando il Verona (promosso in A solo l'anno prima) si dimostra già la squadra rivelazione del torneo, conquistando contro ogni pronostico la quarta posizione in classifica. In quella stagione la formazione-tipo del Verona era: Garella tra i pali, Oddi, Marangon, Volpati, Spinosi, Tricella, Fanna, Sacchetti, Di Gennaro, Dirceu e Penzo. Un buona base su cui costruire: rifiutando offerte da parte delle milanesi e di altri top club italiani, il tecnico Osvaldo Bagnoli diventa una delle figure vincenti del Verona: è corteggiato dalle grandi, ma il tecnico milanese rifiuta le proposte, e preferisce lavorare in un'isola tranquilla come la piazza di Verona.
12 MAGGIO 1985: VERONA CAMPIONE D'ITALIA |
Il Verona ridimensiona Maradona
E' una saggia decisione da parte del Mister, che la stagione successiva, 1983-84, con quattro piccoli innesti, si classifica al sesto posto. Piazzamento peggiore dell'anno prima ma sicuramente la squadra inizia a prendere sempre più le caratteristiche vincenti della filosofia di gioco del tecnico, amalgamandosi e formando un gruppo che l'anno seguente dominerà il campionato. E così arriva l'anno magico, la stagione 1984-85 con lo storico tricolore vinto con una giornata d'anticipo. Un anno particolare, quello della prima stagione con i sorteggi arbitrali a gruppi ma soprattutto quello dell'esordio di Diego Armando Maradona con la maglia del Napoli. Un arrivo che catalizza le attenzioni per tutta l'estate e che fa del club partenopeo uno dei più attesi (finirà 8°) con la stella argentina in campo. Con cui si confrontò alla prima giornata proprio il Verona: 3-1 dei veneti al Bentegodi, Napoli battuto, Maradona ridimensionato da un monumentale Briegel e il via al sogno che culminò sul campo di Bergamo con l'1-1 di Elkjaer al 51′.
Il tributo di Gianni Brera
E l'omaggio più grande per lo storico successo tricolore arriva dalla penna del Giuan Brera fu Carlo, straordinario cantore del nostro calcio che delinea di ogni protagonista inarrivabile profilo. Partendo come giusto, dal suo condottiero, Osvaldo Bagnoli.
Bagnoli è tecnico di mirabile pragmatismo: le doti umane in lui poco palesi per la sua naturale introversione, risaltano sul piano pedagogico e persino sul piano etico. I suoi allievi lo sanno bene eper questo gli sono affezionati: li considera uomini, non solo macchine da gioco, suscettibili di fusioni e connessioni magicamente articolate negli schemi.
Fanna: è il tipico emigrante furlano. Ne ha scritte sul volto le profonde angosce e gli sforzi virili per superarle. Ha lasciato la famiglia a quattordici anni, come un singolare garzone di pedata. Ha imparato a Bergamo, non è riuscito a progredire in Juventus ed è stato dimesso perchè troppo emotivo e negato a goleare. Bagnoli l'ha reinventato jolly prodigioso: corre da una linea di fondo all'altra, batte con i due piedi: difende, imposta e rifinisce, raramente conclude. L'Inter lo vuole per sostenere il settimino Brady e crossare per Altobelli e Rummenigge. Bearzot lo vuole per la nazionale campione del mondo.
Garella: volto intelligente e matto del cascatore specialista: stile inventato ogni volta, secondo coordinazione sbirolenta. Bagnoli dice: "Non credo alle rigenerazioni: se non era mica buono non usciva (dalla mediocrità)". Quest' anno avrà parato cinquanta tiri-gol. Un miracolo che tenterà di rinnovare al Napoli. Un portiere non può farti vincere il campionato; però può fartelo perdere. Senza Garella, il Verona poteva finir male.
Marangon I: tipo estremamente simpatico, pronto a chiedere l'apertura verso il suo out, che è il sinistro: l'Inter lo vuole per non rivedere le sue finte ali sinistre, arrivare all'estrema, fermarsi e poi voltarsi in dribbling per battere il cross con l'unico piede, il destro. Partite memorabili, non recenti. Piuttosto incolore nel finale.
Tricella: della prodigiosa tribù cernuschina, madre di Scirea e Galbiati. Pronto a lanciarsi per dettare il disimpegno e costruire lungo: forse migliore in lui il costruttore che non il difensore. Possibilità di migliorare molto.
Fontolan: recupero clamoroso di Bagnoli: acrobata insigne negli stacchi; lento nei gesti minimi; buon battitore. Tutti lo danno per milanese: è comasco di Garbagnate Rota.
Volpati: si è sposato ieri (auguri) e si laureerà domani in Medicina: intanto gioca con spietato pragmatismo annichilendo l'avversario marcato da lui e valorizzando il gioco di Di Gennaro, cui si offre per il passaggio sicuro (in quanto è bene smarcato). Secondo Bagnoli durerà ancora due anni. Ne ha trentaquattro.
Di Gennaro: emulo di De Sisti ma con lancio lungo più forte e pulito. Bagnoli gli insegna i segreti del centrocampo, fondati sulla misura dinamica, cioè sul risparmio e sulla arcigna riconquista della palla.
Briegel: è un armadio che i tedeschi facevano giocare terzino d' ala: Bagnoli lo inventa centrocampista: la sua resa è fenomenale: prepotenza atletica: ipertrofia crurale che rende sgraziato il suo correre e il suo tocco: sporca la palla ma con il sinistro cannoneggiata fortissimo e in acrobazia la fa da match-winner. Che più?
Galderisi: l'è terron de caratter, dice Bagnoli, e persino menestrello: però si batte con un coraggio da leone: difende la palla come pochi: a me ricorda el Guarnieri de l'Ortiga, centravanti dell'Inter 1940: un nano prodigioso.
Elkjaer Larsen: danesone estroverso, matt come on cavall (dice Bagnoli): falcata distesa da duecentista: tiro forte, specie con il destro. Lungo periodo di assenza per malanni contratti innazionale. Diventerà anche acrobata, se si applica.
Il ricordo dell'Osvaldo
A 30 anni di distanza, è lo stesso Osvaldo Bagnoli a ricordare quei momenti irripetibili, di un gruppo che dopo il tricolore si sciolse in giro per l'Italia, acquistato a peso d'oro dai grandi club. E l'ex tecnico tricolore ha definito quel successo lo "scudetto dello spogliatoio": "Per lo scudetto vinto dal Verona bisogna ringraziare lo spogliatoio. Erano dei ragazzi che andavano d'accordo fra di loro. Il miglior ricordo di quell'anno è proprio lo spogliatoio. Quell'anno avevamo cambiato solo i due stranieri che si trovarono subito benissimo con il resto del gruppo. Il mio preferito? Non si può dire. Era un gruppo che andava d'accordo e non c'erano preferiti. C'erano giocatori che erano con me da prima. Uno tipo come Volpati era con me dalla Solbiatese"
FONTE: Calcio.FanPage.it
SPORT
Trent'anni fa lo storico scudetto del Verona, Bagnoli: "Il miglior ricordo? Lo spogliatoio"
Hellas Verona 1984-85 (Foto sito ufficiale Hellas Verona)
Articolo pubblicato il: 11/05/2015
Era il 12 maggio del 1985 quando il danese Preben Elkjaer segnò il gol dell’1-1 sul campo dell'Atalanta facendo conquistare al Verona di Bagnoli il primo e unico scudetto dell'Hellas. A portare i gialloblu nella storia del calcio italiano furono 15 vittorie, 13 pareggi e 2 sconfitte, per un totale di 43 punti in classifica.
"Per lo scudetto vinto dal Verona bisogna ringraziare lo spogliatoio. Erano dei ragazzi che andavano d'accordo fra di loro. Il miglior ricordo di quell'anno è proprio lo spogliatoio", dice oggi Osvaldo Bagnoli .
"Quell'anno avevamo cambiato solo i due stranieri che si trovarono subito benissimo con il resto del gruppo. Il mio preferito? Non si può dire. Era un gruppo che andava d'accordo e non c'erano preferiti. C'erano giocatori che erano con me da prima. Uno tipo come Volpati era con me dalla Solbiatese", spiega il tecnico di quel Verona, che non vuole fare paragoni con tecnici di oggi. "Sarri? Non mi piace fare paragoni con altri allenatori. Posso dire che uno sia bravo ma non riesco a paragonarmi", dice con modestia Bagnoli.
Parole di grande apprezzamento verso il suo ex allenatore arrivano poi da Domenico Volpati. "La modestia di Bagnoli è incredibile, in lui è insita la saggezza delle persone semplici. E' molto pragmatico e in quello spogliatoio non doveva parlare tanto. Sapevamo già tutto, bastava guardarsi negli occhi".
Ma è difficile il ripetersi di quella stagione. "Allora i top-player, i migliori giocatori del mondo erano in Italia, dovevamo confrontarci tutte le domeniche con giocatori che erano nelle nazionali tedesche, argentine, brasiliane, che starebbero benissimo anche nel calcio di oggi", aggiunge Volpati.
Un ringraziamento a Bagnoli arriva anche da Giuseppe Galderisi. "Oggi come allenatore cerco di essere giusto nei confronti dei giocatori, Bagnoli mi ha insegnato questo e mi ha dato tantissimo, aveva molta attenzione sui giocatori che non erano titolari".
Poi sulla possibilità di un nuovo Verona, aggiunge. "Credo che sarà molto difficile ripetere un'impresa del genere, sono cambiati, i tempi, gli introiti, la possibilità di poter investire. Sarebbe bello vedere un altro Verona stare davanti a tutti dall'inizio alla fine e vincere uno scudetto che dopo 30 anni ancora nel cuore non solo dei tifosi del Verona ma di tutti gli italiani".
FONTE: ADNkrono.com
1985, il trionfo del Verona. Così una squadra di provincia con un allenatore operaio e undici calciatori incompresi si sono portati a casa lo scudetto più incredibile nella storia del calcio italiano. Un miracolo gialloblu raccontato da Gianni Mura e con i ricordi di Preben Elkjaer Larsen
la Repubblica, lunedì 11 maggio 2015
Quello scudetto, bellissimo e irripetibile, basterebbe una frase di Fanna a spiegarlo: «Con Bagnoli ci siamo sentiti come uccelli fuori dalla gabbia». Per capire Bagnoli basterebbe un episodio. Nel marzo 1985, con il Verona in testa alla classifica fin dalla prima partita, l’Associazione allenatori organizzò un convegno sul tema “Evoluzione tattica del calcio mondiale”. C’erano tutti, da Trapattoni a Sonetti. Bagnoli, figuriamoci, in penultima fila. A un certo punto lo chiama il coordinatore, Marino Bartoletti, per illustrare il fenomeno-Verona. Bagnoli sale sul palco, si tocca il naso (fa sempre così quando è incerto sull’avvio) e dice: «Ecco, adesso mi tocca fare la figura dello stupido perché non c’è niente da spiegare. Dico solo una cosa: il Verona gioca un calcio tradizionale, che noi facciamo pressing lo leggo sui giornali. Io in campo non l’ho mai notato. Scusate, ma mi chiedete una ricetta che non ho».
La ricetta in realtà era già nota: «El tersin fa el tersin, el median fa el median». Ha un modo tutto suo di parlare, Bagnoli. Mescola il suo primo dialetto, milanese, con quello di Verona: dove ha giocato, ha messo su famiglia, ha allenato e vive. Cosa gli resta dello scudetto di trent’anni fa? «L’affetto della gente, in città, e dei miei giocatori. Ogni tanto ci si ritrova per una partita di beneficenza. Le feste, una ogni cinque anni. E ogni volta che vedo tutta ‘sta gente contenta mi dico che abbiamo fatto qualcosa di bello. Tutti insieme, voglio sia chiaro. I giocatori, il ds Mascetti, il presidente Guidotti, il patron Chiampan, la città che non ci ha messo pressione. E anche un po’ di fortuna: avevo una rosa di 17 giocatori per campionato, coppa Italia e coppa Uefa. Si infortunavano uno alla volta, potevo metterci una pezza».
Una rosa di 17 giocatori. Ecco perché parliamo di uno scudetto irripetibile, ma anche di un materiale umano, non solo tecnico, di cui si sono perse le tracce. Sapete in base a quali informazioni Bagnoli chiedeva questo o quel giocatore al suo amico Ciccio Mascetti? «Sfogliavo l’almanacco Panini e cercavo centrocampisti da tre-quattro gol a stagione». Era stato operaio, poi calciatoreoperaio, poi allenatore-operaio. Per capire Bagnoli bisogna aver visto il suo quartiere, la Bovisa, quando era solo prati e fabbriche. Il padre lavorava alla Fargas. Lui giocava a pallone, scalzo. «Succede mica solo in Brasile, sa?». Abitava al 104 di via Candiani, vicino alla stazione delle Ferrovie Nord, quelle dei pendolari. Lascia dopo la prima media e passa a una scuola di disegno tecnico. «Che era già lavorare. Nel doposcuola facevo cinture». E poi tazze di water, a cottimo. E poi fasce elastiche in un’officina meccanica. «Lavori che insegnano cos’è la fatica, i veri sacrifici, altro che quelli dei calciatori». Continua a giocare a pallone ed è bravo, tant’è che dall’Ausonia lo preleva il Milan, insieme all’amico Pippo Marchioro. Un giorno lo convocano in sede: Bagnoli, lei è aggregato alla prima squadra. «Ghe disi: podi no, ho il lavoro in fabbrica che s’incastra con gli orari della Primavera, ma la prima squadra è un’altra roba». E allora? «Me disen: quanto prende in fabbrica? Ventottomila al mese». E loro: facciamo 35mila, ma domani si licenzia.
Chi ha visto giocare Bagnoli lo paragona a Simeone. Lui a Verona si rivedeva un po’ in Bruni. Penso che da calciatore abbia avuto meno di quel che meritasse, ma non se ne è mai lamentato. Come centrocampista al Milan era chiuso da Liedholm e Schiaffino, come ala da Cucchiaroni. Ma è in quel periodo che matura una certezza e la porterà in panchina. «Se avevo l’8 giocavo meglio che se avevo il 7. Non è solo una questione di numeri, è anche una cosa di testa, un sentirsi al posto giusto. Certo che conta lo spogliatoio, ma devono pensarci i giocatori. Il succo del nostro lavoro è trovare per ognuno il posto giusto. Marangon ci ha detto che se ne voleva andare e così abbiamo preso Briegel. Poi Marangon rimane e ci ritroviamo con due terzini sinistri, uno spreco. Un giorno parlo con Briegel, mi dice che giocare a centrocampo è il suo sogno. Ben, ghe disi, allora alla prima di campionato te marchet el Maradona». Verona-Napoli 3-1, duello vinto da Briegel, che segna pure un gol.
Il ritiro, sempre in Trentino, a Cavalese. Albergo decoroso, lussuoso no di certo. Alla fine del ritiro Bagnoli riuniva la squadra e diceva: i miei 11 sono questi, gli altri giocheranno in caso di incidenti o squalifiche, ma devono farsi trovar pronti. Questa era la sua filosofia: parlare chiaro, e mai dietro le spalle. Brera affettuosamente lo ribattezzò Schopenhauer. Bagnoli s’informò su Schopenhauer e disse: «Non sono pessimista, sono realista. Ci sono volte che puoi indirizzare le cose, altre volte vanno come vogliono loro». La predilezione di Brera fece passare Bagnoli per italianista, dunque catenacciaro. In realtà, giocava con due marcatori fissi in difesa, a zona mista in mezzo al campo. Per inquadrare l’impresa del Verona, va detto che in campionato c’erano stranieri come Maradona, Platini, Rummenigge, Falcao, Zico, Passarella, Boniek, Brady, Junior, Socrates, Hateley, Cerezo, Diaz, Souness. E gli italiani che avevano vinto il mondiale nell’82. In quell’anno il Verona con Bagnoli è promosso in A. L’Osvaldo raggiunge un accordo con Ardiles, ma il Tottenham offre di più e l’affare salta. Nei due campionati che precedono lo scudetto il Verona arriva due volte alla finale di Coppa Italia, perdendola, e si piazza quarta e sesta in campionato. Non è una squadretta ma non sembra uno squadrone. Lo diventerà. Un po’ alla volta Bagnoli aveva richiamato suoi ex giocatori (Volpati, Fontolan, Guidetti) e concesso fiducia e spazio a giocatori ritenuti non fondamentali da squadre più grosse: Garella (Lazio), Di Gennaro, Sacchetti e Bruni (Fiorentina), Fanna e Galderisi (Juve), Marangon (Napoli e Roma), Tricella (Inter), Ferroni (Samp). Anche Fontolan era passato per l’Inter, e Volpati per il Torino. Sbagliato definirli scarti, ma incompresi va bene. Agli europei Bagnoli e Mascetti avevano notato un danesone che giocava in Belgio (Lokeren) e un tedescone del Kaiserslautern. Erano le ciliegione sulla torta.
La torta c’era già. Ingredienti: un regista difensivo e uno a centrocampo (Tricella e Di Gennaro), un terzino sinistro di spinta (Marangon), un’ala destra veloce (Fanna), libera di andare anche a sinistra, un centrocampo di cursori dotati tatticamente, una punta potente e una leggera. Il dodicesimo, che poi giocò tutte e 30 le partite, doveva essere Volpati, chiamato l’intellettuale del gruppo perché studiava Medicina. Il magnifico Volpati, lo chiamava Brera, non solo perché era pavese come lui anche se nato per caso a Novara. Mi raccontò che a Cassolnovo, il suo paese, in estate tiravano le sedie fuori dai bar e le mettevano ai bordi della provinciale, i camion passando spandevano fresco. Bagnoli l’aveva trovato alla Solbiatese: «Giocavo di punta, mi ha arretrato a centrocampo». In carriera ha fatto di tutto tranne che il portiere. Nel Verona, terzino destro o stopper o libero per tappare un buco, altrimenti a centrocampo in sintonia con Di Gennaro e le avanzate di Tricella, che era il primo contropiedista. Era una squadra solita, che in attacco s’apriva come le dita di una mano. C’era uno schema: rinvio di Garella per il petto o la testa di Briegel, deviazione su Di Gennaro e lancio per una delle tre punte. «Bagnoli mi ha insegnato il gioco senza palla», disse Tricella, che in Nazionale tolse il posto a Baresi.
L’ultima notte del 1984 la passarono tutti insieme, staff tecnico e giocatori con mogli e fidanzate. Lo staff tecnico era composto da Bagnoli e dal suo vice, Toni Lonardi, ex portiere ed allenatore dei portieri. Nessun preparatore atletico. Al momento del brindisi si alzò Fanna, un friulano che parlava pochissimo e in campo era una specie di Robben e disse: «Ragazzi, questo è il nostro anno». Fu l’unica stagione di sorteggio integrale per gli arbitri. Bagnoli, è un caso? «A me ‘sta storia dà fastidio, sembra che abbiamo vinto perché gli arbitri fischiavano diverso e ci hanno favoriti. Invece fischiavano allo stesso modo». Segue ancora il calcio? «Vado a vedere il Verona, hanno dato una tessera a me e a mia moglie. In tv faccio fatica a ricordare i nomi dei tanti stranieri. Ma non vedo ‘sto gran spettacolo. Sette-otto passaggi per arrivare a centrocampo e poi palla indietro al portiere, che barba». È stato esonerato due volte, alla prima e all’ultima panchina, Solbiatese e Inter. «Alla Solbiatese era una questione di dignità, di rispetto dei ruoli. Nell’intervallo il presidente voleva cambiare posizione a Tosetto. All’Inter l’ho vissuta come un’ingiustizia».
Pellegrini ha più volte detto di provare rimorso per quel licenziamento, che definisce il suo più grande errore da presidente. «Lo so, comunque è acqua passata. Ho scoperto com’è bello godersi la famiglia, e già allora i giocatori pretendevano tanto e davano poco». Ogni domenica, prima della partita, Bagnoli non faceva lezione, in spogliatoio. Si sedeva in un angolo e leggeva la Gazzetta. Sottinteso: non ho niente da spiegarvi, basta quel che ci siamo detti in settimana, ho fiducia in voi. Così s’è aperta la gabbia, non solo per Fanna. Ed era bello vederli giocare a memoria. Media-spettatori del campionato: 38.871. Disse Volpati il giorno dello scudetto: «Per capire veramente quello che abbiamo fatto ci vorrà del tempo». Già, e trent’anni sembrano pochi.
Gianni Mura
Intervista a Preben Elkjaer Larsen
Aveva due cognomi, qualche definizione gliel’aggiunse Brera: atleta bufalino, un incrociatore, sfondatore impetuoso. Per chi l’ha visto e per chi non c’era, va aggiunto che Preben Elkjaer Larsen arriva a Verona nell’estate del 1984 dopo aver trascinato una meravigliosa Danimarca alla semifinale degli Europei. Sarà terzo e poi secondo al Pallone d’oro.
«Avevo già 28 anni. Giocavo in Belgio, al Lokeren, da quando ne avevo 21. Tranne un secondo posto, eravamo una squadra che arrivava quarta, ottava, decima. Non è che io all’epoca sapessi molto dell’Italia, e nemmeno di Verona. Fu mia moglie a spingere. Disse: andiamo subito. Credo che tanta convinzione avesse a che fare con Giulietta e Romeo».
Eravate sposati da poco?
«Macché. Da sei anni. E sei anni di matrimonio mi parevano già tantissimi. Presi informazioni da Miki Laudrup. Giocava nella Lazio. Era certo che mi sarei trovato bene, disse che il Verona aveva buoni giocatori e che con me ci saremmo piazzati quarti o quinti».
Il primo giorno?
«Lo passai a fare le visite e a cercare casa. Ero con Briegel. Quando arrivammo al lago di Garda, mia moglie disse: ho deciso, noi viviamo qua. La casa al lago ce l’abbiamo ancora, ci vengo due o tre volte all’anno. Non ho mai accettato altre proposte da squadre italiane, ne avevo due, e non mi pare serio fare i nomi neppure dopo 30 anni, perché sentivo che avrei mancato di rispetto ai veronesi».
Cos’era lo scudetto per voi, all’inizio del campionato?
«Una parola. Una cosa lontana. Ci sentivamo forti, ma eravamo convinti che per lo scudetto servisse qualcosa di più. Avevate il campionato più bello del mondo. Io volevo accertarmi d’essere all’altezza, ma non ho mai avuto paura. Sarei stato felice anche di arrivare quarto».
In Italia si ricorda spesso che fu un campionato con il sorteggio integrale degli arbitri. Aveste 4 volte Casarin, 3 Mattei, 2 Agnolin e D’Elia: i migliori.
«Mi piace pensare che non c’entra niente. Abbiamo perso due volte in un anno. Eravamo i più forti, tutto qui. Certo, se ci sono arbitri che ti vogliono male, diventa difficile vincere. La gente cominciò a crederci presto, e noi a dire: calma, calma».
Quinta giornata. Ottobre. Verona- Juve. Lei fa gol senza scarpa. Forse quel giorno capiste.
«Feci una lunga corsa verso la porta, mi accorsi subito di aver perso la scarpa. Ma volevo solo tirare e segnare. È incredibile che in Italia dopo trent’anni ancora ricordiate quel gol. In Danimarca si dimentica più facilmente. Intorno a noi c’era tanta simpatia, anche negli altri stadi d’Italia».
Lei passava per un tipo ribelle. Il whisky, le donne. Come fu l’impatto con il rigoroso Bagnoli?
«Mi chiamavano cavallo pazzo, un danese napoletano. Ma noi danesi siamo così. Gente tranquilla a cui piace scherzare. Io ero solo più danese di altri. Mia moglie non ha mai avuto motivo di essere gelosa. Capivi subito chi era Bagnoli e cosa voleva. Un duro gentiluomo, un uomo onesto che ti chiedeva di lavorare. Sapeva che intorno a una capolista gira un cerino ogni giorno. Parlava poco per non accenderlo. Ci siamo sempre capiti guardandoci».
Si diceva che le consentisse di fumare nell’intervallo.
«Ma no, non ho mai fumato. Intendo, mai nell’intervallo. Fumavo prima e dopo. Se dopo 30 anni ancora lo dicono i miei compagni, mi sa che stanno perdendo la memoria».
Al “Guerin sportivo” mesi fa Tricella ha raccontato che dovettero insegnarle come vestirsi.
«In Belgio la cosa che contava di più era fare gol. Scoprii che in Italia contava pure vestire bene. Ogni tanto mi accompagnavano a fare spese. Ma Briegel era peggio di me. Aveva sempre la stessa tuta».
E lei portava i mocassini scalzo?
«Oh, questa poi. Non è vero. Solo d’estate. I calzini d’inverno li mettevo».
Potrà vincere mai più un altro Verona?
«Prima o poi succederà. È il bello del calcio. Venti anni prima di noi aveva vinto il Bologna, anche loro con un tedesco, Haller, e con un danese, Nielsen. Può darsi che sia la formula giusta…».
Intanto gli stranieri sono aumentati.
«Non dirò mai che sono troppi. Il calcio è cambiato, il mondo è cambiato. Ci si mescola, perché stupirsi? Mi dispiace solo che siano pochi i danesi. Non abbiamo tanti bravi giocatori».
30 anni dopo, Verona ha due squadre. Sorpreso?
«Cosa posso fare, vuol dire che la città riesce a sostenerle. Se il Chievo ce la fa a restare in A non ho problemi, ma a me importa che ci sia l’Hellas. L’Hellas in B non deve andare mai più».
Oggi commenta calcio per una tv danese. La serie A le piace?
«Non la riconosco. I ragazzi non immaginano cosa fosse. La Juventus è la squadra più forte, ma il Napoli è la più bella. Mi piace anche la Fiorentina».
Che cosa le ha lasciato Verona?
«Mio figlio Max. Ha 28 anni. È nato a Verona. Ogni volta che lo guardo, penso a voi. Ha provato a fare il calciatore, si è rotto una gamba sciando e niente, il suo destino era un altro. In questi anni, quando capitava di avere idee differenti, mi diceva: Papà, cosa vuoi farci, io sono italiano. È stata una bella avventura. Qualche volta la sera, quando chiudo gli occhi, vedo Verona».
Angelo Carotenuto
FONTE: CinquantaMila.it
Hellas Verona, 30 anni dall'ultimo scudetto di provincia
11 MAGGIO 2015
"Merito dello spogliatoio". Se chiedete un commento ad Osvaldo Bagnoli, allenatore dello scudetto del Verona nel 1985, non vi dirà di più. E se lo dice lui che di quella vittoria fu l'artefice, c'è da credergli. Gli scaligeri erano tornati in serie A tre anni prima con lui e scorrendo i nomi della rosa di quella stagione spuntano solo due cognomi stranieri: il tedesco Briegel e il danese Preben Elkjær, autore anche di un gol senza uno scarpino nel 2-0 contro la Juventus. Il campionato fu combattutto, insieme a Torino e Inter. Ma alla fine, il 12 maggio, arrivò il punto della matematica certezza nel pareggio 1-1 contro l'Atalanta: il primo - e unico - tricolore vinto da una squadra di una città non capoluogo di regione.
FONTE: RaiNews.it
martedì 12 maggio 2015
Festa Hellas Verona: campione 30 anni fa
Il 12 maggio 1985 la festa a Bergamo dopo una cavalcata straordinaria
di Furio Zara
ROMA - La sensazione: non succederà più (purtroppo). La certezza: è successo (e meno male). Oggi, trent’anni fa. Hellas Verona campione d’Italia. 12 maggio 1985, a Bergamo: 1-1 con l’Atalanta, e fu quello l’ultimo atto di una cavalcata straordinaria. Per renderci conto della reale entità dell’impresa, bisogna inquadrare bene quegli anni. La nostra serie A era Hollywood, se avete presente. C’erano i migliori. Tutti. Facevano la PER APPROFONDIREBagnoli: «Il mio scudetto merito dello spogliatoio» Toni alla caccia di Tevez: «Sarò capocannoniere» Mandorlini: «Pari giusto? Sì, ma quanti cartellini!» FOTO Chievo-Verona: pari spettacolare al Bentegodi Stramaccioni: "Toni strepitoso, serve lo spirito di martedì scorso" fila per venire da noi. Avevamo soldi. E fascino. Eravamo una calamita per i fuoriclasse di tutto il mondo. Maradona. Platini. Rummenigge. Falcao. Boniek. Brady. Socrates. Junior. Passarella. E potremmo andare avanti ancora. Ogni club poteva tesserare due stranieri.
CHE VERONA! - Il Verona prese il tedesco Briegel e il danese Elkjaer, ribattezzato Cenerentolo perché segnò un gol senza scarpa alla Juventus. Furono due innesti fondamentali in una squadra che già aveva fior di giocatori: Garella, il portiere sghembo che parava con tutto fuorché con le mani, Marangon, il terzino-playboy, Fanna, l’ala estrosa che in nazionale era il vice di Bruno Conti, Tricella, il libero dai piedi buoni, Di Gennaro, il regista cui Bearzot affidò l’Italia del dopo-Antognoni, Galderisi detto Nanu, centravanti dai guizzi definitivi. L’allenatore di quella squadra era Osvaldo Bagnoli, saggio, concreto, intelligente nel consegnare ai suoi interpreti uno spartito perfetto. Trent’anni dopo, quei cavalieri che fecero l’impresa, hanno percorso sentieri alternativi, più di qualcuno si è allontanato dal calcio: Volpati fa il dentista, Tricella vende case, Sacchetti è broker, Marangon gira il mondo aprendo locali con il suo marchio. Si ritrovano un paio di volte all’anno, così, anche solo per avere la conferma - guardandosi in faccia - che tutto è successo davvero. Hellas Verona campione d’Italia, succedeva trent’anni fa.
FONTE: CorriereDelloSport.it
FOCUS
"Verona8485", una serata da applausi
verona.iamcalcio.it scritto il 19 Maggio 2015, ore 16:28
Un successo "Verona 8485" al teatro parrocchiale di San Floriano nel meraviglioso contesto della Pieve romanica. Ieri sera, in una sala gremita, Ermanno Regattieri e Andrea de Manincor, con la collaborazione di Estravagario Teatro hanno strappato applausi al pubblico e agli eroi dello scudetto Pierino Fanna e Domenico Volpati, che hanno assistito con le mogli allo spettacolo sulla Verona tricolore.
L'evento è stato sostenuto da Valpolicella Benaco Banca e dalla Pro Loco di San Pietro In Cariano, con la collaborazione della Parrocchia di San Floriano. Un testo, quello di Matteo Fontana, magistralmente interpretato dai due attori, che va molto al di là della celebrazione dell'impresa sportiva di Bagnoli e i suoi, e che offre una lettura della Verona e dell'Italia di quegli anni, con i suoi usi e costumi ma, di più, col dover fare i conti anche con i suoi problemi che toccarono le vite di tanti giovani, spesso spezzandole con la droga.
Per questo, quegli anni delle grandi imprese gialloblù, ebbero una valenza fondamentale nel dare a Verona un senso di comunità e di grandezza che servì da salvagente a molti. Verona "8485" è una cavalcata di ricordi, di aneddoti, di momenti ilari e commoventi, corredati da immagini e musiche dell'epoca, un rituffarsi nell'animo della gente di Verona che si strinse attorno ai suoi eroi sui quali riversò un amore travolgente e dai quali fu ripagata con un'impresa che, ancora oggi, dopo 30 anni, fa tremare di emozione chi l'ha vissuta e chi non c'era.
Lorenzo Morandini
FOCUS
VERONA
12 maggio 1985, l'Hellas Verona è Campione d'Italia
L'Hellas Verona Campione d'Italia
verona.iamcalcio.itscritto il 12 Maggio 2015, ore 12:16
Dopo aver concluso due campionati nella parte alta della classifica (ed entrambi corredati da una finale di Coppa Italia) i dirigenti del Verona, pur continuando a parlare di salvezza, decisero di alzare il tiro. Nell'estate del 1984 arrivarono infatti presso la corte scaligera due quotati calciatori stranieri, punti fermi delle rispettive nazionali: il difensore tedesco Hans-Peter Briegel e l'attaccante danese Preben Elkjær. L'allenatore Osvaldo Bagnoli inserì i nuovi innesti in una formazione-tipo che già poteva fare affidamento su Garella tra i pali; Ferroni, Fontolan, Marangon e il giovane capitano Tricella in difesa; Di Gennaro, Fanna e Volpati in mezzo al campo; e Galderisi davanti insieme al panzer danese; tra le riserve, a dare il contributo più importante vi furono Bruni, Sacchetti e Turchetta. Il campionato 1984-1985 della squadra veronese iniziò con una vittoria interna per 3-1 contro il Napoli di un Maradona al suo debutto italiano.
I gialloblù legittimarono poi le loro ambizioni col successo sui campioni d'Italia in carica della Juventus, battuta 2-0 alla quinta giornata (nell'occasione Elkjær segnò a Tacconi un gol rimasto nella memoria di tutti i tifosi dell'Hellas, battendo il portiere avversario pur senza una scarpa, persa nel corso dell'azione). Altri momenti-chiave della cavalcata scaligera verso il tricolore furono il trionfo al Friuli di Udine alla diciottesima giornata, dove i veronesi sconfissero in una rocambolesca gara l'Udinese per 5-3 (risultato che fece cessare le speculazioni secondo le quali i giocatori stavano ormai perdendo energie) nonché le tre vittorie consecutive contro Roma (1-0), Fiorentina (1-3) e Cremonese(3-0) che lanciarono i veneti in una definitiva corsa solitaria. Il pareggio per 1-1 ottenuto a Bergamo contro l'Atalanta, alla penultima giornata, garantì all'Hellas la conquista dello scudetto con un turno di anticipo.
Il Verona di Bagnoli vinse il campionato ritagliandosi così un posto nella storia del calcio italiano, rinverdendo dopo quasi settant'anni i fasti delle "provinciali" d'inizio Novecento. I gialloblù arrivarono al tricolore grazie a 15 vittorie, 13 pareggi e 2 sconfitte, per un totale di 43 punti in classifica (si assegnavano ancora 2 punti per vittoria), staccando di 4 lunghezze il Torino secondo classificato, e con Inter e Sampdoria a completare le prime quattro posizioni. Lo scudetto assunse valore non solo perché conseguito in un'epoca in cui le squadre italiane stavano iniziando a riaffermarsi a livello internazionale (la Nazionale stessa era campione del mondo), ma anche per i molti tra i migliori calciatori del mondo, vedi Platini, Zico, Maradona, Sócrates, Rummenigge e Falcão, che calcavano i campi dellla Serie A.
Serie A, 29ª giornata. Bergamo, 12 maggio 1985, stadio Atleti Azzurri d'Italia.
Atalanta – Verona 1 – 1
Atalanta: Piotti, Osti, Gentile, Perico, Rossi, Magnocavallo, Donadoni, Vella, Magrin, Agostinelli, Pacione, Soldà, Codogno; (Malizia, Fattori e Larsson).
Allenatore: Nedo Sonetti.
Verona: Garella, Volpati, Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Sacchetti, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer, Spuri, Ferroni; (Donà, Bruni, Turchetta).
Allenatore: Osvaldo Bagnoli.
Arbitro: Testa di Prato.
Marcatori: 41’ Perico, 51’ Elkjaer.
Spettatori: 21 308
Hellas Verona Scudetto 1984-85 |
Lorenzo Morandini
FONTE: IAmCalcio.it
12 maggio 1985: 30 anni fa l’hellas verona di bagnoli vinceva uno splendido scudetto rimasto unico nella storia del calcio
Creato il 13 maggio 2015 da Giannig77
Arrivo in ritardo di un giorno nell’omaggiare un evento sportivo particolarmente sentito nella mia splendida città, Verona. Ieri, infatti, 12 maggio, si ricordava e celebrava il trentennale di uno storico scudetto, quello dell’Hellas Verona guidato magnificamente in panchina da quel genio umile e modesto di nome Osvaldo Bagnoli e in campo da un gruppo unito, coeso, fatto di uomini veri oltre che di giocatori fantastici come Fanna, a cui ho dedicato nello specifico questo mio breve ricordo “raccontato”, Tricella, Elkjaer, Briegel, Di Gennaro, Volpati, Galderisi, Marangon, Garella, Ferroni, Fontolan, Sacchetti, Bruni e tutti gli altri eroi di quello splendido ciclo vincente. Un caso rimasto unico nella storia del calcio tricolore recente, visto che nessuna squadra emanazione di una città non capoluogo di provincia dal dopoguerra in poi è mai riuscita a conquistare il primo posto in classifica. Una squadra che, indipendentemente dal tifo, ha saputo ritagliarsi uno spazio nel cuore di molti appassionati sportivi, non solo italiani, proprio per la portata eccezionale dell’evento, e forse perchè per molti ha rappresentato la fine di un’epoca più genuina, dove imprese del genere, seppure non di tutti i giorni – altrimenti non staremmo qui a darne risalto a distanza di 30 anni – potevano ancora essere realizzate con la forza delle idee.
Personalmente poi sono cresciuto con questo mito, avendo avuto però la fortuna e l’opportunità di vivermi in presa diretta quelle grandi emozioni, tanto che al Verona di quegli anni associo alcuni dei miei più bei ricordi di bimbo.
Vi dedico con piacere quindi questo mio racconto incentrato su uno dei miei veri miti d’infanzia calcistica, il grandissimo PIERO FANNA!
PIERO FANNA: IL MIO MITO DELL’INFANZIA, QUANDO IL CALCIO ERA ANCORA POESIA.
Parlare di calcio in Italia è consentito a tutti, è quasi un effetto contagioso che va a intaccare anche gli insospettabili, specie al varco di manifestazioni importanti, quando davvero anche la “nonnina” della casa di fianco si ritrova ad assistere ad esempio a una finale Mondiale.
Ci sono tante tipologie di “tifosi”: gli asettici, coloro che magari stanno pensando a tutt’altro e gliene frega anche poco, ma che a un certo punto, tra un cocktail annoiato e l’altro, ti chiedono “che ha fatto oggi la Juve?”. Quelli al contrario che mi piace definire “empatici” (o patologici, per dirlo più prosaicamente come farebbe la mia ragazza), che si rovinano il weekend se la loro squadra del cuore ha perso; gli immancabili vecchietti del Bar Sport (nei paesi di provincia è ancora probabile trovarne qualcuno di quelli narrati da Benni) che disquisiscono di tattica; ci sono gli ultras, ovviamente, e i ragazzi di ultima generazione che passano il tempo su you tube e credono di saperne perché vedono una giocata di un oscuro colombiano e magari ignorano che è appena stato promosso in A per la prima volta il Sassuolo.
Io rispetto tutti, ma provo ad andare oltre, cercando ancora quel lato poetico che posso riscontrare nelle piccole storie, tipo quella del Trapani che, partito dai dilettanti, con un tecnico preparatissimo e gente autoctona, dopo aver smaltito la delusione per la sconfitta dei play off 12 mesi fa, quest’anno si è superato, arrivando direttamente in serie B.
La poesia e la pura emozione la ritrovo però se chiudo gli occhi e torno bambino, io che ho avuto la possibilità e la fortuna di assistere a un evento che rimarrà presumibilmente irripetibile: lo scudetto dell’Hellas, l’ultima vera provinciale in grado di issarsi in cima alla classifica e vedere gli Dei del pallone da vicino.
L’Hellas è diverso da tante squadre di provincia, il senso di appartenenza è davvero forte. I bambini tifano gialloblu, non le big come accade spesso altrove. Resiste il mito di quella squadra scudettata, ma non solo: chiedete a chiunque di Zigoni e vi risponderanno, dalla massaia, al pensionato, al tredicenne. Io, dicevo, ho iniziato presto a frequentare gli stadi, precisamente a 5 anni, grazie alla passione di mio padre: erano già anni buoni, il Verona, da neo promosso, lottò a lungo per lo scudetto, per giungere infine quarto; l’anno dopo, la scheggia di poesia fu rappresentata dal fenomenale e sfortunato Dirceu e da Penzo (mio fratello Nico fu chiamato così in suo onore). Ma il mio ricordo speciale lo voglio dedicare al mio idolo di quella squadra di campioni veri, che ho avuto la fortuna di conoscere: Piero Fanna.
Fenomeno in pectore (veniva dall’Atalanta, – e da dove sennò -, si parla sempre troppo poco di un vivaio che davvero educa e fa crescere bene gli atleti) e giunse alla Juve insieme ad altri giovani in quegli anni, come Cabrini, Marocchino e Virdis. Le qualità tecniche erano evidenti, forse meno la personalità. Ai posteri è ormai passato il concetto che non avesse legato con il mitico Trap, che lo costringeva a un lavoro sfiancante di recupero, ma in realtà con Bagnoli all’Hellas non è che Pierino si risparmiasse, anzi, correva come un forsennato. E’che il grande Osvaldo aveva saputo toccare le corde giuste di un animo sensibile, quello di Piero. E a quanto pare ci riuscì pure con altri che sembravano onesti mestieranti ma che lui contribuì a rendere campioni, come Garella o Volpati, e tutti loro a distanza di quasi 30 anni, riconoscono questo gran valore al loro allenatore.
Elkjaer e Briegel infiammavano il popolo, ma Fanna fu il vero leader, silenzioso, timido… del resto a lui non occorreva alzare la voce o fare il bullo, bastava dargli un pallone tra i piedi e, destro o mancino indifferentemente, partiva sulla fascia che era un piacere, seminando avversari (memorabile una sua azione contro il Napoli, da manuale del contropiede) e inventando assist a getto continuo. Il look negli anni 80 non aveva l’importanza di oggi, niente tatuaggi o creste, e come dice bene Pecci nel suo bel libro riguardo Graziani, anche per Fanna l’acconciatura poco accattivante poteva fuorviare. Il riporto non era sinonimo di estetica, e quindi automaticamente vederlo correre ti dava l’idea fosse un “generoso”, quando invece era classe e tecnica pura, da top player come si direbbe ora. Una persona umile, che si scherniva e lo fa ancora davanti ai complimenti. Ho avuto modo, svariati anni dopo di intervistare il figlio di Piero, Marco. Classe ’86, dalle giovanili dell’Hellas era passato al Parma, venendo convocato spesso nelle selezioni giovanili, fino all’Under 17. Era grande amico di Pier Mario Morosini, di cui mi riportò un commosso ricordo. Marco tentò una carriera professionistica che sembrava in effetti alla sua portata; giocò nell’ex serie C alla Reggiana e al Portogruaro, ma poi finì nei dilettanti. La sua parabola assomiglia a quella di molti (seppur) talentuosi figli d’arte. Diventa quasi automatico il confronto, specie se si agisce nella medesima zona di campo. E per quanto fosse discreta la presenza del babbo, era pur sempre ingombante come ombra. Piero aveva ben poco da invidiare a Bruno Conti, per dire. In ogni caso, tra corsi e ricorsi storici, Marco ancora si diverte e dispensa gran giocate nello Zevio, agli ordini di Gigi Sacchetti, altro grande scudettato del Verona! Dalle parole di Marco, a maggior ragione, ho colto quanto fosse genuino e profondo lo spirito che animava quei campioni, capaci di ritrovarsi tutti la notte del 31 dicembre 1984 con moglie e figli per custodire nel cuore una speranza che davanti ai microfoni Rai non si poteva manifestare nella sua vasta portata, ma che tra amici veri si poteva condividere, come si fa con i sogni costruiti insieme nel tempo.
E’ indubbio però che non fossero solo le partite o le giocate dei calciatori a regalarmi queste gioie e questi ricordi. Apro una parentesi più personale, in quanto questi sono anche i migliori ricordi che lego a mio padre, figura carente negli ultimi anni. Se la mia passione è nata e si è sviluppata nel tempo, lo devo principalmente a lui. E’ stato per quasi 30 anni presidente di un calcio club di una piccola frazione (Menà di Castagnaro, poco più di 1000 abitanti, all’estremo sud della provincia di Verona, al confine con le limitrofe Rovigo e Padova). Eppure è riuscito a coinvolgere un sacco di persone, arrivavamo allo stadio col pullman strapieno, fermandoci in tutti i paesi. Ero orgoglioso di lui per come gestiva, come era rispettato, per come si poneva, mai sopra le righe: era un riferimento per tutti. Mi ha trasmesso tanti valori. L’unica volta che lo vidi esultare come un pazzo fu al 90° di un Verona – Sampdoria, anno 89-90, in cui retrocedemmo con una squadra raffazzonata ma dignitosa, al termine di una lunga ricorsa, culminata in una trasferta a Cesena (in cui vidi le tribune penzolare letteralmente sopra di noi che stavamo in parterre!). Avevamo dominato la gara, vincevamo 1 a zero e questo risultato metteva l’Hellas davvero nelle condizioni di giocarsi un’insperata sin lì salvezza, quand’ecco che all’ultimo minuto l’arbitro fischiò un rigore inesistente per i blucerchiati. Lo spocchioso Mancini si diresse con moto di sfida al dischetto, aizzando i tifosi gialloblu ma un giovanissimo Peruzzi respinse prodigiosamente. In quel momento mio padre sbrocca, si alza, corre verso la ringhiera e si mette a insultare il Mancio. Grandissimo! Di questo Hellas, che fu costruito con molti carneadi in seguito a un fallimento che fece smantellare una buona squadra (quella dei Caniggia, Troglio, Bortolazzi, Pacione) rimanevano guarda caso due pilastri: Bagnoli e Piero Fanna.
Da bimbo col calcio club certi riti erano davvero irrinunciabili, il caffè nel solito bar, le ultime chiacchiere, Ugo che richiede ai giocatori il mordente (e io che non sapevo davvero cosa volesse dire ma più passavano le settimane e meno riuscivo a chiederlo), Ivo e Loris che indossavano fieri le sciarpe della Viola, società gemellata e che erano stati a Brema per la storica Coppa Uefa e ogni volta ingigantivano le balle, specie quelle riguardanti rimorchi di bionde tedesche accondiscendenti. Arrivavamo presto, e mi piaceva osservare, e provare ad aiutare mio papà e mio zio Daniele mentre allacciavano fieri il nostro striscione “Calcio Club Menà”. Avevamo una posizione davvero strategica e capitava molto spesso durante “90° Minuto” che lo inquadrassero. Ovviamente non esistevano i cellulari e nemmeno facevo tempo a telefonare agli amici calciofili del cuore (seppur juventini o milanisti, come Dennis o Mirco) per dire loro di sintonizzarsi e stare attenti. E poi i paninazzi con salsiccia e peperoni fuori dallo stadio,che si vinca o che si perda. Io che al rientro in corriera, ormai divenuto mascotte ufficiale, prendevo il microfono e aggiornavo le classifiche dalla A alla C/2 dopo aver memorizzato sul tabellone dello stadio i risultati finali. Avevo 7 anni, la memoria forse è il mio unico pregio, e che Dio me la conservi buona. Le trasferte soprattutto, con Nanni che mentre faceva delle manovre pericolosissime, tra tornanti infiniti, si girava verso di noi, dicendoci “guardate che panorama!”, le fermate lungo il tragitto e gli immancabili pic-nic, a base di pane e salame casalin e vino rosso. Era qui che entravano in gioco gli amici di mio padre,quelli della compagnia del paese. Paolo, Uber, Ceschin, Vanni, Ciano menavano le danze, per i bambini c’era sempre trattamento di favore, ovviamente! Non esistevano le prove palloncino, per fortuna! I primi cori imparati a memoria, mi rimase impresso quello dei caldissimi tifosi del Pisa all’Arena Garibaldi (“Mi innamoro solo se/vedo vincere il Pisa/Forza Forza Grande Pisa), e i viaggi impervi a Udine, Como, dove presi l’influenza a poche giornate prima dello scudetto. Gira la leggenda tra i muri di casa Gardon che la”famosa tosse” (o “raspeghin” per dirla correttamente in dialetto veneto) che ancora mi contraddistingue l’abbia contratta quel pomeriggio vicino al Lago citato dal Manzoni. E poi i ritiri, che non erano come adesso. Mi piace sottolineare l’impegno dei coordinatori dei calcio club, mai menzionati ma fondamentali per i rapporti. A Verona ad esempio Carla Riolfi ha fatto tanto per i tifosi, organizzando degli incontri splendidi. Ricordo con affetto anche Saverio Guette, responsabile marketing, morto prematuramente, un signore. In quei momenti i giocatori, gli allenatori stavano davvero con noi, mangiavano nei nostri tavoli, si tirava qualche calcio assieme. Ho tante foto in cui sono in braccio a Tricella, Fanna, Volpati, persino a Nanu Galderisi, poco più alto di me in fondo. Uomini semplici, pieni di valori, non se la tiravano per niente. In tempi più recenti (ma si parla comunque di 19 anni fa), un bel ritiro fu quello con Bortolo Mutti, persona affabilissima, disponibile e cordiale. Mio padre è suo coetaneo e sembravano conoscersi da una vita, io fraternizzai con un giovanissimo Damiano Tommasi che, 17enne, era stato aggregato alla prima squadra. Era meno dotato tecnicamente rispetto agli altri giovani Lamacchi, Cammarata o Piubelli (che smise a 21 anni per un serio infortunio, dopo aver giocato titolare anche in una fortissima Under 21), ma era serio, si applicava tantissimo, ero sicuro sarebbe arrivato ai massimi livelli, senza perdere l’umiltà e la voglia di migliorarsi. Anche Malesani era uno spettacolo, veronese come noi, si apriva tantissimo, parlava in dialetto, ma emanava una professionalità incredibile, in campo è proprio un maestro.
E’ innegabile quanto le esperienze personali possano connotare i ricordi, magari trasfigurandoli ma, pur rimanendo – ormai anche da addetto ai lavori – nel vivo di questo sport e seguendolo ancora molto, penso che qualcosa si sia perso, in favore di logiche diverse, più mirate alla spettacolarizzazione globale ma che non necessariamente combaciano con lo spettacolo che giunge al cuore degli spettatori, con le emozioni pure e genuine che il calcio può ancora saper regalare. Ma occorre tenere viva la memoria, rispettare il passato, senza per forza scadere in nostalgismi. Poi, se uno lo è per natura – come il sottoscritto – è fregato e la ricerca del “bello” può far arretrare i calendari di anni, secoli, tanto da farmi rimpiangere epoche che ho solo letto sui libri o visto attraverso ingiallite fotografie o immagini velocizzate (come nel caso dei Mondiali degli anni 30 o dell’Epopea del Grande Torino).
Non c’è niente da fare, se il calcio non fosse accompagnato da un puro sentimento non sarebbe questo splendido volano che fa da cornice a campionati di mezzo mondo.
E allora lasciatemi smettere i panni del giornalista e fatemi gioire alla risalita del mio Hellas nel calcio che conta! Come direbbe il mitico cronista gialloblu Roberto Puliero “Alè Alè Bum Bum Bum! Viva Viva Viva”.
(Gianni Gardon)
FONTE: It.PaperBlog.com
12:30 | mercoledì 13 maggio 2015
Il Verona scudettato rivive nel libro di Zara (CdS): «Fu la vittoria della simpatia»
Esce 'Ma è successo davvero?', ovvero la favola del torneo '84/'85 dominato dall'Hellas
di Simone Sacco
FURIO ZARA VERONA CAMPIONATO 1984/1985 OSVALDO BAGNOLI - L'anniversario esatto sarebbe caduto ieri. Correva l'anno 1985 e quel 12 maggio, in una Bergamo umida e piovosa, il danese Preben Elkjaer Larsen insaccava al 51esimo del secondo tempo il gol della sicurezza aritmetica. Prima l'Atalanta era passata in vantaggio al 12' con Perico (il cross venne effettuato da Donadoni), ma al triplice fischio del sig. Boschi fu il Verona a impazzire di felicità. La squadra di Bagnoli, infatti, era diventata campione d'Italia per la prima ed unica volta nella sua storia. L'Italia di allora applaudì un po' incredula ma, sotto sotto, se la rideva beata per la stangata ai vari Agnelli, Pellegrini, Pontello, Viola e Ferlaino. Perché quell'Hellas scudettato fu una doppia libidine coi fiocchi. Un "fuoco indimenticabile", per citare Bono Vox degli U2. Uno smacco epocale alle solite note.«Mi sono sempre piaciute le belle storie di provincia. Non ultime quelle del Carpi o del Frosinone...» (Furio Zara)
Trent'anni esatti dopo - nel calcio moderno trainato da sceicchi, stadi-outlet, cordate cinesi e petroldollari - il dubbio effettivamente resta ('Ma è successo davvero?'), ma la buona scrittura (quella di Furio Zara, penna del Corriere dello Sport che in quegli anni '80 era solo un teenager innamorato del pallone come tanti) ci viene in soccorso con un volume di 192 pagine capace semplicemente d'incantare. E che verrà presentato stasera alle 18 nel "luogo del delitto" (Feltrinelli Verona di via Quattro Spade 2) anche se a questo giro Montecchi e Capuleti non c'entrano. Spazio all'intervista, adesso.
Furio, come possiamo inquadrare questo tuo nuovo libro? Un favola che proviene dal passato come accadde per '1982 - Un'estate, un Mondiale, una promessa di felicità' oppure un vero e proprio reportage giornalistico?
«Direi entrambe le cose visto che quest'opera è sia un flusso di coscienza relativo a quel periodo magico - l'era del campionato più bello del mondo -, ma anche il sunto di tante chiacchierate effettuate con i diretti responsabili di quell'incredibile scudetto. Antonio Di Gennaro, in primis, con cui ho avuto il piacere e il privilegio di dialogare più volte durante gli scorsi Mondiali in Brasile dove eravamo entrambi inviati dei nostri rispettivi media.»
La scintilla creativa è stata "solo" la ricorrenza del trentennale?
«No, direi di più la famosa intercettazione di Claudio Lotito, quella dove si lamentava che Carpi e Frosinone sarebbero venute a far soffoco in Serie A... Beh, complimenti al Carpi innanzitutto! (ride) E allo stesso Frosinone a cui mancano solo tre punti per approdare ad un sogno (se la vedrà in casa sabato prossimo col Crotone, NdR). Sai, penso che il calcio italiano abbia disperatamente bisogno di vicende come queste. Perché il nostro Paese non è solo grandi squadroni metropolitani, ma anche sacrosanta provincia che a volte lavora meglio di tante realtà blasonate. Provincia o capoluoghi in grado di creare lo stesso Hellas dell'84/'85, il Cagliari di Riva, il Lanerossi Vicenza di Pablito, il Perugia dei miracoli. Fino ad arrivare alla Sampdoria scudettata di Vialli e Mancini, l'ultima 'reginetta pulita' in un mondo di strafighe hollywoodiane.»
Retrospettivamente parlando, certa stampa del Nord (area Milano-Torino) cercò di sminuire lo scudetto gialloblu: qualcuno puntò il dito su di un campionato di "transizione" dove a farla da padrone fu il sorteggio-integrale degli arbitri. Tutte balle, vero?
«Assolutamente sì, un po' perché il famoso sorteggio in realtà era 'semi-integrale' e poi quello fu un torneo di squadroni (la solita Juventus di Platini, l'Inter di Rumenigge, il Napoli di Maradona e Bertoni, la Fiorentina del povero Socrates, il Toro di Junior, la Roma finalista di Coppa Campioni di qualche mese prima ecc.) dove lo stesso Verona aveva già detto la sua negli anni precedenti: quarta l'anno dopo i Mondiali di Spagna e due finali consecutive di Coppa Italia contro Juve e Roma nel 1983 e 1984. La stoffa, insomma, c'era già.»
Per assurdo colui che minimizzò di più lo scudetto fu lo stesso Osvaldo Bagnoli, impassibile al momento del trionfo. E quando i giornalisti odierni gli ricordano che fu "un'impresa irripetibile", l'uomo della Bovisa risponde sempre: «Forse in Italia, intanto in Germania nel 2009 ha vinto il Wolfsburg»...
«Fa parte del suo carattere di persona schiva e per niente propensa ai trionfalismi e alla facile pubblicità sui media. L'Osvaldo è un grande e sa perfettamente ciò che ha combinato di grandioso in quel 1985, pur senza celebrarsi in prima persona.»
Il libro lo presenterai solo nel veronese oppure anche altrove?
«Spero un po' in tutta Italia perché questa è una bella storia di calcio e non un successo locale. Adesso stiamo concordando con la casa editrice alcuni incontri pubblici a Verona e dintorni, ma poi sarebbe bello viaggiare. Anche perché, perdonami la presunzione, la mia speranza è che queste pagine rappresentino un augurio e ci riportino ad un altro tipo di football. Dove certi miracoli possano un giorno riaccadere.»
Riassumendolo in un tweet, cosa avvenne quel lontano 12 maggio 1985?
«Semplice: assistemmo tutti quanti ad uno scudetto-simpatia. Una sensazione che ci manca tanto...»
'Ma è successo davvero?' di Furio Zara sarà presentato mercoledì 13 maggio (ore 18:00) alla Feltrinelli Verona di via Quattro Spade, 2. Assieme all'autore ci saranno anche il giornalista Adalberto Scemma (moderatore) e diversi artefici dello scudetto '85: mister Osvaldo Bagnoli, Pietro Fanna, Luigi Sacchetti e Giuseppe Galderisi. Se amate il Giuoco e siete in zona, impossibile disertare.
Rivivi lo scudetto scaligero leggendo le nostre interviste a Roberto Tricella (il capitano), Claudio Garella (il mitico Garellik), Domenico Volpati (il tuttofare di centrocampo) e Luciano Marangon (il terzino imprendibile).
A cura di Simone Sacco
11:38 | mercoledì 13 maggio 2015
L'Osvaldo, la Bovisa, il calcio, la briscola
Dalla Bovisa allo Scudetto col Verona e la vittoria a Anfield col Genoa: questo e molto altro è Osvaldo Bagnoli
di Gianmarco Lotti - twitter:@GianmarcoLotti
C'ERAVAMO TANTO AMATI OSVALDO BAGNOLI - Un tempo forse alla Bovisa c'erano i buoi, per questo il nome Bovisa. Adesso invece no, solo casermoni e fabbriche e ferrovie a rendere il paesaggio più grigio e monotono a nord di Milano. Ogni tanto però, in quella che secoli fa era una borgata principalmente agricola, tra un gasometro e una stazione si può vedere il Mago della Bovisa. Sia che si giochi a briscola o si parli della Coppa dei Campioni il suo atteggiamento rimane sempre lo stesso, quello di chi la sa lunga ma non vuole farlo pesare, perché il Mago è umile nonostante lo sguardo a metà tra il triste e il torvo, uno sguardo che squadra in un batter d'occhio. Il Mago della Bovisa è stato prima mezzala e poi allenatore, di calcio se ne intende parecchio e di esperienze belle ne ha vissute non poche; ogni volta che si nomina un'impresa di una squadra italiana tra gli Ottanta e i Novanta, lui c'era. Il Mago lo chiamano anche l'Osvaldo, perché il suo nome è Osvaldo Bagnoli e alla Bovisa c'è nato e cresciuto, un marchio di fabbrica che si è sempre portato dietro più come un orgoglio che come un difetto. «Il calcio è come una briscola al bar con il tuo migliore amico. Quando giochi, fai di tutto per fregarlo. Quando posi le carte, bevi con lui un bicchiere» disse una volta l'Osvaldo, una frase che racchiude al meglio il pensiero di uno degli allenatori italiani più sottovalutati di sempre, partito dalla Bovisa e dall'asso di mattoni per arrivare in cima all'Italia con una provinciale e fare altre cose ancora.Il mio principio era quello della sberla. Nel senso che bisogna cercare sempre di dare almeno una sberla all’avversario, qualunque esso sia, anche contro la Juve, perché prima o poi uno schiaffo dalla Juve lo pigli, tanto vale tentare per primi - Osvaldo Bagnoli
IL GIOCATORE - Da giocatore Bagnoli è un centrocampista che gioca sia da mezzala che da mediano, pur essendo stato utilizzato anche come libero negli ultimi anni di carriera. Cresciuto ovviamente alla Bovisa nell'Ausonia 1931, da giovanissimo ha vinto uno Scudetto e una Coppa Latina con il Milan prima della prima esperienza al Verona, durata tre anni e priva di scossoni degni di nota. Da lì l'Osvaldo girovaga per l'Italia fermandosi a Catanzaro, Ferrara e due volte a Udine, proprio con l'Udinese arriva il momento sliding doors: nel 1968 Bagnoli si trova con la moglie in Jugoslavia quando a un tratto ha un incidente con la sua auto, lui rimane ferito al sopracciglio mentre la consorte si frattura una gamba. Decide di piantarla col calcio e tornare a Milano, anche perché ha ricevuto un incarico alla Mondadori e in quei tempi lì un'offerta del genere è irrinunciabile. Per il bene del pallone però arriva una benedetta telefonata con Enrico Muzzio, suo ex compagno di squadra all'Udinese e alla Spal, che garantisce a Bagnoli non solo un ruolo da titolare al Verbania ma anche un posto alla Legatoria del Verbano. Una breve esperienza lì prima di passare alla Mondadori non è male, pensa Bagnoli, e accetta l'offerta del Verbania. Rimarrà cinque anni da giocatore e inizierà lì la sua esperienza da mister alternandola con quella di libero, affiancato in panchina da Franco Pedroni, uno che nel tempo libero aveva una cartoleria eppure riusciva a scovare talenti come Gianni Rivera, per dire.
GLI INIZI - La sua carriera vera e propria come tecnico nasce con un esonero alla Solbiatese in Serie C, i rapporti con il presidente non sono idilliaci e a inizio 1974 si trova senza panchina. Sarà il primo dei due esoneri in nerazzurro che sanciranno l'inizio e la fine di una prodigiosa carriera. Passa poi da Como, Rimini, Fano e Cesena e nel calcio italiano si instaura la convinzione che l'uomo della Bovisa sia davvero un mago: arriva e con i pochi mezzi a disposizione riesce a fare il possibile, come a Rimini quando nel 1977-78 in Serie B con una squadra quasi allo sbando salva i romagnoli nonostante le mille contestazioni. «Quando allenavo il Rimini, ero contestato. Fui costretto a scappare come un ladro. Per questo, se posso, esco sempre dalla porta di servizio: mi alleno per i tempi duri» dirà poi Bagnoli col suo tipico sarcasmo amaro. La gavetta continua scendendo a Fano in C2 e portandolo in C1 e poi in due anni al Manuzzi, con i bianconeri promossi in A come secondi alle spalle del Milan. Nel 1981 altro momento cruciale per il Mago, che ha modo di tornare al Verona in Serie B. Qui centra subito la promozione in Serie A avendo in rosa elementi di spessore come la punta Domenico Penzo o il regista Antonio Di Gennaro, per non parlare di giocatori che un po' di anni dopo ritroveremo nella massima serie come allenatori: Fedele, Cavasin e Guidolin. Si tratta dell'inizio di un'epopea, il periodo più bello della storia dell'Hellas Verona. Bagnoli si rivela un ottimo allenatore ma anche un sapiente motivatore, un fine psicologo ancor prima di un accorto tattico, abile sia nel far ripartire la sua squadra in contropiede dopo una fase di strenua difesa sia nel far capire ai giocatori che possono dare sempre il meglio e sempre di più.
History Remix: Lo scudetto del Verona |
SCUDETTO - L'anno di grazia, manco a dirlo, è il 1984-85. In estate arriva in Italia Diego Armando Maradona mentre il Verona prende solo due stranieri del Nord Europa come Briegel e Elkjær Larsen, un tedesco e un danese. Dall'anno della promozione l'Osvaldo ha visto passare un talento come Dirceu ma poi ha appoggiato la scelta della società di venderlo per risanare le casse e adesso ha una rosa di giocatori buoni ma che da altre parti non hanno ricevuto la stessa considerazione del Bentegodi. C'è il portiere Garella, passato alla storia per le parate di piede, c'è il libero Tricella, difensore superbo ma oscurato prima da Scirea e poi da Baresi, c'è il terzino Luciano Marangon, comprovato viveur dalla propensione offensiva anche sul campo, c'è Domenico Volpati, dato per finito al suo arrivo ma rimasto sei anni a incantare Verona, c'è anche Fanna, morfologicamente e calcisticamente antesignano di Attilio Lombardo. Poi Nanu Galderisi, lo stopper Fontolan, Bruni, Di Gennaro e altri ancora: una macchina perfetta, gestita dal Mago della Bovisa con la solita saggezza. Uomini giusti nei posti giusti, poi catenaccio e pressing e infine un potenziale offensivo di tutto rispetto: ci mette poco il Verona a assestarsi alla prima posizione in Serie A. Il 12 maggio 1985, dopo due sole sconfitte in ventinove partite e una leadership salda e meritata, il Verona pareggia uno a uno a Bergamo con l'Atalanta grazie a un gol del solito Elkjaer e manda in visibilio una città intera, perché mai nella storia della A a girone unico una provinciale aveva vinto uno Scudetto. Bagnoli è sulla vetta d'Italia, lui che prima lavorava in legatoria e aveva in mente un futuro alla Mondadori. L'anno dopo solo l'arbitro francese Robert Wurtz metterà fine all'avventura europea del Verona, sconfitto 2-0 dalla Juventus a porte chiuse a Torino dopo lo 0-0 in casa. A fine partita un funzionario della polizia si avvicina a Bagnoli che, genuino come non mai, indica lo spogliatoio juventino e esclama: «Se cerca i ladri, sono di là!».
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FONTE: CalcioNews24.com
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"E' sempre bello ritrovarsi, 30 anni fa festeggiammo. Io arrivai in B e ricordo sette anni fantastici. Fu una cavalcata fantastica, nessuno ci sperava, noi partivamo col premio salvezza e lo scudetto fu l'apoteosi". Così ha parlato a Tuttomercatoweb.com l'ex centrocampista del Verona Antonio Di Gennaro alla celebrazione dei trent'anni dallo Scudetto dei gialloblù: "Col tempo ci siamo resi conto di quanto fatto, lì per lì non capivamo cosa stavamo facendo. Ripetibile? Ci sono delle realtà che sono salite, ma è difficile per lo scudetto, ci sono problematiche per gli investimenti. Verona attuale? Deve restare in A, ha fatto oltre 10mila abbonati anche in C. Ora Mandorlini sta facendo un grande lavoro. Toni fa tante gol, come Elkjaer, e deve essere un esempio per i giovani".
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Protagonista trent'anni fa dello storico scudetto del Verona, Preben Larsen-Elkjaer ricorda l'impresa dell'epoca ai microfoni di Radio Bella e Monella: "Abbiamo vinto perché eravamo i migliori. Non ci sono segreti, è tutto alla luce del sole. Verona è con me, sempre. Quello a Verona è stato un periodo importante per la mia vita".
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Intervistato da Sportitalia, l'ex difensore dell'Hellas Silvano Fontolan ha ricordato lo scudetto vinto con i gialloblù nella stagione 84-85: "Iniziammo bene, facemmo un grande girone d'andata ma nessuno pensava di vincere il campionato. Col passare delle giornate però prendevamo convinzione, poi a Firenze, alla settima di ritorno, sul 3-1 nell'abbracciarci dicemmo che il campionato non poteva più togliercelo nessuno. Non ci rendevamo conto di quello che stiamo facendo, poi dopo ci siamo accorti dell'impresa e ancora oggi ne parliamo".
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ESCLUSIVA TMW - Verona campione, Di Gennaro: "Trionfo che partì dalla B"
12.05.2015 20.47 di Gaetano Mocciaro Twitter: @gaemocc
12 maggio 1985, il Verona vinceva il campionato di Serie A. Un evento storico, l'ultima provinciale a vincere lo scudetto. Più storico dello scudetto del Napoli di Maradona, più della Sampdoria, che ci provava da anni e aveva vinto un anno prima la Coppa delle Coppe. Ai microfoni di Tuttomercatoweb Antonio Di Gennaro, regista di quella squadra, ricorda l'impresa: "Lo scudetto del Verona ha fatto piacere a tutta Italia. Quello scudetto fu solo l'apoteosi di un periodo bellissimo a Verona, una squadra che aveva un gruppo storico partito dalla Serie B e che già al primo anni in A fece un ottimo calcio. Ricordo che eravamo arrivati a 17 risultati utili consecutivi, poi finimmo quarti. Nel 1984 arrivarono poi due stranieri, Briegel ed Elkjaer, che diedero esperienza, qualità, professionalità a un gruppo già affiatato. Eravamo partiti come ogni anno con la quota salvezza e conseguente premio fissato, ma dopo 10 giornate capimmo che potevamo fare qualcosa di più, che c'era la possibilità di entrare nella storia".
L'anno dello scudetto fu anche quello del sorteggio integrale per le designazioni arbitrali
"Mi ricordo che anni fa un dirigente a Firenze mi disse: avete vinto perché c'era il sorteggio integrale. Lì per lì la cosa mi dette fastidio, perché ritengo che lo scudetto fu vinto perché la nostra squadra era forte. Certo che dopo i fatti del 2006 un po' ho avuto da riflettere...".
Da quel Verona si sono viste poche altre favole. Una di queste era il Chievo di Delneri. Crede che l'ambiente di Verona incida molto?
"L'ambiente è sicuramente molto importante e a Verona puoi lavorare con serenità. Ricordo che quando ci allenavamo tutte le settimane c'erano dei ragazzetti che ci seguivano sempre, poi il sabato alla vigilia della partita c'era il pienone, ma tutti a seguire con passione e tranquillità".
Ci sarà mai un nuovo Verona?
"Mai dire mai. C'è sempre la possibilità che qualche piccola realtà crei i presupposti per fare qualcosa di importante, anche se qualcuno non vorrebbe. Chi ama il calcio e la meritocrazia apprezzerebbe altre favole come la nostra. Mi ricordo ancora un'intervista a Roberto Tricella, quando gli chiesero cosa provasse per lo scudetto vinto: rispose che solo col tempo avremmo capito l'entità dell'impresa. E a distanza di 30 anni ne parliamo ancora e questo significa che abbiamo fatto una cosa unica nel suo genere. Un'impresa che è partita da lontano, grazie al lavoro di Mascetti direttore sportivo e Bagnoli allenatore: furono gli artefici del successo, uomini di calcio che lavoravano in sinergia. Persone che non se ne vedono quasi più, perché oggi il direttore sportivo è messo in secondo piano da procuratori".
In un mondo come quello di oggi, dove l'aspetto mediatico è fondamentale, ci sarebbe ancora spazio per un allenatore come Osvaldo Bagnoli?
"Sono cambiate molte cose, anche le rose sono molto più lunghe e devi gestire tante cose. Io credo che nel calcio di oggi uno come Bagnoli si potrebbe adattare. Era un allenatore molto pragmatico, che aveva principi di gioco molto semplici. Lui diceva sempre che ognuno doveva giocare nel proprio ruolo e così faceva. E se non risolveva le cose certamente le agevolava di molto".
SERIE A
ESCLUSIVA TMW - Bruni: "Mandorlini deve essere confermato. Serve un vice-Toni"
12.05.2015 11.31 di Raffaella Bon
Buon compleanno allo storico scudetto dell'Hellas Verona. Trent'anni fa, la squadra di Bagnoli vinceva il suo primo e unico scudetto e Luciano Bruni fu uno dei protagonisti di quella stagione: "Quella stagione fu un'escalation di emozioni. Una cosa eccezionale che nessuno si aspettava. Abbiamo raggiunto il culmine grazie alle qualità umane di un gruppo bellissimo. Poi avevamo un allenatore che fu il vero valore aggiunto di quella grande vittoria".
Ed il Verona di questa stagione?
"Ha fatto un buon campionato raggiungendo il proprio obiettivo che era la salvezza. Mandorlini si è ripetuto ancora una volta, ha fatto ancora una volta un'ottima stagione".
[...]
FONTE: TuttoMercatoWeb.com
SERATA DI GALA
VERONA, L'ABBRACCIO AGLI EROI DELLO SCUDETTO
Elkjaer "spinto" al saluto da Galderisi e Di Gennaro
19/05/2015 19:55
Ha preso il via in Piazza Bra la serata di gala che rievoca lo storico scudetto vinto 30 anni fa dall'Hellas di Osvaldo Bagnoli. A sfilare davanti al microfono di Roberto Puliero i campioni di allora, Tricella, Elkjaer, Volpati, Galderisi, Di Gennaro, Fontolan, Bruni, mister Bagnoli e Ciccio Mascetti.
Dalle 21 Telenuovo seguirà dalla Gran Guardia in diretta l'evento, che sarà visibile anche in streaming e vi offre in anteprima sul sito Tggialloblu.it i live di questo "antipasto" della serata di gala che iniziarà tra poco e vedrà protagonisti anche i giocatori del Verona di oggi e l'Associazione Ex Calciatori Hellas Verona.
La serata, il cui ricavato andrà in beneficenza, sarà presentata da Mauro Micheloni e Francesca Roveda. Gianluca Vighini, Stefano Rasulo e Giovanni Vitacchio, invece, la squadra di Telenuovo che seguirà la serata e vi offrirà interviste esclusive.
L'intero ricavato della serata sarà devoluto in beneficenza al progetto “Bambini senza Confini”, che prevede la partecipazione di bambini e bambine palestinesi della Football Academy agli Hellas Verona Summer Camp 2015, e all’associazione “Noi per Lorenzo”, fondata e gestita da genitori di bambini affetti da atassia teleangiectasia.
FONTE: TGGialloBlu.it
19.05.2015
Tosi dentro la fontana Fiumi di birra per Jerry con Preben e Briegel
La Simeoni era a Formia: «Brindisi tra atleti, calici al cielo per il Verona» Il comandante Altamura: «Giocavo a basket, la festa Hellas alla radio»
Ferruccio Carnevale
Veronesi «tuti mati» per l'Hellas. Giusto trent'anni fa, il 19 maggio 1985, la città si trasformava in un Bentegodi open space. Impossibile contenere dentro al catino del calcio veronese l'infinita gioia per la conquista dello scudetto. Ricordi consegnati alla storia. Caroselli senza fine di tifosi in festa. La città dipinta di giallo e di blu. Piazza Bra teatro di una sagra di popolo. Il rito non si è mai interrotto. E la cifra tonda dei 30 anni rende oggi ancora più magica quella data.
Per chi c'era, per chi era lontano. Per chi è stato tra i fortunati a trovare spazio sugli spalti dello stadio. Per chi ricorda ancora dov'era esattamente quel giorno, in quelle ore di delirio Hellas.
FIRME D'AUTORE. Il sindaco di Verona Flavio Tosi era un ragazzino tifoso di 15 anni. «Ricordo tutto. Il bagno in piazza Bra, il giro della città, la notte che non finiva mai a fare festa. Ma ricordo anche le magie di quella stagione. Ero riuscito ad andare a vedere tutte le partite in casa del Verona. E quando potevo, pure in trasferta. Naturalmenmte, io a Bergamo c'ero. A casa conservo ancora un quadernone dove ho raccolto gli autografi dei calciatori dello scudetto. Mi appostavo all'Antistadio, penna in mano. Rivedere oggi le firme di Briegel, Tricella ed Elkjaer sul mio quaderno, mi emoziona ancora. Frequentavo il Bentegodi già dalla stagione '81-'82. Non avrei mai pensato di vivere un'emozione così forte. E conservo anche i biglietti dello stadio. Ogni cosa è ricordo e certi ricordi sono destinati ad accompagnarti per sempre».
BRAVA SARA. La campionessa delle campionesse Sara Simeoni purtroppo non era a Verona quel giorno. Il 19 maggio 1985 di Sara è stata giornata di lavoro e fatica. Una domenica speciale per i suoi concittadini. «Un po'» racconta la Divina del salto in alto «anche per me. Ero al centro federale di Formia, in piena sessione di allenamento. Lo scudetto l'ho festeggiato a distanza, trovando grande complicità tra i miei compagni di squadra. Alla sera abbiamo brindato al Verona, ed io ero l'unica veronese. Ricordo che mi sono resa conto della grandezza dell'impresa dell'Hellas, quando la gente proprio lì a Formia mi fermava per strada e si complimentava per la vittoria dei nostri gialloblù». I ricordi di Sara legati a quel Verona, però, non si fermano lì. «Ho condiviso con loro anche il Bentegodi. Ricordo che mi è successo di trovarmeli in campo e io ero in pista a saltare. Il mio mito? Naturalmente Bagnoli, l'uomo della vittoria. E poi ho un ricordo più antico che non riguarda quella stagione. Un giorno capitò Vriz in pedana. Mi chiese di saltare. Era abbigliato da calciatore e si presentò al salto con le scarpe con i tacchetti». Il risultato? «Ottimo stile, ottimo salto, poteva avere un futuro». Ma questa è un'altra storia
IN VIAGGIO PER GIOCO. Luigi Altamura, comandante della polizia locale, era in viaggio con la sua squadra di basket l'Us Piani Bolzano. «Di fatto» racconta «ho vissuto la festa dell'Hellas ascoltando la radio. Eravamo in pullmino, di rientro da una trasferta in Veneto. Non ricordo se a Treviso o Padova. Il basket? Poteva essere un'altra storia. Giocavo guardia, che detto dal comandante dei vigili urbani, magari fa pure sorridere. Ho ottenuto anche il patentino per allenare fino alla serie C femminile». Poi, però, lo sport ha lasciato spazio a tutt'altra carriera.
BIRRA CON PREBEN. Jerry Calà si è ritrovato, invece, a due pazzi da piazza Bra a festeggiare insieme a Elkjaer e Briegel. «Abbiamo fatto festa all'Excalibur - uno dei club storici per la movida veronese - di Ferruccio Carnevale. Una notte tutta per l'Hellas, insieme a Preben e Briegel. Ricordo che abbiamo trasformato un portaombrelli in un insolito contenitore di birra. Prima lo abbiamo sanato, naturalmente, e poi i giocatori dell'Hellas hanno dato sfogo alla loto sete. E' stata una notte magica. La festa sembrava non finire mai».
Simone Antolini
12.05.2015
«Abbiamo vinto perché eravamo i più forti»
I 30 anni dello scudetto dell'Hellas Verona
Preben Elkjaer aveva una paura matta di quella partita. «Non avete idea quanta. Bastava solo un punto, è vero. Nel calcio però non si sa mai, finché non è finita può succedere di tutto». Giusto, ma quella squadra non tradiva mai. Proprio Preben, di rabbia, scaraventò nella porta dell'Atalanta il pallone dell'uno a uno e dell'apoteosi. Trent'anni dopo è cambiato il mondo, ma l'impresa dell'Hellas resta nitida nella testa e nel cuore di molti. Non solo a Verona. Ovunque. Anche in Danimarca, dove Elkjaer continua a sventolare orgoglioso quel tricolore che nessuno vincerà mai più.
L'SMS DEL TEDESCO. Trent'anni dopo Hans Peter Briegel, vicino la sua Kaiserslautern, continua a correre nei boschi. «Per tenermi in forma, anche se gli anni passano. Quello scudetto però è sempre dentro di me», l'sms di un altro dei grandi protagonisti di quello scudetto irripetibile, figlio del modello di una sana provincia che tanti, senza mai riuscirci, hanno provato a scopiazzare. Lontano il ricordo di Maradona, del gol al Napoli saltando da atleta vero quale è sempre stato, della sberla a Torino che quasi sfonda la porta. Trent'anni dopo Elkjaer fa quasi finta di niente: «Abbiamo vinto perché eravamo i più forti. Guardate la classifica e poi ditemi: inutile parlare di chi era favorito e di chi il campionato l'ha perso. Anche se l'Inter era davvero forte e la Juventus aveva sette campioni del mondo. Non uno. Sette».
RICORDI E SCIARPATE. Trent'anni dopo mette i brividi rivedere Osvaldo Bagnoli quasi tranquillo in panchina vicino a Ciccio Mascettti, in piedi, in attesa che l'arbitro Alberto Boschi di Parma, mettesse fine ad una melina che altro non era se non il conto alla rovescia prima della festa. Tra bandiere gialloblù diventate domenica, nel derby col Chievo, una sciarpata indimenticabile proprio al sesto del secondo tempo: il minuto di «quel» gol di Elkjaer. Il passo di Bagnoli verso il centro del campo di Bergamo è quello di tante passeggiate di oggi fra le vie di Verona, quasi a respirare storia. Tornare indietro con la memoria non è difficile, l'esercizio viene naturale. Perché Verona spesso e volentieri, a torto o a ragione, si è rifugiata nelle sue più solide certezze quando il presente proprio non andava. Anche a costo di tornare parecchio indietro nel tempo.
POCHE PAROLE. Trent'anni dopo Bagnoli è quello di sempre. «Dello scudetto resta il ricordo della forza del gruppo, di uno spogliatoio unito, di gente che andava d'accordo. Dal primo all'ultimo». Non serve dire molto altro, soprattutto per chi ancora oggi viene ricordato per l'allenatore «bravo perché metteva tutti i giocatori nel loro ruolo più congeniale». Riuscirci al giorno d'oggi pare invece un problema neanche tanto semplice da risolvere. Poche parole. Anche Mascetti è così. Anche gli altri erano così. Sempre a far parlare i fatti, a far cantare l'antistadio in settimana e il Bentegodi la domenica.
L'EQUILIBRISTA ED IL GUERRIERO. Trent'anni dopo Roberto Tricella ha l'equilibrio che conservava in campo all'epoca, precursore del ruolo di libero che nessuno sapeva interpretare così. Centrocampista aggiunto alla Ruud Krol, uno dei tanti fuoriclasse dell'Olanda del calcio totale. «Sapevamo tutti cosa fare, soprattutto giocavamo tutte le partite per fare risultato. C'era unità d'intenti», ha sempre ripetuto il capitano. Altra leggenda vivente oggi alle prese, nella sua Cernusco sul Naviglio, coi suoi affari nel mercato immobilare. Non lontano da lì Silvano Fontolan insegna calcio ai ragazzi del Como, stopper valoroso su cui sono andati a sbattere tanti centravanti: «Vinse una squadra vera, che non aveva paura di nessuno perché sapeva da dove veniva e s'era conquistata tutto con la fatica ed il lavoro. Piano nel dire che quel Verona fu una sorpresa. La stagione prima ci eravamo qualificati per la finale di Coppa Italia, per tre anni di fila abbiamo giocato in Europa, abbiamo vinto lo scudetto. Avevamo grandi qualità, il fatto è che nessuno si aspettava potessimo reggere certi livelli di calcio per un campionato intero. La nostra forza fu la base dei giocatori italiani, un gruppo valido calcisticamente e umanamente. Tutti al servizio degli altri».
LA PROFEZIA. Trent'anni dopo è ancora straordinariamente attuale la massima di Domenico Volpati, uno di quelli che vorresti sempre avere a fianco su un campo di calcio così come nella vita di tutti i giorni. «Ci vorrà del tempo per capire veramente quella che è stata la nostra impresa», disse col tricolore in bacheca e una Verona tutta gialloblù. Trent'anni forse possono bastare.
Alessandro De Pietro
FONTE: LArena.it
Tutte le emozioni di #UnoStoricoScudetto
Postata il 22/05/2015 alle ore 20:00
Tutte le emozioni di #UnoStoricoScudetto |
Entusiasmo, emozioni e spettacolo, oggi come ieri.
L'affetto della città per quel Verona non è cambiato, anzi se possibile è aumentato.
L'abbraccio tra Elkjaer e Toni, il commuovente dialogo tra Bagnoli e Mandorlini,
tutta la storia gialloblù in un unico, memorabile evento.
Ufficio Stampa
#UnoStoricoScudetto - CCCHV celebra il gialloblù
Postata il 21/05/2015 alle ore 13:40
#UnoStoricoScudetto - CCCHV celebra il gialloblù |
"Si tramanda perché si appartiene...
...si appartiene perché si tramanda"
Il Coordinamento Calcio Club Hellas Verona celebra così il trionfo di #UnoStoricoScudetto.
Un successo unico e irripetibile, che ha reso grande Verona squadra e Verona città.
E l'Hellas Verona FC ringrazia per questo meraviglioso ritratto dell'identità del tifo gialloblù.
#UnoStoricoScudetto: e finalmente quel 19 maggio...
Postata il 19/05/2015 alle ore 16:15
L'Avellino arriva al Bentegodi per l'ultima giornata di campionato.
Emozioni e ricordi,
per degli eroi indimenticabili.
Il Verona vince 4-2, ma quel giorno c'è solo una cosa che conta...
#VeronaCampione
Raccontaci le tue emozioni su Facebook e Instagram!
Scrivi il tuo post su Verona-Avellino 4-2 (Facebook e Instagram), segui #unostoricoscudetto e le tantissime sorprese. Ovviamente, nel perfetto stile 1984-85...
Postata il 18/05/2015 alle ore 13:16
#UnoStoricoScudetto. Da ricordare con una serata di gala nel cuore di Verona.
Martedì 19 maggio (ore 21), i campioni del Verona di oggi, gli eroi dello scudetto 1984-85
e l'Associazione Ex Calciatori Hellas Verona,
si ritroveranno per ricordare un momento storico al Palazzo della Gran Guardia
in una serata di beneficenza presentata da Mauro Micheloni e Francesca Roveda.
Un evento raccontato in diretta dei media partner
Gazzetta TV, Telenuovo e Radio Bellla&Monella,
con l'intero ricavato della serata che sarà devoluto in beneficenza
al progetto “Bambini senza Confini”,
che prevede la partecipazione di bambini e bambine palestinesi della Football Academy
agli Hellas Verona Summer Camp 2015,
e all’associazione “Noi per Lorenzo”, fondata e gestita da genitori di bambini affetti da atassia teleangiectasia.
Dalle ore 19.30, la città di Verona e tutti i tifosi gialloblù potranno salutare i campioni della stagione 1984-85, che saranno presentati in Piazza Bra, davanti al Comune di Verona, da Roberto Puliero.
Ufficio Stampa
#UnoStoricoScudetto: 29ª giornata, gialloblù superstars...
Postata il 18/05/2015 alle ore 18:15
12 maggio 1985. 29a giornata. Manca un punto allo scudetto.
Atalanta-Verona, minuto 51.
Tiro di Volpati, la palla sbatte sulla schiena di Rossi.
Raccoglie Nanu, tocco per Elkjaer che...
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#UnoStoricoScudetto: ti ricordi la 28ª giornata?
Postata il 17/05/2015 alle ore 11:55
5 maggio 1985. Il Como arriva al Bentegodi.
I gialloblù attaccano ma non riescono a segnare
e il Torino pareggia in casa con l'Atalanta
Manca soltanto un punto allo scudetto
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#UnoStoricoScudetto: 27ª giornata e quel Verona-Lazio...
Postata il 16/05/2015 alle ore 18:20
28 aprile 1985. La Lazio arriva a Verona.
Una vittoria poteva voler dire troppo, molto.
Lo 0-0 resiste quasi fino alla fine,
poi un suo gol risolve la partita.
Lo scudetto è vicinissimo!
Il goleador e quella vittoria? Raccontali su Facebook e Instagram!
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#UnoStoricoScudetto: i campioni 1984-85 al Bentegodi
Postata il 16/05/2015 alle ore 17:15
12 maggio 1985, il Verona è Campione d'Italia.
Due mastini e una scala, una città e una squadra hanno scritto la storia.
Domenica 17 maggio, contro l'Empoli, l'Hellas Verona indosserà una maglia speciale,
per non dimenticare gli eroi di questa meravigliosa leggenda.
La patch celebrativa del 30° anniversario dello Scudetto, sarà in vendita all'Hellas Store (via Carlo Cattaneo 2, Verona) da domenica 17 maggio, dopo la partita Hellas Verona-Empoli.
Prima del fischio d'inizio di Hellas Verona-Empoli, Osvaldo Bagnoli e gli ex gialloblù protagonisti di #UnoStoricoScudetto entreranno in campo al Bentegodi per ricevere l'abbraccio e l'applauso dei tifosi gialloblù, del presidente Maurizio Setti e della squadra di oggi. Un piccolo modo per celebrare uno straordinario risultato sportivo che, dopo 30 anni, è ancora negli occhi di tutti.
Ufficio Stampa
#UnoStoricoScudetto: 26ª giornata, che duelli a San Siro
Postata il 15/05/2015 alle ore 18:00
26a giornata, 21 aprile 1985.
Milan contro Verona
Bagnoli contro Liedholm
Elkjaer contro Baresi.
E' 0-0, 4 giornate alla fine e ancora 3 punti di vantaggio da difendere!
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#UnoStoricoScudetto: e il Torino al Bentegodi...
Postata il 14/05/2015 alle ore 18:50
14 aprile 1985. E' il giorno di Verona-Torino.
Un rigore sbagliato e un palo
condannano i gialloblù alla seconda sconfitta in campionato.
Torino a -4, ma il Verona c'è.
Raccontalo su Facebook e Instagram!
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#UnoStoricoScudetto: studenti in festa al Bentegodi
Postata il 14/05/2015 alle ore 17:55
Verona - Il futuro che incontra il passato. Gli studenti delle scuole che hanno aderito a “Progetto Scuola 2014-15 - Gioca con la tua classe” sono stati i protagonisti di un walkabout esclusivo allo stadio Bentegodi. Si tratta della prima delle iniziative volte a celebrare #UnoStoricoScudetto, che culmineranno martedì 19 con il CharityParty alla Gran Guardia.
Dopo la visita alla sede Associazione Ex Calciatori, i bambini hanno avuto il privilegio di visitare la tribuna d'onore per assaporare l'aria di festa che si respira ogni domenica. Poi una visita al museo delle maglie storiche dell’Hellas Verona curato dall’Associazione Culturale Verona Hellas: i ragazzi hanno potuto ammirare una fedele riproduzione del Bentegodi addobbato a festa in quello storico 12 maggio 1985, immergendosi in quell'atmosfera così unica e irripetibile.
Finalmente, il campo e quell'inconfondibile emozione. I ragazzi hanno calcato la pista d'atletica e l'erba, per poi percorrere il tunnel ed infilarsi negli spogliatoi e uno sguardo alla mixed zone, dove i giocatori rilasciano le interviste nel post partita. Infine, gli studenti hanno consumato una merenda nella zona lounge, con merendine Melegatti e bibite Maniva. Ad ogni ragazzo è stato consegnato un kit gara ufficiale.
Le experiences rivolte ai ragazzi delle scuole veronesi saranno replicate venerdì 15 maggio.
Ufficio Stampa
#UnoStoricoScudetto 23ª e 24ª giornata, raccontaci il tuo ricordo
Postata il 13/05/2015 alle ore 19:15
24 marzo 1985, 23a giornata. Con la Cremonese è un dominio.
Le reti arrivano tutte nel secondo tempo. E' la terza vittoria consecutiva.
Una settimana dopo si va a Genova contro la Samp di un giovane Mancini.
Un punto d'oro, il goleador è sempre lui.
I gialloblù volano a +6 dalle seconde.
Raccontaci le tue emozioni su Facebook e Instragram
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#UnoStoricoScudetto: le scuole al Bentegodi
Postata il 13/05/2015 alle ore 15:00
Verona - Iniziano i festeggiamenti per lo storico scudetto del Verona con uno speciale evento riservato ad i più piccoli, che saranno protagonisti di un walkabout esclusivo. Dalla sede dell’Associazione Ex Calciatori agli spogliatoi, passando per il museo delle maglie storiche dell’Hellas Verona curato dall’Associazione Culturale Verona Hellas. Una visita allo stadio Bentegodi, nelle giornate di giovedì 14 e venerdì 15 maggio, riservata ad alcune delle scuole primarie che hanno partecipato al “Progetto Scuola 2014-15 - Gioca con la tua classe”. Una grande opportunità per rivivere una storia importante, destinata ai più piccoli.
Ecco gli orari delle visite
GIOVEDI’ 14 MAGGIO
Ore 9.00 Scuola primaria di Vigasio (primo turno)
Ore 9.15 Scuola primaria di Vigasio (secondo turno)
Ore 9.30 Scuola primaria di Montecchia di Crosara
Ore 9.45 Scuola primaria di Veronella (primo turno)
Ore 10.00 Scuola primaria di Veronella (secondo turno)
Ore 10.15 Scuola primaria di Erbezzo
Ore 10.30 Scuola primaria di Pesina di Caprino (primo turno)
Ore 10.45 Scuola primaria di Pesina di Caprino (secondo turno)
Ore 11.00 Scuola primaria di Pesina di Caprino (terzo turno)
Ore 11.15 Scuola primaria di Pesina di Caprino (quarto turno)
VENERDI 15 MAGGIO
Ore 9.15 Scuola primaria di Albaredo d’Adige (primo turno)
Ore 9.30 Scuola primaria di Albaredo d’Adige (secondo turno)
Ore 9.45 Scuola primaria di Pradelle di Nogarole Rocca (primo turno)
Ore 10.00 Scuola primaria di Pradelle di Nogarole Rocca (secondo turno)
Ore 10.30 Scuola primaria di Malcesine (primo turno)
Ore 10.45 Scuola primaria di Malcesine (secondo turno)
Ore 11.00 Scuola primaria di Scalette di Brenzone (primo turno)
Ore 11.15 Scuola primaria di Scalette di Brenzone (secondo turno)
Ore 11.30 Scuola primaria di Scalette di Brenzone (terzo turno)
Ore 14.15 Scuola primaria di Rizza
Ore 14.30 Scuola primaria Camozzini
Ufficio Stampa
#UnoStoricoScudetto: raccontaci il tuo 12 maggio 1985
Postata il 12/05/2015 alle ore 19:00
12/05/1985 - 12/05/2015
Verona campione, oggi come 30 anni fa.
Un gol di Elkjaer all'Atalanta regala il punto scudetto.
Siamo Campioni d'Italia!
Cosa ti ricordi di quel giorno?
Scrivi il tuo post, raccontalo su Facebook e Instagram e segui #UnoStoricoScudetto
#UnoStoricoScudetto: 21ª e 22ª, ricordi la grinta di Elkjaer?
Postata il 11/05/2015 alle ore 19:00
Due settimane dopo, alla 22a giornata, c'è Fiorentina-Verona
I gialloblù sono sotto di un gol alla fine del primo tempo
poi il Verona si scatena...
Raccontaci le tue emozioni su Facebook e Instagram!
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#UnoStoricoScudetto: 20ª giornata, rivivila con noi!
Postata il 10/05/2015 alle ore 09:50
Destinazione Torino, contro la Juventus.
Ai gialloblù mancano Briegel, Ferroni e Sacchetti.
Sembra una sfida impossibile, ma...
Raccontacelo su Facebook e Instagram!
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#UnoStoricoScudetto: 19ª giornata, vince Briegel o Rummenigge?
Postata il 09/05/2015 alle ore 18:00
Al Bentegodi arriva l'Inter di Mandorlini,
E' la sfida scudetto.
Finisce 1-1, Verona ancora in cima alla classifica
Lascia il tuo commento di Verona-Inter su Facebook e Instagram!
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#UnoStoricoScudetto: quella partita a Udine...
Postata il 08/05/2015 alle ore 18:00
A Udine si gioca la partita più bella del campionato.
Verona avanti 3-0, poi l'Udinese pareggia.
Sembra finita, ma..
Raccontaci Udinese-Verona su Facebook e Instagram!
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"Uno storico scudetto", il libro con la Gazzetta dello Sport
Postata il 08/05/2015 alle ore 13:20
Con La Gazzetta dello Sport il libro "Hellas Verona. Uno storico scudetto"
Verona - In occasione del trentennale dello scudetto La Gazzetta dello Sport presenta il libro ufficiale “Hellas Verona. Uno storico scudetto” che racconta attraverso le firme della rosea e gli interventi dei protagonisti la mitica stagione 1984/85. La straordinaria forza del club, che nell’anno del suo scudetto si scontrò con i giganti del calcio, da Michel Platini a Diego Armando Maradona vincendo quindici partite su trenta e perdendone solo due, è ben testimoniata in apertura del libro dall’intervento del presidente dell'Hellas Verona, Maurizio Setti, che si sofferma sulla possibilità di toccare traguardi impensabili e apparentemente irraggiungibili, “grazie all’appartenenza e all’identità in un gruppo, alla tenacia e alla passione dei tifosi veronesi, rimasta intatta negli anni e continuamente rafforzata nel tempo”.
Continua Nicola Cecere sulla stagione indimenticabile del 1984/85 ripercorsa attraverso gli incontri e le vittorie indimenticabili; il capitolo “Bagnoli, comandante di un’epica impresa” di Sebastiano Vernazza è completamente dedicato al leggendario mister che guidò ininterrottamente il Verona per 9 stagioni, dal 1981 al 1990, con una lunga intervista inedita che parla delle sue origine, di quando a 14 anni si trovò a lavorare come operaio fino alla carriera di allenatore, e di quali elementi rendono grande una squadra; “Fanna: L’irripetibile cavalcata dal sapore romantico” di Filippo Di Chiara è dedicata al calciatore Pierino Fanna, uno degli uomini simbolo della vittoria.
E ancora nel libro: il trionfo dell’Hellas Verona attraverso le pagine de La Gazzetta dello Sport e le tappe della stagione attraverso suggestive pagine fotografiche. “Hellas Verona. Uno storico scudetto” è in edicola con La Gazzetta dello Sport a 9,99 euro, oltre il costo del quotidiano.
UNO STORICO SCUDETTO - COMUNICATO UFFICIALE
Ufficio Stampa RCS - Ufficio Stampa Hellas Verona FC
#UnoStoricoScudetto: chi vincerà tra Nanu e Nicolini?
Postata il 07/05/2015 alle ore 19:00
27 gennaio 1985. 17a giornata. Il Verona torna a vincere.
Basta un tempo contro l'Ascoli, in campo anche Nicolini.
E il nostro protagonista trova il 7° gol in campionato...
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#UnoStoricoScudetto: ti ricordi Napoli-Verona 0-0?
Postata il 06/05/2015 alle ore 16:55
20 gennaio 1985. 0-0 contro il Napoli.
E' forse il momento più difficile della stagione gialloblù.
16a giornata, 4 partite senza vincere per la squadra allenata da Osvaldo Bagnoli.
Sempre prima in classifica, ma ora non più da sola...
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#UnoStoricoScudetto: 15ª giornata, e con l'Avellino...
Postata il 05/05/2015 alle ore 18:00
13 gennaio 1985. Arriva la prima sconfitta in campionato.
Vince l'Avellino, alla 15a giornata.
Il gol di Luciano Marangon non basta, la rete di Colombo regala il 2-1 agli avversari.
Il Verona chiude il girone d'andata a 22 punti ed è campione d'inverno...
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#UnoStoricoScudetto: dal libro alla cena di gala...
Postata il 05/05/2015 alle ore 15:00
30° anniversario
1984-85/2014-15
Presentate dal direttore generale dell'Hellas Verona FC, Giovanni Gardini, e dal presidente dell'Associazione Ex Calciatori Hellas Verona, Nico Penzo, le iniziative per ricordare lo storico scudetto vinto nella stagione 1984-85.
Un viaggio lungo 30 anni, con delle celebrazioni realizzate, organizzate e volute fortemente dalla società gialloblù. Pe rivivere insieme #UnoStoricoScudetto.
Per info e biglietti rivolgersi a: biglietteria@hellasverona.it.
Walkabout Scuole: dalla sede dell’Associazione Ex Calciatori agli spogliatoi, passando per il museo delle maglie storiche dell’Hellas Verona curato dall’Associazione Culturale Verona Hellas. Una visita allo stadio Bentegodi, nelle giornate di giovedì 14 e venerdì 15 maggio, riservata ad alcune delle scuole primarie che hanno partecipato al “Progetto Scuola 2014-15 - Gioca con la tua classe” (classi 3ᵃ, 4ᵃ e 5ᵃ). Una grande opportunità per rivivere una storia importante, destinata anche ai più piccoli.
#UNOSTORICOSCUDETTO - COMUNICATO UFFICIALE
Ufficio Stampa
SERIE A
Gardini: "Sarà una festa per beneficenza"
Postata il 05/05/2015 alle ore 14:48
Verona - Le dichiarazioni del direttore generale gialloblù, Giovanni Gardini, rilasciate durante la presentazione delle iniziative per celebrare #UnoStoricoScudetto.
1984-85, UNO STORICO SCUDETTO
"Quello conquistato nel 1984-85 resterà uno scudetto storico. Verona è stata l'unica città non capoluogo di regione a vincere il tricolore. E' una cosa eccezionale e dobbiamo essere orgogliosi di questo, perché la nostra città è una parte importante del calcio italiano e deve continuamente essere spronata a fare sempre meglio. Vogliamo omaggiare tutte le componenti che ci hanno regalato quel momento meraviglioso, e per questo abbiamo organizzato una serie di iniziative mirate, che partono dalla cena in Gran Guardia del 19 maggio. Ci sono 600 posti disponibili, il costo del biglietto è di 55€, l'intero ricavato sarà devoluto in beneficenza e abbiamo dato dei biglietti ai vari Calcio Clubs. Ci saranno anche dei walkabout riservati ai ragazzi delle scuole primarie, un libro realizzato dalla Gazzetta dello Sport che racconterà, attraverso fotografie inedite, quell'annata meravigliosa e l'album Panini, sfizioso per i tifosi. C'è anche la rievocazione delle maglie dello scudetto, le abbiamo volute riproporre. Ringraziamo la Canon (sponsor 1984-85, ndr) per averci permesso questo. E' per noi un grande piacere averle realizzate, sono disponibili sia la versione home che quella away, per neonati e per adulti. Ci sono anche le felpe ball boy che utilizzavano i raccattapalle, un prodotto che sta avendo grande successo perché ci fanno ricordare un momento storico. Tante aziende ci sono state vicine per realizzare quanto abbiamo fatto, questo dimostra che Verona ha un appeal internazionale. L'importanza dell'Associazione Ex Calciatori? E' una collaborazione che ci rende orgogliosi, per noi sicuramente si tratta di un valore aggiunto. Sono la memoria storica di quello che è stato e devono trasmettere i messaggi che noi vogliamo dare. C'è bisogno di un ricambio, perché il sogno sarebbe avere una squadra leggende del Verona, per dare visibilità al nostro marchio in giro per l'Europa e per il mondo. Inoltre si mettono al servizio del sociale, che per noi è un grande valore".
Trentennale dello scudetto: Parla il diggì GARDINI |
SPIRITO GIALLOBLU'
"Cosa mi ricordo di 30 anni fa? Vado ancora più indietro, alla partita Verona-Milan che terminò 5-3. Forse era un presagio del ruolo che ricopro a Verona. Nel 1985 ero già un tifoso del calcio, e ho guardato con grande ammirazione ciò che ha realizzato il Verona, un miracolo ottenuto credendo in ciò che si voleva fare. Cosa comporta aver vinto lo scudetto? Sicuramente, chi indossa questa maglia, avverte uno spirito diverso. Lo dimostrano i calciatori che sono passati di qui anche in momenti non positivi, quando la società contava meno di quello che conta in questi ultimi anni, e hanno voluto rimanere ad abitare in città. C'è una voglia di sentire dentro questi colori difficilmente riscontrabile da altre parti, qui si può vivere in maniera ottima e quando vivi l'Hellas te lo senti dentro a 360° per 365 giorni all'anno. Tutte queste attività ci fanno ricordare un momento che rimane una pietra miliare di quello che è stato, non solo per Verona ma per tutto il calcio italiano".
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#UnoStoricoScudetto 13ª e 14ª giornata, rivivile con noi!
Postata il 04/05/2015 alle ore 18:00
23 dicembre 1984, alla 13ª di campionato il Verona pareggia a Como 0-0.
Il 6 dicembre 1985 tra Verona e Atalanta è 1-1 al Bentegodi.
Per i gialloblù va a segno per la prima e unica volta in campionato
un calciatore importante...
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#UnoStoricoScudetto: ti ricordi la 12ª giornata?
Postata il 03/05/2015 alle ore 12:55
16 dicembre 1984. La Lazio aspetta il Verona. Siamo alla 12a giornata.
Finisce 1-0 per i gialloblù, e il protagonista è ancora lui...
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#UnoStoricoScudetto: c'è il Milan e... (11ª giornata)
Postata il 02/05/2015 alle ore 17:45
11a giornata, 2 dicembre 1984. Verona-Milan 0-0
Di Gennaro segna, l'arbitro annulla.
Oltre al 1° posto in classifica c'è un altro primato per i gialloblù.
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#UnoStoricoScudetto 9ª e 10ª giornata, rivivile con noi!
Postata il 01/05/2015 alle ore 13:00
18 novembre 1984, la Sampdoria pareggia al Bentegodi 0-0.
Una settimana dopo, alla 10a giornata, c'è Torino-Verona.
Si sfidano le prime due in classifica.
Per i gialloblù c'è un protagonista inatteso...
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#UnoStoricoScudetto. C'è l'8ª giornata e la Cremonese...
Postata il 30/04/2015 alle ore 19:10
8a giornata, 11 novembre 1984, Cremonese-Verona 0-2.
Un rigore e un gran tiro dal limite decidono la partita.
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#UnoStoricoScudetto: rivivi con noi la 7ª giornata!
Postata il 29/04/2015 alle ore 17:35
c'è la Fiorentina al Bentegodi.
Una marcatura non facile per Briegel, ma un altro gialloblù segnerà il suo 4° gol in 7 partite.
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#UnoStoricoScudetto: 6ª giornata e la favola di Garella
Postata il 28/04/2015 alle ore 20:45
6a giornata, Roma-Verona 0-0. Verona all'Olimpico, torna Falcao dall'infortunio.
La Roma vuole vincere, ma prima Di Carlo e poi Iorio devono fare i conti con lui...
Su instagram e Facebook ti raccontiamo la sua favola.
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#UnoStoricoScudetto: 4ª e 5ª giornata, rivivile con noi!
Postata il 27/04/2015 alle ore 18:00
Inter-Hellas Verona 0-0. Quarta giornata. Che sfida tra Briegel e Rummenigge
in campo c'era anche Mandorlini con i nerazzurri.
Poi la Juve al Bentegodi. Trionfo gialloblù, finisce 2-0. Qualcuno ha scritto la storia...
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Ovviamente, nel perfetto stile 1984-85...
#UnoStoricoScudetto: 3ª giornata, vince Nanu o Edinho?
Postata il 26/04/2015 alle ore 10:00
Hellas Verona-Udinese 1-0. Vi ricordate il protagonista della partita?
Era la terza di campionato. Era il 30 settembre 1984, il suo gol decise la partita. Scoprilo su Facebook e Instagram...
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#UnoStoricoScudetto su Facebook e Instagram
Postata il 24/04/2015 alle ore 10:00
Uno storico scudetto, raccontato dalle immagini che hanno reso immortali i gialloblù.
Un viaggio in quella magica stagione, un indimenticabile trionfo da ripercorre insieme, oggi diventato hashtag.
I commenti più belli ed emozionanti riceveranno degli splendidi premi.
Ovviamente, nel perfetto stile 1984-85...
Oggi la prima giornata: scrivi il tuo post su Verona-Napoli 3-1 (Facebook e Instagram) e segui #unostoricoscudetto.
Ufficio Stampa
FONTE: HellasVerona.it